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Ho tanta nostalgia di Sirmione. Sulle ceneri di Maria Callas

Questo libretto contiene le confidenze più o meno veritiere – più o meno tendenziose e deliranti – di tre anziani signori a un giornalista italiano, il curiosissimo e gentilissimo dottor Vanelli. Giunti infatti al termine del loro cammino mortale e sentendosi assediati ormai dalle ombre del passato, tutto ad un tratto essi iniziano a parlare (e a straparlare) onde prolungare l’attesa della loro ultima ombra.
E’ come se quei tre candidati a una morte imminente – vale a dire
a) il vedovo di Maria Callas, commendator Giovanni Battista Meneghini
b) un grafomane impenitente che accompagnò Mario Dondero nelle campagne del Polesine
c) un vecchio signore che fu allievo di Bruno Schulz
si ostinassero a chiacchierare all’infinito, senza un attimo di tregua. Al punto che le loro chiacchiere da moribondi finiscono per costituire i tre tempi diversi, ma complementari, di un solo e unico disegno narrativo. Le tre parti allucinate, ma razionalmente combacianti, di un medesimo e unitario trittico del rimpianto e della follia.

***

In un giorno di giugno del 1978, a Parigi, dentro un elegante salone di Avenue Georg V, venivano messi all’asta tutti gli oggetti che, fino a pochi mesi prima, avevano arredato l’appartamento di mia moglie Maria.
Anche in quella tristissima circostanza, come già altre volte negli anni precedenti, i giornalisti di mezzo mondo non trovarono di meglio che sommergere il sottoscritto, commendator Giovanni Battista Meneghini, sotto una valanga di calunnie e di falsità.
In prima fila un uomo tozzo, dai capelli bianchi – così ebbero l’impudenza di scrivere – faceva offerte a ritmo incalzante, furibondo, proclamando a voce alta in modo che tutti lo potessero udire: «Signori, sono venuto a salvare i miei ricordi!».
E come avrei dovuto comportarmi, di grazia? Me lo dica lei… Io che desideravo soltanto di ricongiungermi a Maria, o perlomeno ai resti mortali della mia amatissima sposa; io che ero corso a Parigi contro il parere dei medici, reduce qual’ero da un gravissimo attacco cardiaco che stava per spedirmi al Creatore, ebbene, cosa mai avrei dovuto fare per meritarmi la stima o la comprensione dei suoi colleghi giornalisti?
Adesso perciò confido in lei, caro giovanotto, la cui intervista al sottoscritto spazzerà via, in un sol colpo, ogni nefandezza detta e scritta sul conto della Callas.
Questo sarà difatti il primo di una serie di incontri attraverso i quali io e lei ricostruiremo, grazie alla mia testimonianza, il cammino mortale della più fulgida stella del firmamento lirico.

Maria Callas
Inedito scatto dall’album di famiglia di Giovanni Battista Meneghini


Adesso che quella stella non c’è più spetta a me difendere il suo nome, come un guardiano devoto che vigila sulle sue ceneri.
Perché è proprio così che me l’hanno ridotta, in cenere, dopo averla umiliata (e, forse, ammazzata) nella sua casa di Parigi, in quella casa talmente priva di calore domestico da assomigliare a una tomba. In cenere, capisce? Ceneri poi gettate e disperse sulle onde dell’Egeo, così è svanita la mia Maria, è bene lo si sappia!
Si sappia che la sua persona, che mi era più cara della luce degli occhi, si è dissolta per sempre nelle acque del mare, è consapevole di tale misfatto? Ha un’idea dell’inaudita gravità di un simile oltraggio?
Adesso che Maria non c’è più tocca quindi a me, unico e legittimo consorte, impedire quantomeno che gli sciacalli della carta stampata si accaniscano sulla sua memoria. Che ne facciano strame, riducendo in cenere anche il suo ricordo… Certo, pure lei è un rappresentante di quell’orribile categoria, la carta stampata, ma non se la prenda per lo sfogo di questo vecchio malato. Vecchio e vedovo, purtroppo, del più grande soprano di ogni tempo.
Io, Titta Meneghini, sono stato il marito di Maria Callas, comprende ciò che significa? Che è come dire lo sposo di una dea del belcanto: vorrei che lei si mettesse bene in mente questo elementare concetto, altrimenti le sarà impossibile capire con chi sta parlando in questo momento.
Ossia chi è, ma soprattutto chi un tempo fu, quella malinconica e malandata figura di vecchio che le sta ora di fronte, quasi implorando il suo ascolto.

Nello studio Meneghini


Mi sono documentato, sa, prima di riceverla. Ho preso tutte le informazioni del caso, prima di permettere a un giornalista di varcare la soglia di questa casa. Di questo sacrario adagiato tra gli ulivi del Garda dove visse serena Maria, lontana dai clamori e dalle invidie del mondo.
Centinaia, anzi, migliaia di giornalisti avrebbero dato chissà cosa, glielo garantisco, pur di accedere a questa dimora e ascoltare i ricordi di una vita, la mia, sempre vissuta accanto alla Callas.
Ma alla fine, come vede, io ho scelto lei. E sa perché? Perché lei fu l’unico giornalista, in fin dei conti, a provare un briciolo di pietà per me. L’unico a intuire il mio calvario quando dopo la morte improvvisa di Maria, io corsi a pregare (e cos’altro avrei dovuto fare, scusi, se non piangere e pregare?) davanti a un loculo vuoto in un cimitero di Parigi, illuso com’ero che dentro a quello stramaledetto loculo ci fossero effettivamente le ceneri di mia moglie. Mentre invece le sue ceneri erano già state traslate e depositate dentro la cassetta di sicurezza di una banca, come venni a sapere soltanto in seguito.
Ma dico io, che infamia era mai quella? Le ceneri di Maria Meneghini Callas nascoste nel caveau di una banca e infine prelevate a mia insaputa e scaraventate dentro le acque dell’Egeo… Sembra incredibile, nevvero? Tuttavia in quei giorni andò realmente in scena a Parigi quello che poi passò alle cronache come “l’affaire delle ceneri” di Maria Callas, lo sapeva?
E sapeva che quell’indecorosa e disgustosa sceneggiata cineraria venne allestita unicamente per beffare il sottoscritto?
Già, proprio io, che da tempo avevo preparato a Sirmione un’apposita tomba. Una tomba di famiglia con tanto di cappella in cui, nei secoli dei secoli, mia moglie avrebbe riposato accanto a me, suo unico e legittimo consorte.
I greci – non mi chieda di farle dei nomi – mi tolsero anche quest’ultima umanissima illusione. Quest’ultima estrema consolazione. Dopo avermi sottratto Maria da viva, mi negarono le sue ceneri da morta, esponendomi al ridicolo universale.

Maria Callas
Maria Callas nell’abitazione sul lago di Garda


Lei fu l’unico, a onor del vero, che non si prese gioco del mio dolore quando tutti i giornali pubblicarono la notizia che il loculo davanti al quale io piangevo e mi disperavo – che vergogna! – in verità era vuoto.
Lei fu infatti il solo e unico giornalista, mi ricordo, a scrivere che io ero volato a Parigi spinto dall’amore e non per venali questioni ereditarie, come scrissero invece quei coglioni dei suoi colleghi. Anche perché la divina Callas, come voi della stampa chiamavate mia moglie, in fondo per me non era mai esistita, quella era soltanto un’icona inventata dai rotocalchi ad uso e consumo dei suoi ammiratori. E dell’industria discografica.
No, lei per me fu sempre – e sempre continuerà ad essere – semplicemente la mia Maria, non so se mi sono spiegato, al punto che anche adesso che sto parlando con lei io odo l’eco della sua voce che si aggira in queste stanze.
Le chiedo quindi scusa per la pessima qualità, diciamo così, di questa nostra conversazione, ma i miei ricordi sono ancora velati dal pianto e lei, indubbiamente, dovrà faticare non poco per alzare quel velo di lacrime.
In compenso lei ha oggi l’occasione, più unica che rara, di ristabilire finalmente la verità su Maria Callas. Mi ascolti perciò con attenzione, senza farmi alcuna domanda.
Non c’è nessun bisogno di domande, basta che io chiuda gli occhi e una marea di immagini del passato mi assalirà all’istante. Come la marea di un tormentoso e funesto rimpianto che non mi dà tregua.
D’altronde, quando un giornalista tedesco chiese un giorno a Maria se intendeva scrivere le sue memorie (ha presente l’episodio?), fu Maria stessa a rispondere, senza indugio: «L’unica persona che sa tutto di me e che potrà scrivere le mie memorie è mio marito».
Su, sbrighiamoci, metta in funzione il suo registratore e perdoni fin d’ora l’eventuale confusione di certi miei ricordi.

Maria Callas


Il brano è un estratto in anteprima dal lavoro in corso dal titolo Il trittico di Vanelli. Maria Callas, Bruno Schulz, Mario Dondero.

Per le foto di Maria Callas e di suo marito Giovanni Battista Meneghini si ringrazia il prof. Michele Nocera di Sirmione, autore di numerose pubblicazioni sulla lirica e la danza, nonché tra i più autorevoli e appassionati biografi della Callas.

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