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Vietato annoiare. #RolePlayWrite

Torna la rubrica #RolePlayWrite, una serie di articoli dedicata al creativo, complesso e imprevedibile mondo dei giochi di ruolo

Il gioco di ruolo (GDR, o in inglese Role Playing Game abbreviato in RPG) è un gioco nel quale ogni giocatore assume i panni di un personaggio specifico e, tramite la conversazione, l’uso di regole prestabilite e l’inserimento in un contesto geopolitico definito ambientazione, dà vita a una storia. Ciò che avviene nello scambio dialettico fra i giocatori e il master (ossia colui che tiene le redini delle sessioni di gioco) è una vera e propria esperienza narrativa, fatta di incipit, svolte, climax, cliffhanger e conclusione.
E cosa si è appena descritto in queste poche righe se qualcosa che somiglia alla stesura di un romanzo, di un racconto, di una sceneggiatura?

In questa serie di articoli dal titolo Role Play Write, andremo a parlare di come il GDR abbia diversi elementi caratterizzanti in comune con la scrittura creativa, e di come la pratica dell’uno possa influenzare l’altra (o viceversa).

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Quando alla prima lezione di un corso di scrittura Vanni Santoni chiese quali fossero le nostre esperienze di scrittura, risposi che ero una giocatrice di ruolo.
Vanni Santoni è autore, fra le altre cose, di La stanza profonda (Laterza, 2017), romanzo ibrido che indaga il mondo dei giochi di ruolo tra fuga dalla realtà e desiderio di resistenza. Non è il solo autore che ha esperienza del gdr, tra i vari anche Paolo Pecere che ha dichiarato, nel Dio che danza (Nottetempo, 2021), come durante l’adolescenza romanzi e giochi di ruolo siano stati una sorta di teatro della possessione, indagata nel suo saggio in rapporto alla musica e al ballo. Entrambi gli autori si riferiscono ai giochi di ruolo tradizionali, come Dungeons and Dragons o altri giochi tabletop. Michela Murgia è stata la prima a parlare di un’altra tipologia di gdr, quasi del tutto estranea alle trattazioni sul legame tra gioco e narrazione: «Ho imparato a raccontare storie per iscritto in una scuola severissima dove la disciplina era un parametro non negoziabile, pena l’esclusione dalla narrazione. Il mio master in scrittura l’ho fatto dal 2000 al 2007 dentro a una comunità virtuale di gioco on line» (da Il fatto quotidiano, 24 ottobre 2011). Parlava dei gdr play-by-chat, realtà frequentata anche da Marta Zura-Puntaroni (Grande era onirica, 2017, e Noi non abbiamo colpa, 2020, entrambi editi minimum fax; L’olivastro, 2023, effequ), con cui ho potuto confrontarmi sul valore del gdr play-by-chat come scuola di scrittura.

illustrazione di Anna Volpi

Un gdr play-by-chat si svolge su un sito web (in gergo land) articolato in svariate chat in cui vengono scambiati i messaggi che portano avanti il gioco. L’ambientazione e le regole sono illustrate nei manuali che i gestori della land creano appositamente, che possono trarre ispirazione da libri, serie tv, film (Harry Potter e Il Signore degli Anelli hanno portato alla creazione di decine di piattaforme) o essere prodotti originali: esistono land con setting storico, horror dalle atmosfere lovecraftiane, sci-fi con l’apparato post nucleare del caso; le più diffuse restano le fantasy di stampo classico, eredi di D&D. Per giocare è necessario registrarsi e creare un personaggio (PG) e la sua scheda («un mix tra codice genetico e carta d’identità», la definisce Santoni in La stanza profonda), fondamentale per interagire con gli altri PG e partecipare alle campagne. A quel punto si sceglie una chat, che corrisponde a un punto sulla mappa del luogo di setting, e si comincia. Ogni player scrive a turno cosa fa, vede e dice il proprio PG e la deduzione dei suoi pensieri e delle sue motivazioni deve passare solo attraverso la scrittura.
È fondamentale lasciare chi legge libero di sbagliare, comprendere, fraintendere. «Una sorta di anticipazione dello show, don’t tell», ha ricordato Zura-Puntaroni in una conversazione privata, rievocando una regola fondamentale: il personaggio deve essere descritto da un punto di vista esterno e reso unico e riconoscibile da gesti, espressioni e linguaggio, manipolando il lettore per trascinarlo nella storia che si va creando. La scrittura è veloce, dinamica: un migliaio di caratteri a turno, terza persona presente, in massimo dieci-quindici minuti.
Si tratta di un tempo di reazione ridotto, non azzerato come in altri giochi di ruolo (i larp, Live Action Role-Playing, in cui si interpretano i personaggi fisicamente, in uno spazio reale), che costringe all’immediata elaborazione di quanto accade al PG e alla sua traduzione in linguaggio narrativo.

In una sessione di gioco si arriva a scrivere tra gli ottomila e diecimila caratteri a player, componendo una sorta di racconto a più mani. I giocatori contribuiscono in misura eguale, è un processo di partecipazione attiva alla storia e al suo consumo, poiché ognuno, nella contemporanea condizione di autore e fruitore, vuole terminare la role soddisfatto. Il tempo esiguo allena all’improvvisazione, ad affrontare la chat bianca che «mi fece lo stesso effetto che mi fa oggi la pagina vuota quando sono in procinto di cominciare un romanzo», raccontava Murgia nell’articolo sopra citato. Giocare implica il superamento della paura del vuoto per sbloccare l’incipit, maturando lo slancio – goffo, forse impavido – necessario ad affrontare la scrittura quando cadranno i limiti di tempo e dall’altra parte dello schermo non ci sarà nessuno ad aspettare.

Nei play-by-chat scrivere è un esercizio costante, il gioco l’occasione di una pratica quotidiana. Infatti, se nei giochi di ruolo cartacei tendenzialmente una volta a settimana è prevista una quest, ovvero un episodio della campagna, con un master a guidare la narrazione, nel gdr play-by-chat il gioco non si condensa in questo appuntamento. La piattaforma online è attiva ogni giorno, essendoci decine (nel 2000-2007 su alcune land si arrivava alle migliaia) di player connessi alla ricerca di una role. Il PG che si sceglie di interpretare è un’entità nota in ogni dettaglio – si stabilisce come potrebbe muoversi, parlare, reagire – costruendone l’evoluzione nella storia scritta da e con gli altri. La conseguenza, e il rischio, della ridefinizione dell’identità è lo sviluppo di fenomeni di immedesimazione che possono di trascinarsi oltre lo schermo in forma di frustrazioni o felicità spurie. Eventualità scoraggiate, come contattare gli altri giocatori offgame, per mantenere intatta la dimensione del gioco e il suo potenziale di evasione. La comunità si autoregola, ogni giocatore fa affidamento sull’altro, poiché senza un master a guidare ogni interazione la responsabilità dell’intrattenimento è condivisa. Di conseguenza, fare incontrare due PG sconosciuti, ingannarne uno, convincerlo a fare qualcosa contro la sua morale, sono situazioni banali che non possono essere banalizzate. Richiedono strategia (corrompere comporta analizzare le debolezze del nemico, così come far innamorare il nobile di turno), originalità nell’approccio (l’altro giocatore sceglie di dedicarci il tempo che investirebbe in una serie tv: ciò che si scrive deve essere almeno paragonabile a House of the Dragon) ed empatia per cogliere cosa muove l’altro e cooperare, essere amici o amanti per finzione. Come si impostano scenari narrativi, si impostano anche rapporti.

Vietato annoiare è l’imperativo comune a tutte le land; come in ogni attività ludica, un bravo giocatore, piacevole e coinvolgente, viene cercato; i verbosi e gli insipidi, no. La ferocia del gdr play-by-chat deriva dal tempo condiviso – ore, talvolta intere notti – per trasferirsi in un altrove estraneo ai fastidi quotidiani, tra sconosciuti e con le parole come unico legante. Sottoporre una narrazione scialba è scorretto quasi quanto violare le regole. L’obiettivo è divertirsi, quindi giocare ed essere letti. La contesa spinge a migliorare la resa della propria scrittura, sviluppando strategie per sedurre l’attenzione altrui tramite scelte di stile narrativo – comico, drammatico, onirico – o la creazione di personaggi capaci di affascinare il lettore dalla descrizione del loro modo di parlare o chinarsi per raccogliere le chiavi di casa. Alcuni player arrivano a scrivere le azioni in chat con uno stile coerente con la caratterizzazione del personaggio, con risultati tutt’altro che dilettantistici.
I personaggi che si sceglie di interpretare in land – soggetti cosiddetti “di genere”, quali ad esempio fate dai capelli d’argento o astute ladre, come ricorda Zura-Puntaroni – abituano alla pratica di determinare loro un passato, una personalità e delle debolezze. Sono identità che diventano familiari dopo averle approfondite negli anni e questo rende spontanea la successiva creazione di caratteri durante la scrittura di romanzi e racconti. Una capacità sedimentata, che può essere abbandonata e poi ripresa, rivolgendo la narrativa in una direzione estranea al gioco.

Play by chat (credits gdronline.com)

La maggior parte delle persone che frequentano i gdr pbc afferma di possedere dall’infanzia la passione per la scrittura e di non avere idea di come praticarla altrimenti. Molti avvertono una forma di isolamento: oltre i margini della grande città mancano le opportunità, i corsi sono costosi e le biblioteche hanno sempre fatto il possibile con le scarse risorse a disposizione. Inoltre, nell’immaginario comune l’atto dello scrivere è un’attività solitaria che non necessariamente contempla il consumo da parte del lettore. Nei gdr play-by-chat il confronto col pubblico è insito nella formulazione stessa del gioco, gratuito e privo di giudizi di qualità letteraria. Chiunque voglia scrivere può farlo: è una dimensione orizzontale, parificata dalle potenzialità creative di chiunque si presenti in chat. Si incontrano l’operaio, la ricercatrice universitaria, la studentessa come il padre di famiglia. La mediazione della distanza fisica e dell’anonimato consente di sperimentare, assecondando inclinazioni tematiche e stilistiche che altrimenti non emergerebbero per paura del giudizio (personale, in questo caso: i giocatori di ruolo per decenni sono stati bollati come sfigati, scarti sociali e, genericamente, nerd). La scrittura diventa un atto clandestino: col proprio nome al riparo, si conquista la libertà di sottoporre a un lettore altrettanto ignaro qualunque cosa sporca, folle o sublime si desideri raccontare. È una comunità e la stranezza di ciascuno è tutelata dall’altro.
Il passaggio dal gioco alla scrittura è sfumato nell’esperienza soggettiva. La maggior parte dei players non lo diventa né lo desidera. Zura-Puntaroni ha aperto un blog, Murgia anche. Frequentavamo le stesse land nello stesso periodo. Nessuna delle tre conosceva l’altra. Migliaia di sconosciuti senza nome.

Nel gdr play-by-chat ognuno è insegnante e allievo, si improvvisa e si osa perché il vero scopo è «convincere l’altro a stare nella storia insieme a te fino alla fine, a costo di dimenticarsi che il sole sta per sorgere», come ricordava Murgia. Ritrovando lo stordimento della dimensione fisica quando si stacca gli occhi dal foglio e la nostalgia per quello che non si è mai vissuto.
Le storie consumano il tempo di chi legge e va offerto in cambio qualcosa che susciti domande, scopra nuove angolazioni del reale, permetta la fuga. Che sia sempre un’avventura, come quando correvamo tutti insieme in una foresta, scappando da un dio-vampiro vecchio duemilaseicento anni.


In copertina, illustrazione di Anna Volpi


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