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La parola che accoglie. La scrittura manuale nell’epoca del digitale



Kushim. Questa è forse la firma più antica che conosciamo, siglava una tavoletta di argilla ritrovata vicino ad Uruk, in Mesopotamia, e risale al 3.500-3.000 a.c. Le prime forme di scrittura a noi vicine sono nate in quel periodo tra il Medio Oriente e il Mediterraneo, altre forme sono nate in diverse parti del globo. La scrittura non ha solo accompagnato il cammino della civiltà ma le ha dato battesimo, è difatti considerata lo spartiacque tra la “preistoria” e la “storia”, tra tutto quello che c’era prima dell’invenzione della scrittura e tutto quello che c’è stato dopo. E di invenzione si tratta, giacché non è determinata dalla natura ma è un prodotto culturale e di ingegno.
Le prime forme scritturali mesopotamiche ed egizie erano ideografiche e quindi piuttosto complesse, con innumerevoli segni da memorizzare; con l’adozione della scrittura alfabetica, inventata dai Fenici, questa si diffuse tra un maggior numero di persone, nobili, dignitari e funzionari, perché di più semplice utilizzo: con pochi segni si poteva rendere graficamente una intera lingua parlata. La scrittura alfabetica è stata utilizzata per il greco ed il latino. Dal 1800 in poi, nel mondo occidentale, la scrittura è diventata patrimonio di tutti e con l’obbligo scolastico ogni cittadino ha potuto contare su questo formidabile mezzo di comunicazione ed espressione del pensiero.
La scrittura ha, ed ha avuto, un’importanza fondamentale per l’uomo, la società e il suo progresso. Saper “leggere e scrivere”, ossia le abilità intellettive e manuali, sono ciò che banalmente ci differenzia dagli altri animali ed è il primissimo tassello base su cui si fonda la sapienza. Scrivere a mano attiva diverse aree del cervello e coinvolge, tra mano e braccio, trentaquattro articolazioni, le quali si trovano, in quel momento, tutte in una posizione e relazione precisa.  E se è vero che tutti sanno scrivere, è vero anche che la grafia di ognuno è personalissima e difficilmente imitabile, rispecchia la nostra indole e le nostre strategie esistenziali.

Eppure scrivere ci sembra un’operazione banale e scontata. Non siamo consapevoli di tutta la maestria, l’abilità e la perizia, da un punto di vista cognitivo e motorio, che esercitiamo nel semplice atto di redigere un testo a mano. Né valutiamo tutta la storia, il retaggio, le implicazioni, il sapere millenario che la scrittura porta in punta di penna. Oggi pare che la scrittura manuale stia attraversando un periodo di crisi, la videoscrittura ha soppiantato la scrittura manuale, scrivere a mano pare cosa obsoleta, sorpassata, vintage, scomoda. Le grafie stanno peggiorando, i bambini faticano a scrivere, stanno perdendo manualità a causa di uno stile di vita che offre poche opportunità di svolgere attività manuali e a corpo libero e si preferisce riempire il tempo con videogiochi e tablet, in questo modo i bambini perdono abilità di base e competenze. Negli ultimi vent’anni le grafie sono lentamente degenerate, il risultato è drammatico e comincia ad allarmare non solo insegnanti e dirigenti scolastici, ma anche studiosi, intellettuali, giornalisti: anche l’Accademia della Crusca si è pronunciata in merito, e nel 2017 un appello in materia, firmato da 600 docenti universitari, è stato presentato in Parlamento.
Al di là degli interventi pedagogici e scolastici, anche a livello di riferimenti ministeriali, che al momento mancano, rivalutare la scrittura manuale come prodotto squisitamente umano e artistico (inteso come mestiere che necessita dell’apprendimento di “un’arte”), e da un punto di vista ontologico e culturale, potrebbe aiutare a cambiare paradigmi e a non considerare la scrittura manuale come uno strumento inutile, scontato, sorpassato e poco funzionale, facilmente sostituibile dalla videoscrittura senza conseguenze.

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Recenti studi hanno dimostrato che la scrittura manuale facilita i processi di apprendimento e la memorizzazione assai meglio della scrittura su video. Coinvolge le aree celebrali deputate alla memoria ed al linguaggio, e mette in corrispondenza cervello e motricità fine in una sinergia assai più complessa e ricca che non con la videoscrittura. Inoltre favorisce la costruzione del pensiero. In questo senso, la scrittura manuale fa parte del nostro bagaglio culturale, collettivo e personale, e da migliaia di anni essa è parte integrante della storia dell’uomo. Sono stati scritti a mano il Codice di Hammurabi, i Vangeli e i Rotoli del Mar Morto, la parola Democrazia ad Atene nel V secolo a.c., il De bello Gallico, la Vita et gesta Caroli Magni, la costituzione degli Stati Uniti d’America. Le missive sono state l’unico mezzo di comunicazione a distanza prima dell’invenzione del telegrafo. Ogni documento, atto catastale o anagrafico, è stato redatto a mano fino a metà del ‘900. Sono stati scritti a mano la Recherche di Proust, Il corvo di Poe, le Poesie di Ungaretti.

La scrittura manuale fa intimamente parte di noi e della nostra cultura. Non è un ammennicolo di cui avremmo potuto fare a meno, è stata parte integrante del cammino della civiltà umana, e fa parte, in mille modi, dell’esistenza e della storia di ognuno di noi, dal tema dell’esame di Stato alla firma sul contratto, dalla pagina del diario di viaggio alla scrittura espressiva utilizzata in psicanalisi.
Scrivere a mano è un dono che facciamo a noi stessi e agli altri, perché nel segno lasciamo traccia di noi. Mi spiace pensare che pochi potranno trovare tra qualche anno, fra le pagine di un vecchio libro, la lettera che ci aveva scritto l’amica lontana, con la sua grafia tondeggiante, o spigolosa. Proprio l’amica a cui ora si pensa più spesso e si sente più vicina. I suoi messaggi WhatsApp, tra qualche anno, dove saranno?
La scrittura manuale fa parte del nostro immaginario collettivo tanto da rientrare in innumerevoli intrecci narrativi. Ne Il nome della rosa di Umberto Eco, un misterioso manoscritto si scopre letale per chi lo legge. In Cronaca di una morte annunciata di Gabriel Garcìa Màrquez, Angela Vicario, per quasi vent’anni, invia incessantemente lettere al marito che l’ha lasciata il giorno dopo le nozze. Un giorno Angela scrivendo l’ennesima lettera urta il calamaio, alcune gocce di inchiostro cadono sul foglio e Angela chiosa «A riprova del mio amore, ti mando le mie lacrime». Ne La mala ora, per rimanere a Màrquez, qualcuno affigge pasquinate sulle porte di casa del paese, gettando il villaggio nello scompiglio e causando un morto ammazzato. Anche i messaggi nella bottiglia sono scritti a mano, e le mappe del tesoro, come la mappa di Willy l’Orbo il cui tesoro viene ritrovato dai Goonies nel celebre film del 1985. E che dire del filone del romanzo epistolare: Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo, Le relazioni pericolose di Pierre Choderlos de Laclos, Herzog di Saul Bellow, Dracula di Bram Stoker. In L’amore non si dice di Massimo Vitali, Edoardo scrive all’amata Teresa lettere piene di sentimento in cui parla di ogni cosa ma dove la parola Amore non può comparire, per divieto di lei.

Se gli scrittori del passato hanno scritto per forza di cose le loro opere a mano, molti scrittori più recenti utilizzano o hanno utilizzato la scrittura manuale per la prima stesura dei loro libri. La videoscrittura ci permette di scrivere lunghi testi, di correggerli, modificarli, ampliarli velocemente e con pochi click, venendo però in questo modo a perdersi il processo creativo che si nasconde dietro al testo. Esistono molti istituti che si occupano della conservazione di manoscritti originali, tra i quali l’Harry Ransom Center ad Austin, Texas. Questo centro conserva manoscritti di scrittori americani, e non solo, come James Joyce, Don DeLillo, Graham Greene, David Foster Wallace, J. M. Coetzee, Kazuo Ishiguro, T.C. Boyle, Gabriel Garcìa Màrquez, Ian McEwan. I manoscritti di questi autori ci permettono di venire a contatto ed osservare lo sviluppo del testo, il metodo di lavoro dell’autore, la gestazione dello scritto, il flusso mentale dello scrittore: le cancellature, le note, i ripensamenti, tutte cose che da un testo scritto al computer non possiamo assolutamente cogliere.

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Questo è parte del manoscritto del romanzo incompleto The Pale King, di David Foster Wallace, uscito postumo nel 2011, edito in Italia da Einaudi con il titolo Il re pallido. Il manoscritto, conservato all’Harry Ransom Center, mostra la bozza del romanzo e il suo processo di stesura. Dallo scritto possiamo quasi intravedere lo scrittore pensoso sul foglio. Il testo è fitto, scritto con grafia minuta e regolare, ma la metodicità è solo apparente, si trovano qua e là annotazioni e appunti, come guizzi del pensiero che anticipano, o ampliano, il flusso creativo del testo. Ovviamente da una pagina scritta in word tutto questo non sarebbe possibile, il che rende questi documenti particolarmente preziosi.
La scrittura manuale ha un suo fascino e una sua “allure” che coinvolgono, catturano e ci parlano dello scrivente anche a livello subliminale. Senza andare a scomodare la grafologia. Sempre all’Harry Ransom Center è conservata questa lettera inviata da Jack London nel 1904:

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La missiva è una comunicazione formale a Mr Peck: poche righe ariose, scritte in corsivo. La lettera manoscritta però ha un suo carattere e un’aria precisa. La scrittura è veloce, London è impaziente, sta per partire per il Giappone e pare quasi di scorgere il bagaglio nella stanza. La parola «Japan» sembra già un’avventura. «Your book» e poi una lunga linea che suggerisce una sosta per una riflessione e diverse cose lasciate ad intendere; e poi risolutivo: «Non so proprio dove potrà trovarmi». Lo spazio del foglio è occupato per intero, London ha fretta di espletare tutte le incombenze prima di partire, la grafia è ampia e rapida, lo scritto non è ponderato. La comunicazione è secca, ma London sa trovare comunque lo spazio per una dimostrazione di cortesia all’ultimo momento, «sincerely yours».
La stessa comunicazione in un messaggio WhatsApp risulterebbe così:

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Il messaggio è lo stesso, le informazioni anche. Ma ha tutt’altro sapore. La grafia personale, il suo rapporto con lo spazio, il movimento, la materia non ci veicolano solo il contenuto ma ci avvicinano la persona, come uno sguardo, e ci permettono di “leggere tra le righe”, letteralmente.
Oppure prendiamo una lettera di D’annunzio conservata al Vittoriale. È il primo foglio di cinque:

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È una lettera erotica ad un’amante. Poche righe per foglio, la scrittura è ampia, d’altronde il desiderio è incontenibile e notoriamente anche la personalità dello scrivente. Il tracciato della grafia dilaga nello spazio, sembra cerchi febbrilmente l’amata precipitandosi in ogni stanza. L’ardore è palpabile e quasi doloroso, guardate quanto è tormentata la seconda T della parola «tormenti». Gli affondi sono profondi, la scrittura è mossa e pastosa, lo scritto concitato ma ricco di abbellimenti leziosi, di certo la destinataria non può rimanere indifferente.
La stessa lettera scritta via mail risulterebbe più o meno così:

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Nessuna T tormentata qui, e in confronto si percepisce lo stesso ardore di un comodino.
Mi pare dunque evidente la preziosità della scrittura manuale a confronto con videoscrittura e comunicazione social. L’impatto emotivo di una grafia, con le sue sfumature e la sua personalità, non è paragonabile a quello di una scrittura su schermo la quale appare, per ovvie ragioni, più asettica, impersonale e meno plastica. La nostra grafia ci palesa in qualche modo, richiama una presenza, un peso, un contatto, una percezione. Crea connessioni impalpabili. Esprime uno stato d’animo, un clima, un modo di essere che mostriamo all’altro e che abbassa le difese e i filtri. La grafia cambia a seconda dell’umore e dell’ora del giorno, e ci mette a confronto con noi stessi.

Lo sforzo di accomodamento che dobbiamo mettere in atto per accogliere una grafia altra dalla nostra attinge alla nostra sensibilità, sollecita la nostra umanità, intesa come comprensione e indulgenza verso l’essere umano. Mi auguro che sempre più persone decidano, deliberatamente, di optare per una scritta di proprio pugno di quando in quando, quando è il caso, o quando è il momento, per il desiderio di farlo o per un progetto preciso; tenendo presente che la scrittura corsiva va esercitata, altrimenti rimane immatura. Certo, continueremo ad inviare e-mail e mandare messaggi WhatsApp, ma personalmente non vorrei un mondo senza scrittura manuale. Mi sembra una perdita davvero troppo grande.

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