Chiunque abbia vissuto per un periodo di tempo, anche breve, in provincia, conosce bene la vitalità culturale delle zone che spesso vengono definite “ai margini”. Una definizione che, se nelle parole di qualcuno possono essere intrise di un pregiudizio, per altri assumono invece una straordinaria vitalità, riconoscendo nel margine quel territorio che, nella dimenticanza del centro e del discorso maggioritario, si concede la libertà e il rischio di una sperimentazione, di un azzardo e di una sfida lanciata al vertice del potere culturale.
Lo sanno bene a Chiari, cittadina di quasi ventimila abitanti in provincia di Brescia, dove dal 2003 si tiene la Rassegna della Microeditoria, un appuntamento centrale per tutti quei piccoli e medi editori che spesso faticano a trovare spazio nelle grosse fiere del libro e che qui trovano invece una valorizzazione e un’occasione per presentare le proprie pubblicazioni, far incontrare pubblico e lettori ed essere, di fatto, testimonianza diretta di un mercato, quello editoriale, mai come ora messo sotto attacco dalla pandemia.
E proprio in questo anno da dimenticare, è arrivata nei giorni scorsi una notizia inaspettata, un raggio luminoso che dona un nuovo respiro al mondo delle parole, con la proclamazione di Chiari “Capitale italiana del libro” del 2020, voluta dal Consiglio dei Ministri che ha approvato la proposta del Ministro per i Beni e per le Attività Culturali e per il Turismo, Dario Franceschini, premiando con un finanziamento di 500.000 euro un territorio che è stato tra i più colpiti dall’epidemia di Covid-19 e dando così nuova linfa per la realizzazione di progetti, iniziative e attività per la promozione della lettura.
«Ho ricevuto la notizia domenica mattina, ero in viaggio verso la montagna» racconta Daniela Mena, direttrice artistica sin dalla prima edizione. «Leggere la notizia è stato come aprire l’argine di un fiume, non ho mai pianto di gioia come quel giorno. È un riconoscimento che arriva dopo 18 anni di soddisfazioni ma anche di fatica, di incertezze, fatti di momenti belli ma anche di momenti in cui ho pensato di mollare tutto, perché lavorare con l’editoria in un territorio periferico non è sempre facile».
Daniela è l’anima della rassegna, una donna che ha messo al servizio della propria comunità e del mondo dell’editoria sommersa tutte le proprie energie, la professionalità, un tocco umano che forse è la chiave della creazione di un gruppo di lavoro che si mette a disposizione del proprio territorio e che passa attraverso l’associazione L’impronta. «Quella mattina ho subito avvisato i nostri volontari: ho scritto che avrei voluto abbracciarli tutti. In questi 18 anni si sono alternate centinaia di persone, tanti volti e tante braccia che hanno lavorato con generosità per costruire qualcosa per la collettività, perché la gioia condivisa è sempre la più bella». Perché fare un festival, in un territorio lontano dai grossi centri urbani – lontano dal potere – è un’avventura per cuori forti. «Vedo questa notizia come il riconoscimento del lavoro fatto in tutti questi anni: un lavoro non sempre compreso dal territorio, e quindi portato avanti con caparbietà. È allo stesso tempo uno stimolo a continuare, a fare meglio, e un grande segnale per Chiari: la Rassegna della Microeditoria diventa a tutti gli effetti un bene immateriale di questa città».
Dentro questo bene immateriale, c’è tutta la sapienza e la forza dei piccoli e medi editori, che in questi mesi lottano con determinazione per non scomparire, mettendo al centro di ogni discorso culturale l’oggetto-libro, e con esso la sua funzione formativa e sociale in un’epoca che ha sete di parole, di idee e di possibili scenari futuri da abitare. «Premiare la Microeditoria significa riconoscere il grande valore del lavoro degli editori indipendenti, quel mondo che 18 anni fa abbiamo definito “microeditoria”, quando questo termine non veniva ancora utilizzato. L’avevo coniato ricavandolo dai miei studi classici, pensando al concetto di “mikròs”. Inizialmente per alcuni editori sembrava offensivo, poi è stato compreso e apprezzato, racconta di un’identità resistente».
E proprio questa resistenza sarà al centro della nuova edizione della rassegna, dal 13 al 15 novembre, con un palinsesto completamente in streaming; un’edizione diversa da tutte le altre, come impongono questi tempi pandemici. «Paradossalmente ci si presenta un’occasione unica, ovvero quella di sperimentare nuove frontiere del fare cultura» spiega la direttrice. «Gli strumenti digitali ci consentiranno di recuperare dunque una dimensione globale e al tempo stesso di aggiornare le tradizionali modalità di interazione con il pubblico, sia quello più affezionato, sia quello nuovo e che non vediamo l’ora di conoscere».
“Madreterra” è il fil rouge individuato dal comitato scientifico in cui figurano, tra gli altri, Massimo Bray, Gabriele Archetti, Annarita Briganti, Giangiacomo Schiavi, Nicoletta Del Vecchio, Claudio Baroni e Paolo Aresi. «Ognuno è ciò di cui si prende cura» recita un sottotitolo dal gusto profetico, alla vigilia di un’edizione diversa negli strumenti e nelle modalità di fruizione, ma anche ricca di suggestioni e sfide che, a Chiari, da qualche anno non spaventano troppo, anche grazie a questo braccio teso in aiuto dal Governo. «Per il futuro mi aspetto che possano nascere reti più forti, con editori e altre realtà culturali. La rassegna è resa possibile da una forte rete del territorio, e forse proprio in questo sta il significato ultimo del lavorare in provincia, mettendo in comunicazione le associazioni, gli enti e la cittadinanza. Proprio per questo siamo felici di rimanere a Chiari, e non vorremmo spostare questa rassegna in altri luoghi ma piuttosto aumentare la nostra presenza e i progetti condivisi in tutto il Paese. In questo sta il grande merito del Ministro Franceschini, che ha scelto di premiare una realtà piccola come la nostra: ha voluto accendere la luce su questo territorio, e su esperienze che possono diventare un modello anche per altri. Questa energia può avere onde positive, che possono raggiungere altre persone e gli editori, dimostrando che è possibile pubblicare libri, far circolare le idee. I piccoli centri possono resistere, possono attivarsi e organizzare occasioni di grande valore, e questo riconoscimento è un modo di dire che dobbiamo continuare a tenere duro».