Così ci parla il frammento 1 Diels-Kranz del filosofo presocratico Eraclito di Efeso (nella traduzione di Carlo Diano e Giuseppe Serra):
«Non intendono gli uomini questo Discorso (lógos) che è sempre, né prima di udirlo né quando una volta lo hanno udito, e per quanto le cose si producano tutte seguendo questo Discorso (lógos), è come se non ne avessero alcuna esperienza, essi che di parole e di opere fanno pure esperienza, identiche a quelle che io espongo distinguendo secondo la sua natura ogni cosa e mostrando come è: ma agli uomini sfugge quello che fanno da svegli, e di quanto fanno dormendo non hanno il ricordo.»
Se siamo al mondo, c’è un senso, che si rivela peraltro continuamente nel nostro campo esperienziale, individuale e, soprattutto, relazionale: occorre osservare attentamente, per ri-conoscerlo, occorre perciò stare svegli. Cosa ci rivela, allora, Eraclito? Come tradurre le azioni del vegliare e del dormire a cui fa riferimento? È necessario sviscerare il frammento e interpretarlo con un linguaggio chiaro e diretto, perché sia comprensibile. Urgentemente comprensibile. Nell’interpretarlo, attualizzeremo il pensiero, calandolo nel nostro tempo, con grazia, per quel che si può, mista però a una certa premura. Si registra oggi un dato sociale allarmante: l’assenza di consapevolezza, che chiameremo in perifrasi il grande sonno. Il Censis ha intitolato già il rapporto annuale del 2023 I Sonnambuli, definendo la popolazione italiana cieca dinnanzi ai presagi lanciati dalle crisi che investono a tappeto la comunità: crisi demografica, economica, sociale. A parlare, in tal caso, sono dati specifici, che concretizzano il problema lampante di un’Italia precipitata in un sonno profondo del calcolo raziocinante che servirebbe per affrontare dinamiche strutturali dagli esiti funesti.
Si parta dalle cogenze del quotidiano: meccanicamente rispondiamo a sistemi di organizzazione socio-economica che annebbiano la consapevolezza del sé, in quanto non lasciano spazio e tempo alla profonda comprensione delle nostre azioni e dei nostri pensieri nell’arco della giornata, allenando più l’automa che l’anima, più il processo che l’intenzione. Questa risposta al sistema non è un ‘difetto di fabbrica’, ma c’è sicuramente un modo di stare al mondo in grado di unire materiale e spirituale. O forse alle politiche economiche fa comodo che rispondiamo al sistema da dormienti?
Il primo passo per svegliarsi dal torpore quotidiano è, secondo il frammento, fare esperienza del lógos, per intenderlo; in sostanza, avere coscienza del sé, di cosa siamo e di cosa portiamo nel mondo col nostro abitarlo. Tuttə abbiamo diritto alla conoscenza e alla comprensione del metodo che ci conduce alla consapevolezza del sé. Sembra invece oggi estremamente complesso rintracciare questo tempo di apprendimento, perché sembra implicare pericolose rinunce materiali: chi ha di fatto il tempo o anche solo il desiderio di coltivare la propria spiritualità nell’arco della giornata? Questo avviene anche perché, per tradizione, non si tiene in buona considerazione l’arricchimento spirituale che, se sempre anteposto a quello materiale, renderebbe quest’ultimo molto più rispondente alle esigenze del singolo, nonché alle esigenze della società.
Dare una precisa traduzione del termine lógos in Eraclito non è semplice, ma potremmo identificarlo come nucleo, essenza di tutte le cose, quindi ‘parola’, per tenerci in una traduzione letterale dal greco, nella misura in cui consente di definire (e non solo, poiché di fatto è anche origine dell’indefinibile). Il lógos eracliteo è senz’altro energia generativa, poiché è sempre: tutte le cose divengono. Continuamente. E in questo divenire, che è legge universale, ciascuno può riconoscersi e definirsi, assecondando la propria natura e dandole forma. Nel riconoscimento della propria natura, la forma dell’uno s’innesta così spontaneamente nel tutto e risponde alla chiamata universale dell’armonia: ne risulta che la vita del singolo dovrebbe doverosamente essere chiamata all’ascolto del lógos e, se si è assopita, dovrebbe richiamarsi al risveglio! Se questa conoscenza del sé, partorita dall’ascolto del lógos funziona, l’uomo rintraccia la propria natura e intraprende la vita come un percorso di spontaneità, potremmo azzardare a valutare questa teoria come simile al concetto di slancio vitale in Bergson (Evoluzione creatrice, 1907).
Eraclito esplicita come, nonostante tutte le cose accadano secondo il lógos, gli uomini siano tuttavia inesperti dello stesso e si comportano, da desti, come se dormissero: inconsapevoli.
Chiarisce Giuseppe Genna nel suo blog, in un’attenta analisi di alcuni frammenti eraclitei: nel corso del libro il filosofo parlerà poi ripetutamente di ‘dormienti’ in senso metaforico. Nel fr. 75 li chiama «cooperatori inconsapevoli dell’ordine cosmico», nel fr. 73 ammonisce che «non bisogna parlare ed agire come dormienti» e nel fr. 89 afferma che «per i pienamente desti esiste un solo mondo sociale; i dormienti si ripiegano ciascuno verso un proprio mondo personale». Questo ultimo si spiega più facilmente congiungendolo con il fr. 2, che tradurrei: «Bisogna seguire ciò ch’è comune. Ma, pure essendo la Parola comune a tutti, i più vivono come se avessero una ragione personale». C’è dunque oggi un atteggiamento egoico, che ostacola la comprensione del sé, in relazione agli altri e all’ambiente vitale che abitiamo e il lógos non può manifestarsi, se non c’è il riconoscimento del sé in relazione all’altro, se non c’è comprensione dell’altro. Eppure siamo senz’altro dotati di un prezioso strumento di comprensione, la parola, che però sovente non sappiamo usare, da qui l’assenza di consapevolezza: se non sappiamo che nome dare alle ‘cose’, a emozioni, tendenze, sentimenti, ideali, di conseguenza non ne abbiamo contezza, dunque non ne abbiamo consapevolezza. L’assenza di consapevolezza è il pericoloso male del nostro tempo, laddove inseguiamo falsi idoli nel tentativo di riconoscere noi stessi, quando ce ne stiamo solo allontanando; laddove rispondiamo meccanicamente a dinamiche sociali ed economiche, senza ponderarle del tutto; laddove assecondiamo il capitalismo sovente senza motivo. Ed è l’assenza di consapevolezza che genera l’arrivismo; è l’assenza di consapevolezza che genera la violenza; è l’assenza di consapevolezza che genera la guerra, che a monte resta un concetto in sé assurdo e privo di ogni razionalità; è l’assenza di consapevolezza che genera l’incomprensione, l’amarezza. Così si sguazza tra le paure, le colpe, le incertezze e svariate forme d’ansia e ogni giorno ci si chiede perché, aspettando una risposta senza mai cercarla realmente, dormienti e dimentichi del fatto che il lavoro principe a cui siamo chiamati non è in primis quello dell’ufficio o di qualsivoglia ambiente di lavoro, ma quello della ricerca del sé, della scoperta della propria natura (che in greco è φύσις, physis), del proprio daimon, che si faccia strumento perché, di conseguenza, tutto il nostro campo d’azione (dal lavoro, alla famiglia, alle relazioni) ne risulti felice. E così, nello slancio egoico umano che stiamo vivendo, qualcosa si inceppa, perché il lógos, generatore di tutte le cose, si muove in armonia con l’universale: restare nel proprio tornaconto ostacola inevitabilmente l’armonia sociale. E l’inconsapevolezza, che muove il capitalismo, gravita sovrana sulle nostre vite e sui nostri bioritmi. La tendenza di massa palpabile è allora quella della sconsideratezza, della dimenticanza, dell’inconsapevolezza radicata.
Eppure siamo esseri. Esseri umani. E la perifrasi per descriverci non è casuale, nella misura in cui siamo chiamati ad essere, siamo chiamati alla crescita, che implica ricerca, una parola che ha in sé la radice *cre-/*cer- dei verbi latini cerno e cresco, rispettivamente ‘distinguo/scelgo’ e ‘cresco’ (questo verbo, in greco, trova il suo equivalente in φύω, da cui deriva proprio il sostantivo φύσις, physis, ‘natura’): non c’è formazione umana né professionale senza la misura della propria ricerca e della propria crescita.
La conseguenza della mancata ricerca del sé, quindi dell’inesperienza del lógos, per tradurre Eraclito, è il disorientamento, la dispersione, la stanchezza cronica, lo stress incompreso.
Siamo in corsa verso un riempimento economico che, apparentemente, fa girare il mondo, ma in realtà ne preclude la reale e migliore produttività. Il rischio è quello di un’implosione.
Compresa la pericolosa sussistenza di inconsapevolezza, come ci si può meravigliare della ingiusta distribuzione delle ricchezze nel mondo, della guerra, delle risse nei luoghi di rappresentanza politica, dell’Antropocene, del disagio sociale? Finché non ci sarà un risveglio dal sonno, come potremo meravigliarci? Finché l’uomo non si muoverà verso la conoscenza del sé, che è un processo che lo porta ad andare necessariamente in profondità, come potrà considerare anche l’altro e comprenderlo altrettanto a fondo? Il rischio è quello di fluttuare in superficie, in un tessuto sociale che non è organico ed omogeneo, ma, fondandosi sull’incomprensione, spezza rovinosamente la trama sociale, spezza la social catena e ne limita l’affermazione salvifica.
L’esercizio a cui il filosofo ci chiama è allora evidentemente quello dell’avvicinamento al sé, ciascuno in relazione attenta con la propria natura. Conoscersi a questo punto vorrebbe dire anche andare a ricoprire il proprio posto nel mondo con dignità e ‘produttività’, se questo termine è proprio indispensabile al lessico comune, ma sarebbe utile parlare forse di felicità, che in senso etimologico allude al nutrimento, alla prosperità, all’essere fertili in un mondo arso (l’etimologia di ‘felicità’ rimanda infatti al termine greco θηλή, théle, mammella).
Eraclito, in questo frammento, già tra il VI e il V secolo a.C. ricordava quindi al genere umano la sua missione: svegliarsi dal grande sonno e non vivere come fossimo dormienti. Il percorso non è semplice, ma siamo pieni di strumenti che affinano la ricerca e consentono il risveglio. Certo, pare sia sempre più difficile rintracciarli nell’incoscienza che governa il mondo attuale, trascinato in vetrina, di corsa, spesso protagonista di nevrosi destinate a non avere il tempo della cura. Ma il filosofo ci dice, e questo è anche un grande conforto, che c’è un senso nel tutto che abitiamo, e il senso si rende visibile in relazione a quanto siamo svegli. Ed essere svegli vuol dire ri-conoscere, discernere, prendere consapevolezza.
Erich Fromm, ne L’arte di amare, rende semplice questa morale: il compito principale dell’uomo è dare alla luce sé stesso.
In copertina: Namsal Siedlecki. Endo, Installation View, 2023, Courtesy Museo Novecento, Firenze and the artist. Foto Michele Alberto Sereni
Nel corpo del testo: Namsal Siedlecki, Estinti, 2021, Serpentino antico marble, 13.8 x 13 x 10.2 in. (35 x 33 x 26 cm). Photos by Alexa Hoyer. Courtesy Magazzino Italian Art