Ou vous êtes léniniste. Ou vous ne changez rien.
François Mitterrand
A cent’anni dalla Rivoluzione d’Ottobre, Lenin sembra oggi quantomeno inattuale: in un tempo di politici terrorizzati alla sola idea di introdurre una patrimoniale per combattere gli effetti sociali della pandemia, che cosa può dirci un personaggio che tentò di abbattere il regime capitalistico e di abolire lo Stato? Eppure, il radicalismo leniniano non è interpretabile in base al mero qui e ora: esso traeva la propria forza dalla necessità di sciogliere il nodo gordiano di mille anni di storia russa e di dare una risposta ai dilemmi in cui l’intera società occidentale si era andata avviluppando.
La generazione di Lenin, di Rosa Luxemburg, di Lev Trockij vive in un mondo che ha abbandonato le rassicuranti certezze positiviste in un progresso illimitato e razionalmente pianificabile, e che sta evocando i peggiori demoni della modernità, riassumibili col termine di imperialismo: l’economia entra in un processo di trustizzazione e finanziarizzazione, il ruolo dei nazionalismi assume un carattere esasperato e massificato, lo sfruttamento sempre più intensivo delle colonie getta le basi per un vero e proprio sistema-mondo fondato sulla spietata oppressione di interi popoli.
Infine – la Grande Guerra. Una guerra che Lenin trascorre esule a Zurigo, in contemporanea a James Joyce e Carl Gustav Jung, vivendo a cento metri dal Cabaret Voltaire: c’è chi giura di averlo visto giocare a scacchi con Tristan Tzara e comporre versi surrealisti. Poco probabile, certo, ma se i giochi dadaisti esprimono il disgregarsi della psiche umana sotto l’impatto della tragedia ancora in corso, nei coevi L’imperialismo come fase suprema del capitalismo e Marxismo e Stato (ciclo di appunti da cui mesi dopo trarrà origine Stato e rivoluzione) Lenin analizza la medesima tragedia per tentare di prevedere cosa accadrà dopo. Quali fossero le sue aspettative, è presto detto: a) la guerra fra Stati imperialisti deve trasformarsi in guerra civile, e le masse militarizzate devono rivolgere le armi contro i propri sfruttatori; b) lo Stato – ogni Stato – è un organismo parassitario, volto al mero dominio di classe, e la sua stessa esistenza è incompatibile con la piena emancipazione dell’individuo.
Poi – il 1917: la caduta dello zarismo, il ritorno in una Russia sempre più sconvolta dal caos, e infine l’Ottobre, in cui Lenin non strappa il comando a un potere precedente, ma riesce nel miracolo di imporre un carattere di “caduta controllata” a un intero organismo economico, sociale, statale in via di dissoluzione, e al tempo stesso sa escogitare un nuovo quadro istituzionale, un nuovo gruppo dirigente, un nuovo linguaggio amministrativo, giuridico, pubblico, e trova il modo di realizzarli in piena corsa, di individuare i soggetti sociali che possano farsi carico di tale slancio costruttivo.
Sfiorato il grado zero della dissoluzione, grazie a Lenin la Russia esce dal baratro rivoluzionario profondamente rinnovata, pronta ad agire come potente fattore di cambiamento, a innescare nuove contraddizioni, nuovi conflitti e nuove speranze, a proiettare sulla scena mondiale il movimento socialista, che fino al 1914 era un gioco esclusivamente europeo, e a condizionare anche movimenti di liberazione che socialisti non sono. Il 26 ottobre 1930 Jawaharlal Nehru, padre dell’India indipendente, scrive alla figlia Indira dal carcere inglese di Naini: «L’anno in cui sei nata, il 1917, si è reso memorabile nella storia quando un grande uomo dal cuore colmo d’amore e di simpatia per i poveri e i sofferenti ha fatto sì che il suo popolo scrivesse nella storia una nobile pagina, che non sarà mai dimenticata»; segue un parallelo con «un altro grande leader», – il Mahatma Gandhi, – «che languisce in prigione, ma la magia del cui messaggio ha rubato il cuore di milioni di indiani».
Ma questa è storia nota, come note sono le vicende successive della formazione politica che al nome di Lenin è legata: è la matrice stessa in cui si è plasmata buona parte del mondo moderno, nel bene e nel male. Meno conosciuto è invece il cammino precedente di Lenin: Volodja sussiegoso bambino di famiglia borghese, adolescente segnato dalla tragedia del fratello maggiore, giovane esperto nei travestimenti, timido innamorato e faceto galeotto, poi confinato in Siberia, a cavallo col revolver alla cintura come un eroe di Sergio Leone…
E naturalmente, le sue origini, la sua formazione, i primi tentativi di formulare un modello complessivo di teoria e prassi volte alla trasformazione radicale della società; e soprattutto, il coagularsi attorno a lui di una nuova tipologia antropologica. Tale infatti è l’opera a cui il dirigente bolscevico ha consacrato l’intera propria vita: plasmare un nuovo tipo di militante politico “universale” e dargli strumenti analitici e organizzativi che gli consentano di trasformare il mondo. Il carisma di Lenin, la percezione di avere – attraverso di lui – conosciuto davvero se stessi e trovato la norma del proprio agire, nasce nei militanti socialisti e poi bolscevichi come illusorio miraggio retrospettivo: i contemporanei non erano e non stavano facendo quello, bensì lo sono diventati e hanno iniziato a farlo perché l’intellettuale, organizzatore e uomo politico ha saputo selezionare una serie determinata di tratti caratteriali, di inclinazioni e di aspirazioni che in stato di confusa latenza permeavano un’intera generazione, e li ha organizzati in una struttura che di per sé non c’era, ma che ora riconosce se stessa e il proprio agire.
A unificare i singoli elementi è il nuovo principio connettivo formulato e messo in pratica da Lenin. Un principio connettivo che è allo stesso tempo un metodo e un obiettivo: il metodo è l’unità dinamica, “policroma” di pensiero e pratica, continuamente ricalcolata e riformulata nel punto focale dell’organizzazione; l’obiettivo – come bene intuì e formulò poi il nostro Gramsci – riguarda quello che è il nucleo stesso del politico: la realizzazione di un apparato egemonico capace di imprimere alla società un profondo cambiamento democratico e socialista.
Nucleo dottrinario delle origini, esperienza politica pregressa, indirizzi analitici fino ad ora privi di collegamento si trovano improvvisamente inquadrati in una visione complessiva del mondo che a sua volta – non appena resasi presente a se stessa – inizia ad espandersi, a incorporare componenti nuove e ad aggregarle al sostrato precedente in composti originali. Inizialmente piccolo cenacolo di “rivoluzionari di professione”, attraverso crisi, rivoluzioni, ritirate e continuo ridefinirsi, il bolscevismo inizia a percepire se stesso come asse centrale del sistema politico, a disporre e raggruppare gli altri elementi lungo il proprio perimetro e a impostare il rapporto con ognuno di essi in funzione di scopi programmati da subito con chiarezza adamantina e perseguiti con la metodica pervicacia di un Terminator.
Ho curato un saggio che è in buona parte dedicato a descrivere la nuova figura di attivista, a dar voce ai suoi rappresentanti, a documentarne psicologia e immaginario, mobili e cangianti quanto il mondo che essi si trovano a combattere: prima giovani avventurosi, scanzonati diffusori del giornale del partito che verrà (la gloriosa “Iskra”), poi disciplinati quadri del partito stesso, in seguito rivoluzionari combattenti, partigiani espropriatori e – quando serve – faccendieri internazionali. Conoscere le forme di militanza che il bolscevismo volta per volta si è dato serve certo a capire le parole e le azioni dello stesso Lenin, che a quella cerchia di donne e di uomini ha sempre fatto riferimento e che da essa traeva le sue forze come un novello Anteo; ma serve anche a chi oggi, in un contesto storico profondamente mutato, voglia elaborare nuove pratiche di organizzazione e di lotta per trasformare il mondo in senso democratico e socialista. Molto di ciò che Lenin aveva previsto, provocato e tentato di portare a termine fu poi stravolto dai suoi immediati eredi politici, con effetti esiziali per il progetto complessivo: il ciclo di medio periodo iniziato nell’Ottobre è oggi concluso. Ma reciso il nodo gordiano di mille anni di storia, ce n’è adesso per i mille successivi.