L’ultima isola. Socotra tra natura e antropocene, a cura di Fabio Balocco, Marco Livadiotti e Pietro Lo Cascio, Bordeaux Edizioni, è uno di quei “piccoli” libri che ti aprono “grandi” arterie di pensiero e di percezione. Diventa difficile chiudere la lettura e tornare alla realtà come la conoscevi, in riferimento all’ecosistema Gaia. La ventata di novità del libro è trasversale al vulnus che vuole l’ecologia come materia di appannaggio di pochi e con la quale il sistema cerca di misurarsi con tanta ipocrisia e molto vernissage, aka green washing. Qui, a Socotra, Storia e Geografia si incontrano nell’anima naturale di quest’isola, la principale di un arcipelago composto da quattro sorelle che spiccano nell’Oceano Indiano, al largo del Corno d’Africa, tra la costa somala e quella della Repubblica dello Yemen a cui appartiene. E qui è lo snodo geografico che si tuffa a capofitto fino alle nostre origini: dal Corno d’Africa circa 55.000 anni fa, inizia la storia di Homo sapiens come lo conosciamo oggi. Lo Yemen, con l’Oman, è la propaggine della penisola arabica che da sempre rappresenta in maniera esemplare le spesso turbolente ambizioni umane. Ecco perché L’ultima isola è libro prezioso: se Socotra sfugge alle rotte più battute e banali dell’editoria, l’opera coglie qualcosa che potrà aiutarci a riposizionare la nostra bussola e lo sguardo, ricordando sempre che le geografie fisicamente più lontane sono in quest’epoca molto vicine a livelli più profondi.
Ne abbiamo parlato con uno dei curatori, Fabio Balocco, che ha per esempio voluto fortemente il fondamentale capitolo iniziale di Pietro Lo Cascio, Il fascino delle isole, dove la storia dell’umanità, delle nostre illusioni e dei nostri sogni, diventa il pilastro dell’edificio narrativo a seguire. Ai tre curatori, si aggiungono le firme di Elena Dacome e Robert Cowie in un’opera corale il cui tema è riassunto da Fabio nel preambolo:
«Socotra è nel contempo un paradosso e un paradigma: il paradosso di non voler lasciare la bellezza intatta dove essa esiste ancora (altro che uomo come custode del creato) e il paradigma della possibile estinzione delle specie che la abitano».
Il libro sembra scorrere come un viaggio di conoscenza e di presa di coscienza del lungo crinale culturale che racconta il passato remoto e quello recente nel loro intreccio con la storia naturale dell’isola. E dove ancora non si vede un orizzonte preciso. Questo perché Socotra, dice Balocco, «è un luogo simbolo del Pianeta che ci racconta di una realtà perduta, quella delle isole alla Robinson Crusoe, luoghi che più di altri sono stati immolati sull’altare del dio denaro, in particolare dell’industria più inquinante al mondo, quella turistica. Le isole sono state gentrificate a loro volta e sono diventati luoghi del “ti sentirai come a casa tua”, tanto che persino le Galapagos in Ecuador stanno perdendo identità. Socotra è ancora in buona parte preservata ma incombono nubi di tempesta, dall’occupazione degli Emiratini, alla pressione antropica, dal possibile flusso turistico al cambiamento climatico. Non c’è una ricetta per salvarla dalla fine che hanno fatto altri luoghi sensibili del Pianeta».
Nel saggio introduttivo Lo Cascio scrive: «a fronte della loro modesta estensione globale – stimata intorno al 5% della superficie complessiva delle terre emerse – le isole hanno occupato e occupano uno spazio sproporzionatamente grande nella storia e nell’immaginario dell’umanità. Dai tempi del mito – il santuario di Delos, o l’Odissea, che poi non è altro che un vagabondare tra isole più o meno insidiose – la loro influenza si è spinta fino alle fondamenta del pensiero moderno; la tappa delle Galápagos durante il viaggio attorno al mondo del Beagle costituisce un passaggio cruciale del percorso che porterà Charles Darwin a elaborare la teoria della selezione naturale e dell’evoluzione delle specie».
Allora come spiegarci quella voglia tutta umana di ridurre a cartolina insignificante luoghi che andrebbero protetti dal peggio della civiltà moderna? «Le isole non divergono quanto a destino rispetto ad altri luoghi più o meno isolati della Terra. Anche i luoghi più remoti, oramai sono toccati dalla presenza umana, anche se l’uomo magari non c’è. Ricorderai il DDT scoperto nei pinguini dell’Antartide e oggi non è più DDT ma le microplastiche che inquinano le foreste statunitensi. Purtroppo noi uomini, volenti o nolenti, distruggiamo e spesso siamo vittime e carnefici. Certe teorie dicono che tutto è iniziato con la fine dell’uomo cacciatore e raccoglitore, altre, ancor più estreme, che siamo il cancro del Pianeta. Limitiamoci ai fatti: dovunque noi umani tocchiamo, sporchiamo».
Socotra, che potrebbe rappresentare un sano esempio di equilibrio, per Balocco è arrivata come una rivelazione improvvisa lungo il cammino della sua storia di scrittore e giornalista che dedica all’ambiente tante energie: «fino a sei anni fa neppure sapevo che esistesse. Ci sarei voluto andare, ma la guerra in Yemen me lo impedì. Mi recai allora ospite al congresso internazionale che si tenne a Palermo nel 2019 e lì nacque l’idea di scrivere un libro per farla conoscere, con la collaborazione tra me e gli altri autori del libro, i miei compagni di viaggio, che sull’isola invece c’erano stati. Così è iniziata l’immersione in quel mondo magico tramite le loro parole e le loro immagini. Un’immersione nel mito. Quest’opera è stata la più voluta e sofferta tra le mie».
Fabio ama profondamente questo pianeta e la sua geografia che ne esprime le infinite culture. La ricerca infaticabile di un’ideale geografico più profondo e il suo impegno sul fronte ambientale gli consentono di cogliere dettagli sull’inganno della superficiale comunicazione che finge di parlare di ecologia. Ma che resta, appunto superficiale: perciò mi ricorda come «non a caso uno dei simboli dell’estinzione, per Socotra è forse il suo paradigma più efficace rappresentato dal dodo e dal suo triste e beffardo destino; una volta raggiunta l’isola felice dove non esistevano predatori, ha perduto la capacità di volare, per ritrovarsi inerme di fronte a un mondo mutato improvvisamente».
Ma dopo questo viaggio letterario, che cosa è adesso per lui questa “ultima isola”? «Socotra è come se la sentissi un po’ mia. Bizzarro pensando che non ci sono mai stato. Ma neppure ci andrò. Mi è sufficiente pensarla là in mezzo all’Oceano, battuta dai venti che la rendono per fortuna inospitale per diversi mesi all’anno. Non è forse più bello immaginare che vedere, soprattutto pensando che il vedere comporta una presenza sul posto e un possibile disequilibrio? Tu prima mi domandavi che fare. Ecco, il che fare dovrebbe probabilmente essere questo, lasciarla là com’è, astenersi dall’andarci».
Un altro vulnus sono i riconoscimenti. Da quando l’isola ha ricevuto lo status di Riserva della Biosfera e Patrimonio dell’Umanità, i dubbi, invece di diminuire, sono aumentati: «il riconoscimento è frutto spesso del vil denaro, che lo si può acquistare come la carne dal macellaio, e poi l’unica conseguenza pratica che ha è quella di aumentare il peso antropico, delle frotte di turisti che vi accorrono, della perdita di identità dei luoghi, dei prezzi alle stelle. Esemplare un libro al riguardo che racconta bene in particolare proprio il cancro dei riconoscimenti Unesco, Il selfie del mondo. Indagine sull’età del turismo di Marco D’Eramo. Del resto basta guardare come sono state ridotte le Dolomiti, oppure le Cinque Terre che oggi invocano il numero chiuso, oppure la Bassa Langa. Che era più viva e naturale ai tempi di Nuto Revelli».
Una delle immagini che più mi ha colpito nel libro è questa: «l’isola potrebbe essere assimilata a un fossile vivente, una sorta di celacanto di roccia affiorato tra il Golfo di Aden e l’Oceano Indiano e che tuttora giace lì, avvolto da una prudente nebbia oceanica che lo separa dal resto del mondo». Per Balocco, Socotra come fossile significa «qualcosa che rimane, che permane ma che rimanda a un mondo che non esiste più. Socotra ha questi echi con le sue piante ma anche con le fisionomie dei suoi abitanti. Un mondo antico sopravvissuto nella modernità. Del resto, non sono specie di fossili viventi le stesse popolazioni più o meno incorrotte che ancora sopravvivono su Madre Terra? Nell’era di internet ancora uomini cacciatori e raccoglitori. Non sembra incredibile?».
Sì, così sembra, ma in realtà è: e qualcosa dovrà pur significare. Forse, l’ultima isola umana è questa: un luogo diffuso sul pianeta dove milioni di nostri fratelli e sorelle non vogliono abdicare al senso più profondo dell’essere umani. Perché sanno cosa significa essere parte di Madre Terra.