A una prima occhiata si potrebbe considerare Bridgerton, la fortunata serie Netflix targata Shondaland e tratta dai romanzi di Julia Quinn, un Gossip Girl ambientato nel periodo della Reggenza inglese (1811-1820). In parte è esattamente questo: un prodotto condito da una generosa dose di mistero, buoni sentimenti e di sesso. È del tutto irrilevante che la prolifica famiglia Bridgerton sia esistita – spoiler: non lo è –, che il Duca di Hasting avesse le sembianze di Regé-Jean Page – altro spoiler: non le aveva, visto che neppure il titolo esisteva –, o che l’erede di un viscontato potesse convolare a nozze con una giovane indiana – nel modo più assoluto, no. Il pubblico contemporaneo ha dato prova di adorare i nastri, il belletto e i sospiri di Bridgerton perché è una commedia romantica capace di raccontare la nostra società moderna. Non a caso è uno dei maggiori successi di Netflix.
La serie si muove su un piano alternativo della realtà dove la nobiltà britannica ottocentesca è multietnica. I matrimoni interrazziali nella buona Società non solo sono consentiti, ma incoraggiati dai Reali. Persino la Regina consorte (Golda Rosheuvel) è nera. Bridgerton pullula di “stranezze” sulle quali è stato scritto di tutto. Si pensi che la produzione è stata persino accusata di blackwashing (pratica similare al whitewashing che, però, aveva cause precise ed era figlia di un razzismo sistemico) come era successo per un altro prodotto Netflix, Lupin. A guardarli bene, però, in entrambi i casi il blackwashing c’entra davvero poco: Omar Sy non interpreta il vero Arsenio Lupin e Bridgerton è un’ucronia. O almeno, una specie di ucronia che mescola finzione alla verosimiglianza storica.
Alcuni studiosi, infatti, sostengono che Sophia Charlotte di Meclemburgo-Strelitz (1744-1818), felice consorte di Re Giorgio III (1738-1820), madre di ben quindici figli di cui oltre la metà sopravvissero fino all’età adulta, non avesse la pelle proprio chiarissima. Pare che i pittori di corte la facessero apparire più bianca di com’era in realtà dato che, oltre a una discendenza portoghese, nelle vene aveva sangue nordafricano. Questo illustre precedente bi-razziale nella Corona inglese è stata a suo tempo rispolverato quando il principe Harry (oggi ex) ha sposato Meghan Markle, tanto per dire.
Insieme alla Regina, uno dei personaggi bridgertoniani più interessanti è sicuramente Lady Whistledown, misteriosa autrice di un giornaletto che il Bel Mondo freme per leggere e tra le cui righe si scovano i pettegolezzi più succosi. Sebbene la nostra audace Lady sia, appunto, un personaggio inventato, la stampa scandalistica esisteva eccome all’epoca. Tendeva a non rivelare nomi o titoli, ma i lettori capivano comunque l’antifona. Forse non tutti sanno che una scrittrice altrettanto audace durante la Reggenza è esistita davvero, il suo nome era Harriette Wilson.
Nata a Mayfair da genitori svizzeri, Harriette divenne cortigiana alla giovane età di quindici anni. In famiglia non fu la sola a esercitare il mestiere più vecchio del mondo, tutte le quattro figlie femmine vi si dedicarono, istruite dalla maggiore, Amy. Harriette non aveva molta simpatia nei suoi confronti, pare che fosse stata proprio Amy a “rubarle” il Duca di Argyll.
Ma andiamo con ordine.
Dopo aver intrattenuto rapporti con numerosi uomini dell’alta nobiltà inglese, Harriette decise di togliersi qualche sassolino dalla scarpa e nel 1825 consegnò al tipografo londinese John Joseph Stockdale il proprio libro di memorie coi titoli di tutti i suoi amanti – Duca di Wellington, Marchese di Worchester, Lord Alvanley, tanto per citarne alcuni –, includendo anche dettagli intimi che strizzano l’occhio a Cinquanta sfumature di grigio. Va da sé che sia stato il successo editoriale dell’epoca. Sembra che al momento del lancio (oggi si direbbe così) Stockdale abbia dovuto installare davanti al negozio delle specie di transenne per regolare la fila chilometrica. Solo nel primo anno vennero vendute la bellezza di trenta edizioni, addirittura ci furono delle versioni pirata. Un bestseller praticamente!
Il motivo che spinse la Wilson a mettere in piazza le proprie frequentazioni non è chiaro. Magari voleva solo vendicarsi – anche se non è nemmeno esatto, come è stato scritto, definire il suo «il primo caso di revenge porn» visto che le dinamiche di questo fenomeno sono squisitamente moderne –, oppure desiderava garantirsi una pensione sicura, dato che aveva ormai trentanove anni. Resta il fatto che due personaggi chiave di Bridgerton, la Regina consorte e Lady Whistledown, si ispirano a due donne realmente esistite le cui stramberie – pure quelle su cui la serie calca di più – in qualche modo fanno luce sul passato raccontando il presente.
Spesso si parte dal presupposto che una commedia romantica, al cinema, in tv o in libreria, sia un prodotto di serie b. Del resto c’è chi non considera nemmeno letteratura il genere romance, mentre basta guardare una qualsiasi classifica per rendersi conto che è tra i più venduti nel nostro paese. Anzi, il fenomeno è praticamente mondiale ed è riduttivo sostenere che il merito sia solo di social come TikTok o Instagram. Al romanzo rosa si critica la prevedibilità, il lieto fine e certe dinamiche, ad esempio il belloccio di turno che si innamora della secchiona timida, per non parlare delle infinite declinazioni e classificazioni (YA, NA, STEM…); si critica l’uso smodato da parte delle autrici italiane – perché se a scrivere d’amore sono autori uomini il discorso è un po’ diverso – di pseudonimi anglofoni, (Felicia Kingsley, Erin Doom, non ultima Opaline De Lacy che, come Julia Quinn, scrive regency e il nuovo romanzo s’intitolerà appunto La proposta della regina); c’è chi critica persino l’esistenza di un festival dedicato che richiama un folto pubblico pagante da tutta Italia e oltre. Del resto è opinione comune che i romance siano fatti con lo stampino, come gli Harmony che le nonne compravano in edicola – senza nulla togliere alla fortunatissima serie Harmony! –, invece bisognerebbe solo lasciare a ciascuno la sua evasione di qualità.
Dopotutto anche i gialli hanno schemi ben precisi che è facile riconoscere, per non parlare delle infinite declinazioni (polizieschi, alta tensione, thriller…), e un finale prevedibile che, di solito, si può sintetizzare con la cattura del cattivo o la sua fuga. Il fatto che anche i gialli abbiano vissuto lo stesso stigma anni fa, come spesso ricorda Carlo Lucarelli, e ne siano usciti indenni fa ben sperare in un futuro in cui i romance saranno finalmente liberi dai pregiudizi. Perché è bene tenere a mente che non c’è nessuna serie a o b, ma solo film, serie o libri scritti bene, in cui persino in uno schema ricorrente come quello di un giallo o di romance possiamo stupirci di trovare una visione profonda e accurata della società.
Immagine di copertina: Bridgerton (dalla serie Netflix)