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Il fenomeno Lauro, dentro e fuori la gabbia dell’amore

Il grande pubblico, di Achille Lauro, ha sentito parlare per la prima volta probabilmente tra il 2018 e il 2019. Dopo la partecipazione alla sesta edizione del popolare reality di RaiUno Pechino Express con Edoardo Manozzi nella coppia dei Compositori, nel febbraio 2019 il trapper romano, al secolo Lauro De Marinis, partecipò al Festival di Sanremo. Il brano in gara, Rolls Royce, scatenò non poche polemiche, fomentate soprattutto dal programma Mediaset Striscia la Notizia, che accusò il cantante di veicolare messaggi dannosi e di invitare al consumo di droghe, raccontate come via per la creatività e per una vita spericolata e incredibilmente glamour.
Da quel punto ha inizio nella mia timeline quello che amo chiamare il “Fenomeno Lauro”. Un fenomeno di marketing, comunicazione e branding personale che per il panorama italiano ha dell’incredibile e che vale la pena osservare con occhio clinico. 

Lauro

Achille Lauro ha una storia pesante alle spalle. Infanzia difficile e vita sulla strada, la sua musica, pur inserendosi a pieno titolo nel genere della trap, ne ha sempre sfumato e addolcito i tratti più duri, quelli misogini, scegliendo di concentrarsi sui temi legati all’ambiente della periferia degradata.
A mano a mano che, con la popolarità mainstream a fare da acceleratore, la sua musica tendeva verso il pop, il concetto Achille Lauro veniva ingrandito, arrotondato, ampliato, caricato di significati universali. 

Al Sanremo successivo la trasformazione era pienamente avvenuta. Durante le cinque serate della kermesse Lauro si è presentato sul palco di volta in volta in un costume diverso, ispirato a vari personaggi della cultura pop e della storia. Profondamente coinvolta in questa operazione la casa di moda fiorentina Gucci, che, dalla nomina a direttore creativo di Alessandro Michele nel 2015, ha accentuato il carattere androgino delle sue collezioni, scegliendo testimonial a livello globale che si inseriscono in un’estetica ben precisa: quella del gioco sontuoso ed eccentrico di mescolanza dei generi e provocando inutile scalpore con vestiti e gonne da uomo fatti sfilare su modelli efebici e dai tratti femminili.
Subito dopo la sua esibizione arrivava puntuale la dichiarazione di intenti sui social network e tramite ufficio stampa. Una sorta di libretto delle istruzioni che delle performance di Achille illustrava dietrologia, contenuti e intenti. 
Mi chiesi immediatamente se questo bisogno di spiegare derivasse da una ingenua mancanza di immediatezza o, più maliziosamente, da una volontà ben precisa e ricercata di dire il meno possibile chiaramente, cosicché solo chi ne aveva i mezzi avrebbe capito. A tutti gli altri sarebbe rimasta l’impressione di aver assistito a un modo particolarmente circense di performare una canzone assolutamente innocua, anzi più annacquata della precedente. 

Lauro

Il culmine? A oggi, il suo (auto?) inserimento nel mondo dell’arte contemporanea.
Il 25 ottobre 2020, dalle 10 alle 17, all’interno del Museo del Cinema di Torino e in occasione della trentacinquesima edizione del Lovers Film Festival, uno dei più importanti festival cinematografici LGBTQI+ d’Europa, è stata infatti esposta quella che è stata chiamata da Lauro stesso «un’opera metafisica» firmata a suo nome. O meglio, dal suo personaggio. 
A quest’opera metafisica, una gabbia fatiscente su ruote dentro cui campeggiava uno degli slogan preferiti dal mainstream, Love is Love, si è aggiunta una performance. Dalle 10 alle 13, infatti, due persone, una con espressione di genere tendente al maschile e una con espressione di genere tendente al femminile, sono apparse all’interno della gabbia. Coperte solo da un lenzuolo bianco, si sono scambiate sguardi e baci per tutta la durata dell’operazione.
Solo dopo, nel passaparola che contraddistingue i social, si è venuto a sapere che le due persone coinvolte erano due donne. Una coppia longeva, pare. In nessun punto della didascalia che accompagna l’opera questo fatto viene sottolineato.

Nel testo che ha accompagnato la performance nelle sue manifestazioni social si legge:

La gabbia, minimale e fatiscente, ricorda le gabbie da circo e le due persone svestite all’interno due animali addestrati per l’ultimo spettacolo. L’atto d’amore, rinchiuso tra le sbarre, diventa metaforicamente solo intrattenimento per il grande pubblico, come se la scelta di amare necessitasse approvazione o applausi, raccontando la nudità che si percepisce quando si è sottoposti a giudizio.

Alla pubblicazione della performance sul profilo Instagram dell’artista è stato affiancato il lancio di un profilo ad hoc chiamato @directedbyAchilleLauro. Zero spiegazioni, ma chiara volontà di segnalare che di opere del genere ne arriveranno altre perché Achille, adesso, si occupa anche di questo. 

Senza negare il suo contributo al canone e ai topos della trap italiana – e non senza una grande ammirazione per le sue operazioni estetiche, che hanno il merito di tendere all’androginia –, l’impressione, da lavoratrice nell’ambito della comunicazione di spettacolo, da osservatrice interessata dei meccanismi e da utente, è che si cerchi di lasciar intendere molto più di quello che si ha il coraggio di dire effettivamente.
Un corto circuito tra la volontà di cavalcare temi caldi e quella di esprimersi in maniera nuova, utile e sfidante su suddetti temi. Di più, una voglia di allargare il proprio target e di auto-eleggersi paladino di questioni di vitale importanza riuscendo però a sfiorarle solo in superficie, quel tanto che basta per timbrare un immaginario cartellino dell’impegno per i diritti civili.

Lauro

Questo tipo di operazione non è certo nuova. Quando si tratta di prodotti dell’intrattenimento, di film, romanzi e di serie tv, per esempio, si parla di Queer Baiting. La sensibilità alle battaglie della comunità LGBTIQ+ viene suggerita, certo, ma i temi non sono mai rappresentati chiaramente sullo schermo o sulla pagina. Lo scopo è intuibile: arraffare una parte di pubblico, che ha comprensibilmente fame di temi che gli sono affini, senza alienarsene un’altra.
Quando però, come in questo caso, si tratta di operazioni prettamente economiche, dopotutto non si parla che di vendita di un brand personale, di un personaggio, l’espressione che è più corretto usare è forse Rainbow Washing.
Il Queer Baiting non è che un ramo del Rainbow Washing, di cui vediamo gli esempi più lampanti a giugno, quando brand che di fatto non hanno mai fatto nulla di concreto per supportare la causa LGBTQI+ si infiocchettano di arcobaleni e si dichiarano dalla parte del movimento. Come non ci è dato sapere.
E Achille Lauro non si sta forse infiocchettando dei colori dell’arcobaleno con questa sua incursione nel mondo dell’arte contemporanea? È questa la sua vera performance metafisica. 






Copertina: da TorinoOggi.it
Achille Lauro durante il tour di Rolls Royce by Sugarkane Studio
Achille Lauro e Boss Doms a Sanremo 2020: dal Giornale di Sicilia.it
Grafica sul Rainbow Washing by Katie Martell

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