Con Atti osceni – I tre processi di Oscar Wilde del drammaturgo Moisés Kaufman, in scena al Teatro Elfo Puccini di Milano fino al 26 gennaio, e in tournée in Italia fino a febbraio, i registi Ferdinando Bruni e Francesco Frongia offrono un inedito Oscar Wilde, vittima e carnefice allo stesso tempo degli atti processuali che segneranno in modo indelebile la sua vita. Non il più conosciuto esteta salottiero dagli abiti bizzarri e i bon mot a fior di labbra, ma un appassionato ambasciatore della libertà artistica e ideologica. Lo scandalo in cui è travolto è un peccato deplorevole, atti osceni per l’appunto, per il quale la Corona prevede anni di lavori forzati, umiliazioni, morte sociale; un atto talmente indegno da non possedere nemmeno una connotazione precisa, ma da essere talvolta alluso, perifrasato o indicato con la reazione di scandalo cui muove. La provocazione per la quale Wilde intenta una causa per diffamazione è un biglietto che recita: «Oscar Wilde è un somdomita».
Inizia il dramma vero e proprio, che ha come ambientazione il cupo tribunale londinese dell’Old Bailey e vede come protagonisti Oscar Wilde, Lord Alfred Douglas – l’amato Bosie per l’autore – il di lui padre Marchese di Queensberry e i due avvocati Edward Carson e Edward Clark. «Questo è senza dubbio il processo del secolo» grida altisonante la stampa di fine Ottocento, «la gente ha implorato, minacciato e persino pagato mazzette per farsi ammettere». Il pubblico dell’aula è di fronte a una spettacolare trama di voci che non solo confesserà le ragioni intime degli offesi (un padre disonorato dall’amore proibito del figlio e un artista diffamato), ma sbugiarderà, strato dopo strato, i falsi miti e i comodi inganni della comunità vittoriana di fine Ottocento. La passione bruciante tra il rinomato artista e il giovane Lord Alfred è infatti un crimine che risveglia le ire profonde del burrascoso Marchese di Queensberry, il quale lotterà con ogni mezzo per salvaguardare il suo Nome. Se il decoro rappresenta infatti il leitmotiv della vicenda, durante i tre processi si alzerà il pesante velo di ipocrisia che avvolge stretto ogni singolo capo, scoprendo come ogni tassello dell’espressione sociale e artistica sia governato da un rigido e totalitario sistema conformista.
Atti osceni è un incalzante ricamo narrativo che dall’inizio alla fine costringe all’ascolto attento di confessioni, battute veraci e sospiri d’amore. A renderlo così modernamente vivo è poi una serie di elementi costitutivi che dinamizzano la rappresentazione, prima fra tutte la costruzione strutturale, dove gli attori si fanno narratori del processo per diventare subito dopo i personaggi delle storie da loro ricostruite. Viviamo la parabola artistica e amorosa di Oscar Wilde e Lord Alfred Douglas attraverso la lettura di confidenziali poesie d’amore, lettere e sonetti, autobiografie; con la stessa orchestra di fonti conosciamo i misfatti del Marchese di Queensberry, persecutore accanito di tutti gli wilders (i sobdomiti) del mondo, le ambizioni sociali delle prostitute maschili del club, i desideri di vendetta del giovane Lord Alfred e i pregiudizi della Corona. Tante singole storie per raccontare una storia, «una possibile storia di questi processi», come afferma il drammaturgo.
Ecco quindi esplicarsi la sperimentazione linguistica che da sempre Kaufman ricerca nel suo teatro: come può il teatro restituire una storia che si scontra con l’impossibilità di un’unica ricostruzione? Lampante è l’immagine della lettura a voce alta della lettera destinata a Lord Alfred da parte sia di Oscar Wilde sia dell’avvocato Carson, dove a due differenti declamazioni corrispondono due divergenti significazioni: poesia per il primo e confessione di colpevolezza per il secondo.
«Mio caro ragazzo, il tuo sonetto è delizioso ed è meraviglioso che quelle labbra rosse come petali di rosa siano fatte per l’armonia del canto non meno che per la follia dei baci. La tua sottile anima dorata cammina tra la passione e la poesia. Nell’antica Grecia Giacinto, che Apollo amò così follemente, sei tu, ora lo so. Perché te ne stai tutto solo a Londra, quando vai a Salisbury? Vacci, rinfrescati le mani nel grigio crepuscolo del gotico e poi quando vuoi vieni qui. È un posto incantevole – manchi solo tu
—sempre con eterno amore, Tuo, Oscar.»
Linguaggi diversi, quello artistico e quello materialista, che non possono dialogare né aprirsi a parentesi di comprensione momentanea perché l’uno risponde ai canoni dell’estetica, l’altro della liceità dell’immediatezza di utilizzo. Alla richiesta dell’avvocato di mettere da parte l’arte per parlare spiccio, il poeta si dichiara impossibilitato. Perché in fondo la forza di questi Atti osceni è la capacità di porre interrogativi e obbligare la giuria popolare di allora e il pubblico di oggi a rispondere a domande tutt’altro che obsolete o semplici.
L’arte è davvero libera? Sia nell’abito raffinato che nei degradanti stracci, Oscar Wilde difenderà con estenuante forza una concezione dell’arte sciolta da ogni vincolo valoriale e tesa unicamente a nobilitare l’animo dell’artista creatore e di chi ne ascolta il canto. Nonostante l’oscenità sia rintracciata nelle pagine del Ritratto di Dorian Gray e in alcune pubblicazioni della rivista The Chameleon, lo scrittore irlandese si ribella con forza al giudizio che grava sulle sue opere e si proclama innocente dall’accusa di oscenità, innocente di scrivere arte immorale o indecente. Ma se l’arte è svincolata da tutto, come può conservare una sua funzione?
«Lo definisco il rinascimento inglese dell’arte perché è di fatto una sorta di rinascita dello spirito umanistico. Come il grande rinascimento italiano è caratterizzato dalla ricerca di un modo di vivere più armonioso, da una forte tensione verso la bellezza fisica, da un’attenzione spasmodica nei confronti della forma. Esplora nuovi soggetti per la poesia, nuove forme per l’arte, nuovi godimenti per la mente e per l’immaginazione. Ogni rivoluzione, in arte o in politica, ha una sola origine: la tensione dell’uomo verso una forma di vita più nobile, verso una piena, totale libertà di espressione. Questo rinascimento rinsalderà una nuova fratellanza tra gli uomini, attraverso la creazione di un linguaggio universale.»
Qual è il grande ostacolo alla piena libertà creativa? Nella società tardo vittoriana l’artista, gli artisti, si scontravano con una macchina da guerra alimentata a ipocrisia e perbenismo, dove mistificare la realtà era necessario per inserirsi appieno nel gioco sociale. Puritanesimo, bigottismo e moralismo sono termini che rivolgiamo a un periodo lontano, avvolto da lacci religiosi ora molto allentati; ma non dobbiamo forse riadattarli alle nuove oscenità? Che cosa siamo noi, uomini contemporanei, quando nel quotidiano scriviamo muri di giustificazioni per compiere un gesto comodo senza rimorsi; cosa siamo quando manipoliamo la realtà e la rendiamo accettabile; cosa siamo quando ci adattiamo a un pensiero forte e preconfezionato o quando ci allontaniamo dall’essenza delle cose?
Ne Lo strano caso del Dottor Jekyll e del signor Hyde il puritanesimo suggerisce allo stimato dottore di separare da sé il lato malvagio in modo netto e pulito, in modo da poter salvare le apparenze e sperimentare la propria depravazione. Oggi questo stesso fantoccio cambia aspetto e modernizza gli abiti, ma ha un efficace sistema circolatorio che irrora costantemente il tessuto di rinnovata linfa vitale.
Immagini di ©Laila Pozzo