«Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura»
(Marco Polo in Le città invisibili di Italo Calvino)
Periferia deriva dal greco antico περιφέρω (periphérō) e significa letteralmente “svilupparsi intorno”. Le periferie sono l’estensione dei centri storici e sono i motori del cambiamento urbano. È proprio leggendo queste sezioni metropolitane che possiamo capire la storia del luogo stesso. Il fotografo d’architettura Gabriele Basilico, fortemente affezionato alla città di Milano, amava parlare di «meridiani di forza», «meridiani di energia» per riferirsi proprio ad aree urbane specifiche, ossia le periferie, definendole come i luoghi in cui avvengono le trasformazioni. Milano non avrebbe questa composizione, se non ci fossero state le fabbriche e gli scali ferroviari per il trasporto delle merci, siti sorti proprio in corrispondenza delle zone periferiche. Di conseguenza al giorno d’oggi abbiamo una città che sta divenendo sempre meno uni-centrica e sempre più policentrica, aspetto urbanistico fondamentale nell’era postmoderna in cui viviamo. Gabriele Basilico ha lasciato un’eredità storica fondamentale per ricostruire il cambiamento urbanistico di molteplici città sia del suolo italiano che del panorama internazionale. In Milano. Ritratti di fabbriche (1981), progetto che ha reso possibile il suo lancio come fotografo e artista a livello internazionale, ha realizzato volutamente una rassegna sistematica di tutte le zone industriali della città.
Basilico non si limitava a creare delle fotografie di architetture e di spazi urbani, bensì creava dei veri e propri ritratti degli edifici stessi: la composizione, la scelta dell’inquadratura, lo studio delle luci e la conseguente scelta della fascia oraria diurna che più si addiceva a quel perimetro di strada. Tutto veniva sapientemente pianificato con lo scopo di realizzare la migliore rappresentazione degli angoli e degli edifici che spontaneamente catturavano il suo sguardo. Con le sue immagini, scattate a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, Basilico ci ha regalato «l’ultimo ritratto possibile di quella città anche e ancora operaia la cui identità sarebbe per sempre mutata»[1].
Nelle sue fotografie Basilico deliberatamente non ci mostra la presenza umana ed è per questo che i suoi edifici risaltano proprio come fa un volto in un ritratto. L’assenza di persone dona alle sue immagini un’atmosfera quasi surreale ma al contempo statica: «Tendo ad aspettare che non ci sia nessuno, perché la presenza di una sola persona enfatizza il vuoto e fa diventare un luogo ancora più vuoto. Mentre se lo fai vuoto e basta, allora diventa spazio metafisico, alla Sironi o alla Hopper».
Vi è una sorta di magia all’interno di questi scatti che immortalano, e sicuramente documentano, la Milano del mondo operaio, la Milano dei capannoni da lavoro, una Milano genuina che molto spesso si tende a dimenticare associando il territorio meneghino ad un certo benessere, al mondo della moda e al design. Gli istanti “congelati” da Basilico hanno proposto una scansione di quel mondo lì che oggigiorno si tende a bypassare presi dalla corsa alla novità e all’aggiornamento.
Nel 2017, trentacinque anni dopo la pubblicazione di Milano ritratti di fabbriche, il fotografo Giuseppe Corbetta ci ripropone la ricerca mettendo a confronto le immagini scattate da Basilico con suoi scatti attuali. Ancora una volta vediamo l’indagine meticolosa di questi luoghi-non luoghi: vecchie fabbriche, edifici rinnovati e costruzioni prima inesistenti animano le immagini dell’opera di Corbetta. Milano sud, Ritratti di fabbriche 35 anni dopo presenta un’analisi visiva a confronto e ci aiuta a capire che tipo di sviluppo e trasformazione hanno avuto gli edifici fotografati da Basilico negli anni Settanta e così il paesaggio urbanistico della città. La ricostruzione delle mappe fedele alle fotografie, la ripresa dell’archivio di Basilico e i dettagli storici che ci forniscono i testi d’accompagnamento ad ogni immagine fanno trapelare il lavoro accurato che si cela dietro il progetto. «Tutto ha avuto inizio dalla mostra che ho visto allo Spazio Oberdan del 2009 sulle fabbriche di Basilico. Mi ha affascinato l’idea di ritrovarle e fotografarle. Da qui mi sono accorto come la città stava cambiando secondo una sua logica», ci racconta Giuseppe Corbetta in una chiacchierata insieme alla figlia Valeria Corbetta. Entrambi tra i fondatori e promotori, insieme a Stefano De Crescenzo, Andrea Corbetta e Valentina Brunello, di Forme Urbane, laboratorio multidisciplinare che si concentra su progetti urbanistici con un approccio pratico ma anche visivo-estetico. Così, anche il progetto sulle fabbriche e gli scali periferici della città di Milano, partito dalle “tesi” di Basilico, nasce come lavoro fotografico ma diviene successivamente un’analisi con strumenti e informazioni utili per cittadini, progettisti e chiunque si voglia interessare e appassionare all’argomento.
«Basilico si era accorto di aver immortalato un momento della storia di Milano in cui le fabbriche da attive iniziavano ad essere dismesse», spiega Corbetta. «Sono immagini che mai più ci saranno, raccontano la funzione del momento. Anche noi quindi siamo ripartiti da qui cercando di capire quali fossero le funzioni di queste fabbriche, cosa raccogliessero al loro interno. Parlando con lo studio Basilico, in particolare con Giovanna Calvenzi, photo-editor e sua compagna di una vita, abbiamo capito quanto fosse importante continuare questo progetto perché proprio analizzando la situazione attuale insieme a quella passata si può capire come sviluppare l’assetto urbanistico e far evolvere le zone degli ex scali». In questo modo il gruppo Forme Urbane ha seguito le tracce del “misuratore di spazi” – così Basilico amava definirsi – servendosi inoltre delle stesse lenti usate negli anni Ottanta per farci guardare la città come il fotografo aveva fatto e per ritrovare quegli indizi che lui stesso per primo aveva percepito. Egli amava ripetere quanto fosse importante ritornare sulle proprie tracce e si recava spesso negli stessi luoghi per fotografarli una seconda, una terza volta.
Tra i tanti luoghi, un edificio in particolare continua a richiamare la nostra attenzione tanto che la sua immagine è divenuta col tempo un simbolo del lavoro fotografico di Basilico. Mi riferisco a una struttura di servizio che in passato funzionava come magazzino FS dello Scalo di Porta Romana, situata su via Ripamonti in prossimità del ponte, verso via Lorenzini. Una piccola palazzina senza una forte valenza storica è divenuta oggigiorno iconica e quasi simbolo di un’epoca legata alla storia della città.
Milano suggerisce spesso un’idea frenetica: è uno di quei luoghi dove rischi di perderti se ti assenti troppo a lungo, o meglio, rischi di non ritrovare ciò che stavi cercando. A questo proposito, il piccolo edificio tanto caro a Basilico e a chi, grazie alla sua stessa fotografia, l’ha santificata a monumento storico, potrebbe sparire sotto i nostri occhi. Lo scatto tanto simbolico di Gabriele Basilico racchiude l’immagine di un’intera epoca, così come l’edificio stesso. Secondo i nuovi progetti di riqualificazione della zona, lanciati per l’area dell’ex Scalo di Porta Romana, in pochi anni sorgerà il villaggio olimpico, dove si terranno le prossime olimpiadi invernali del 2026, ancora una volta un’occasione di crescita e visibilità per la città di Milano. Oggi abbiamo un lungo tratto di binari, lo scheletro di un quartiere-fantasma, in futuro avremo un enorme complesso moderno con aree verdi e palazzi realizzati secondo le nuove tendenze.
Guardando Milano, molte sono le trasformazioni che la città ha subito: l’estensione del centro storico dal suo passato romano fino al XVII secolo; la chiusura di molti canali di navigazione; la trasformazione dei quartieri-operai in zone creative e alla moda; la bonifica della darsena e del quartiere Isola intorno all’ex scalo Garibaldi; le nuove costruzioni avanguardistiche di Gioia, Garibaldi, Rho Fiera, Tre torri. Cosa resterà in ricordo degli episodi storici che quarant’anni fa ci hanno portato dove ora siamo e stiamo cercando di andare? È importante lasciare delle tracce, delle rovine, delle icone urbanistiche per onorare la memoria storica dell’umanità e della società. L’architettura del passato ci parla tutt’ora, ci insegna e ci ricorda da dove veniamo.
Pertanto, la proposta, lanciata ora in una petizione promossa da Forme Urbane e Cascina Cuccagna,è proprio quella di rendere l’edificio simbolo di Basilico una struttura “viva” che vada incontro agli interessi di chi abita in quel perimetro di Milano e non solo. La prospettiva è quella di rivitalizzare un ex magazzino lasciando che la sua memoria storica si unisca ad una nuova funzione, utile per le esigenze dei cittadini locali e al contempo dei progettisti e delle nuove realtà che stanno sorgendo nell’area dello Scalo Romana.
[1]Roberta Valtorta, Trent’anni dopo, in Gabriele Basilico Milano ritratti di fabbriche, p.7, Federico Motta Editore, Milano, 2009.
Immagine copertina: (C) Gabriele Basilico, via Giuseppe Ripamonti, Courtesy Studio Gabriele Basilico