In Brave New World (1934) Aldous Huxley immagina un mondo distopico altamente tecnologico in cui non solo la riproduzione viene controllata ed emancipata dal sesso, ma anche i cittadini vivono in una protratta adolescenza fra intrattenimento costante, sostanze euforizzanti capaci di eliminare ogni emozione sgradevole e periodiche trasfusioni di sangue ringiovanenti. Vi ricorda qualcosa?
Meno di un secolo dopo, possiamo dire di vivere in una società ossessionata dalla giovinezza. La maturità? Landa desolata e circoscritta agli ottuagenari, minimo. Molti si definiscono giovani dentro o diversamente giovani creando luoghi mentali malfamati. La filosofa Susan Neiman, in un saggio uscito per Penguin nel 2016 Why grow up?, definì la nostra epoca the infantile age. (A voler essere masochisti potremmo aggiungerla alla cultura del piagnisteo di Hughes e a quella del narcisismo di Lasch. Infantili, lamentosi e narcisi. Sta a voi decidere quanto sia vero.)
La Neiman sostiene che l’assenza di modelli accattivanti di maturità non sia un caso: definendo la giovinezza l’età dell’oro e la vita dopo i trenta come un processo in discesa, ci prepariamo a un mondo di Peter Pan.
L’influenza giovanilistica ha pervaso tutti i media, che hanno progressivamente perso il loro originario spessore pedagogico e culturale a favore del divertimento e dell’intrattenimento. La cultura giovanilistica contemporanea che abbiamo creato e che nutriamo ci tiene lì. Non cresceremo mai.
I social network sono lo specchio in più alta definizione della nostra cultura infantilista. Vicine di casa o celebrity di mezza età alle prese con balletti e sorrisi isterici che imitano le loro concorrenti tredicenni, oppure l’esperto nutrizionista, neoinfluencer, che spiega per punti, lessico elementare e sorriso forzatissimo (se ne respira l’imbarazzo) come se davanti avesse una classe di settenni. Che dire dell’amica non più teen che continua a pubblicare autoscatti con le orecchie da coniglietto, aggiungendo una dozzina di faccette ed emoticon? La lista potrebbe essere infinita.
Agli anglosassoni sappiamo quanto piacciano i neologismi, ed ecco che arrivano termini come i kidults, gli adultchildren e adultcents per definire i cittadini di questa nostra età infantile.
Ma si sa non è solo una questione di contenuti, ma anche di apparenza. Sui social, soprattutto noi donne, possiamo falsificarci e darci al mondo intatte e fresche come delle adolescenti, anche se i natali segnalano molte più decadi. Il trucco, i filtri e Photoshop arrivano dove la chirurgia ancora non riesce (e sono indubbiamente più economici). Gli effetti? Se si eccede, cartoons e transumani.
È quello che sta accadendo a Madonna, la matrona del pop, ma non più unica regina, che molti fan non riescono più a riconoscere nelle sue ultime performance da lolita di età imprecisa.
Pelle setosa come le natiche di un bambino, viso incorniciato da extension biondo platino, bocca rimpolpata alla Jessica Rabbit, corpo fasciato in mini-short e top di pelle super sexy. Perse le connotazioni primigenie, appare come creatura transumana, aiutata dall’innovazione tecnologica. A questo si aggiungono twerking e affermazioni sessualmente giocose e anche un po’ strampalate, crediamo con l’intento di provocare e sconvolgere ma che, anche a noi ben poco perbenisti e moralisti, lasciano un poco interdetti. Insomma, non siamo sicuri di aver capito quello che abbiamo appena visto.
Negli ultimi tempi le sue immagini e performance vengono spesso giudicate dai fan, giornalisti e commentatori e altri vip come Fifty Cents come fuori tempo massimo, se non eccessivamente ritoccate. Il trait d’union delle critiche? Che Madonna stia provando in maniera fin troppo forzata d’apparire quello che ormai non è più: giovanissima. «It’s like watching my grandmother attempt to be hot» recita un commento sotto un suo video da night club.
E questo non è troppo di nostro interesse. “Vivi e lascia vivere” è un mantra. Che Madonna faccia quello che vuole. Più avvincente, semmai, ed esemplare dei nostri tempi sono le sue risposte, piccatissime, a queste critiche. Da qualche anno lady Ciccone lancia, pavlovianamente, la triplice accusa: misoginia, sessismo e ageism (in italiano potremmo definirlo discriminazione verso i più anziani).
Significativa è l’accusa di ageism. Al Billboard Women in Music nel 2016 nel suo lungo discorso di accettazione del premio come “Donna dell’anno” lamentava, fra le innumerevoli altre cose, un differente trattamento fra uomini e donne mondo della musica, aggiungendo «The age is a sin».
Certo, la nostra società, come abbiamo visto, vive nel culto giovanilistico. Il mondo della musica pop è l’emblema del lolitismo, ma è anche vero che star come Kyle Minogue, Cher o Jennifer Lopez continuano a esserci, sebbene non nella stessa maniera in cui presenziavano ai loro inizi.
Con più interesse, ci chiediamo come si possa combattere il supposto ageism apparendo più liscia di una tiktoker nata nel 2010 con esibizionismi audaci e sculettanti che ricalcano quelli delle più giovani pop star che primeggiano come Dua Lipa o Cardi B.
Volendo essere audaci, potremmo dire che Madonna sia finita nello stratagemma autolesionista della nostra epoca. Ovvero quello di conferire alle giovani generazioni la sovranità sull’immagine e sulla cultura. Insomma, se un tempo Madonna anticipava e dettava le regole, ora sembra essersi adeguata all’estetica e ai gusti della Generazione Z.
Nel 1990 la femminista contrarian Camille Paglia uscì con un articolo sul New York Times, vero panegirico, in cui definiva Madonna «a real feminist», per la sua capacità di promuovere una figura femminile liberata ma comunque amica del maschio. Una dominatrice lontana dal femminismo sessuofobico e puritano americano allora in auge. La sua missione dichiarata è sempre stata quella di provocare e sconvolgere. Per anni ha eseguito le sue acrobazie riuscendo a farle divenire riferimenti culturali e sociali.
Dopo quasi trent’anni la stessa Paglia non riconosce più nella sua figura la stessa forza emancipatrice, ambiziosa ed energica. Il motivo non è solo nella sua incapacità a evolversi («nei suoi sforzi per rimanere rilevante, Madonna si è svilita con immagini Instagram adolescenziali e pietosamente inette» scrive) ma anche nelle dichiarazioni autoindulgenti, intrise di vittimismo, come in quel lungo discorso per il Millboard.
Ma si badi, Madonna si arrabbia non solo perché la musica pop predilige le ninfee ma anche perché le donne dopo i cinquant’anni non vengono viste come animali sessuali. I biologi evoluzionisti potrebbero obiettare che c’è un motivo per cui la moda, le pubblicità e il mondo dell’intrattenimento si concentrano sulle immagini di donne in età riproduttiva e uomini al loro apice fisico. Tuttavia, questi campi non vengono mai contemplati. Una delle grandi sviste promosse dal femminismo à la page d’ora è il far credere alle donne che tutto ciò che non hanno e sia a loro avverso sia colpa della società e della cultura. La natura? Mai chiamata in causa.
Un po’ di tempo fa lessi una vecchia intervista all’attrice Laura Morante. Alla domanda se avesse paura di invecchiare rispose: «Mia madre, che era una donna bellissima, diceva: ‘Non vedo l’ora di invecchiare, così finalmente potrò sedermi al bar e guardare la gente’.»
Ricordai quella frase perché fungesse da balsamo motivazionale ogni qual volta fossi stata presa dallo sconforto dalla mia decadenza e dai minori sguardi ammirati (sì, lo ammetto. Mi piacciono). Un’osservazione così semplice risuona come un monito in questa società, amplificata dai social, in cui tutti vogliamo essere protagonisti e forever young.
Oggigiorno chi è disposto ad arretrare, a sedersi e a cambiare la prospettiva? Pensiamo solo alle attrici di Hollywood che si lamentano di non essere considerate “come un tempo” dopo i cinquanta. Certo, è giusto chiedere che ci sia un intrattenimento meno giovanilistico e adolescenziale. Tuttavia, una cosa è richiedere ruoli maturi per un pubblico maturo, un’altra è affermare, come fece l’attrice Kristin Scott Thomas, di «sentirsi trasparente sul tappeto rosso». Insomma, la signora ai tempi aveva cinquantanove anni. Arriva il momento in cui bisogna lasciare lo spazio alle più giovani. Se invece si parla di ironia, autoironia, coscienza e saggezza? Ecco, le carampane potranno sempre vincere. Hanno l’esperienza dalla loro parte.
Un’altra femminista controversa, Germaine Greer, nel 2006 uscì con un saggio The Change: Women, Ageing and the Menopause, in cui auspicava una possibilità per le donne di vivere in coscienza il cambiamento che comporta il non essere più in età riproduttiva: «le donne dovrebbero sviluppare strategie migliori per gestire una transizione così difficile. Come? Non vivendola come negazione o rinvio del cambiamento, ma come accelerazione del cambiamento. Possiamo tornare a essere ciò che eravamo prima di diventare uno strumento sessuale e riproduttivo», afferma.
Insomma, si potrebbe vivere il non essere più delle lolite sexy come una forma di liberazione, un po’ come auspicava la mamma della Morante. Perché no?
Un adulto, scrive di nuovo la Neiman in Why grow up?, «sa come il mondo dovrebbe essere senza mai perdere di vista ciò che è». Noi donne, forse più degli uomini, siamo chiamate a fare i conti con una biologia fin troppo avversa. Sarebbe bellissimo rimanere delle strafighe lisce, sode e giovani a vita, tuttavia sappiamo quello che è: non succederà mai.
Il mito della gioventù, i filtri e la tecnologia ci fanno credere che possiamo ancora competere con le ragazze. Ma è un’illusione, oltre che impietoso verso le nuove generazioni. Nel fare ciò, paradossalmente, nel rivendicare un’indipendenza dai dogmi sociali per combattere l’ageism, si ribadiscono, invece, i dogmi sociali stessi.
Insomma, la trasformazione transumana e adolescenziale di Madonna è una maniera per combattere la discriminazione verso gli anziani? Come recita il sottotitolo di un articolo di Spencer Kornhaber sull’Atlantic, «Maybe she’s fighting ageism. But maybe she’s making it worse».
Madonna non combatte l’ageism, semmai celebra la gioventù.
Il trionfo di un’eterna giovinezza.