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Ai confini della Germania | 2. Un sorriso non è sempre un sorriso

La seconda puntata del reportage narrativo nel cuore del Vecchio Continente, tra nuove destre, minoranze represse e proliferazione delle barriere

Dopo la prima puntata, pubblichiamo la seconda parte del reportage narrativo in Germania, ai confini dell’Europa, firmato dallo scrittore Marco Mantello, un viaggio feroce e lirico tra i fantasmi prussiani e multiculturali che convivono faticosamente in un Paese che erige infiniti confini al proprio interno, mentre l’estrema destra dell’Afd ha superato il 20% e si affacciano restringimenti al diritto d’asilo e inasprimenti dei controlli alle frontiere.

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Sono ancora a Hanau e cammino sulla Heumarkt. La strada dello shooting che costeggia il Forum è alle spalle di una biblioteca; alla mia destra la ferita si comincia a sentire come la rimozione dell’ora di pranzo. Sulla parte rialzata di un’aiuola, foto e nomi che hanno fatto il giro di tutto il Paese. Ferhat Unvar, Hamza Kurtovíc, Said Nesar Hashemi, Vili Viorel Păun, Mercedes Kierpacz, Kaloyan Velkov, Fatih Saraçoğlu, Sedat Gürbüz, und Gökhan Gültekin. L’Anschlag è iniziato a sera in un bar ed è continuato sulla Kurt Schumacher Platz. La Krämer, ad angolo con la Heu, è una strada molto piccola, ma ci sono almeno quattro o cinque sale da slot, uno Skype bar, un cocktail bar con divieto di ingresso ai minori di 18 anni. Dall’altro lato appaiono l’insegna fucsia del Black Magic Cafe, e l’area memoria con la campagna Say their names. Nel febbraio 2020 la piazza del mercato era piena di cartoncini rettangolari coi volti dei morti ammazzati. I fratelli Grimm scrutavano una folla che non era soltanto di lettori di fiabe; quello in piedi e quello che sta seduto. Il libro è sempre aperto sulle sue ginocchia, la mano stringe le pagine, di spalle al municipio arcadico. Sono le ventidue, la stessa ora dell’attacco. Forse ho bisogno di un corso di lingua per diventare una forma di inconscio collettivo, o il disagio di una civiltà disagiata davanti a un doppio, in cui l’ordine delle cose diventa un plastico, la religione oppio per chi non ha cultura o arte, l’organizzazione un mezzo per dare un fine alla pulsione di morte, la pulizia un modo istantaneo di escludere in base all’olfatto, la bellezza decoro urbano, le rovine dell’Es occasioni per rivedere un film horror. Dopo una birra al Voksbrau, sono sempre alla ricerca di radicalizzati in Bundeswehr che hanno subito ghosting dalla compagna scomparsa senza lasciare tracce al corso serale di batteria. Niente, zero celtiche e smiles sugli smartphone dei rasati con prole che amano la famiglia come loro stessi e vanno in vacanza ad agosto a Ostsee. In compenso ho trovato un alcolista su una panchina; ha una chiazza rosacea sul braccio piena di pus e ecchimosi. Anche lui, come me, non parla bene il tedesco, e quindi enumera e basta, con un fiotto di parole incomprensibili, le statistiche degli attacchi armati.

Quando prendo l’Ice per Mannheim sono le due di notte. Vorrei tanto far visita a quel bosco dove si radunano i Reichsbürger misticheggianti, a loro modo eco, trumpiani, incazzati neri per le strisce di inquinamento in cielo, che vorrebbero ripristinare il vecchio confine sul Reno fra Baden-Württenberg e Hessen, e bruciano il passaporto sopra i bauli delle provviste apocalittiche. Alcuni sono in polizia. Altri nei bunker, nei loro giardini pieni di erbacce e falciatrici, o in quel mare di foglietti affissi a porte e pareti dai cavi scoperti come i loro nervi; vorrei vedere gli orecchini tribali, i cappellini a punta, le Harley Davidson, le bandane, le pance, le comuni. Vorrei tornare alla frontiera bavarese e a un Flixbus, e tradurre tutto in tedesco. Alla fine non ce l’ho fatta. Sono sceso a Frankfurt e ho trovato un Regionale per Berlino. In treno provo a chiamare Sonia nella chat dei genitori. Su Messenger è in corso un dibattito sull’uso eccessivo degli smartphone a ricreazione. Ogni volta che torno a casa da questi viaggi in treno le amiche di mio figlio mi guardano malissimo per il modo in cui mangio un trancio di pizza a cena. Il malessere serpeggia in una perdita d’acqua dalla lavatrice, che rischia di far crollare la società liquida. Se si tratta di tenermi la gatta quando sono via, chiedono sempre di essere pagate in anticipo. No, non mi ricordano affatto il lucido gelo delle maiuscole, e nemmeno l’attitudine a preferire l’Unrecht all’Unordnung, ogni volta che devono consegnare i quaderni perfetti a scuola. L’ultima mail del Lehrer contiene una Warnung per un foglio da riconsegnare entro giovedì. Non credo che il Lehrer sia d’accordo coi contenuti della mail. Credo sia sottoposto a un sistema di punizioni e premi non dissimile da quello che Kant chiamava «uso privato della ragione», e che oggi chiamano IA. Stiamo parlando di una notifica di tre punti ai nostri ragazzi, in caso di ritardo nella consegna del contratto per il Praktikumdi indirizzo al lavoro da parte di noi genitori. Le punizioni per ottenere il comportamento ottimale. E il fogliettino scritto da nessuno per prevenire risarcimenti e suicidi, quel tu vali, punto esclamativo, i tuoi voti non sono la tua persona. Per fortuna mio figlio va a una scuola soft. Nelle scuole speciali è tutto molto diverso, rispetto al rischio di Columbine di cui cianciano le istruzioni sulle porte delle classi. Le recite a teatro col drago di San Giorgio, il confine fra corpo e corpo, e le file che si spostano in armonia con gli ordini: in certe scuole speciali li fanno fermare venti minuti in un corridoio e misurano le distanze. Il pezzo di torta è rimasto sul banco una settimana. Il piattino si allontana o si avvicina come un proiettile che uccide i lupi. Puoi restare in piedi un’ora, o seduto come una pecora, ma senza poggiarti mai allo schienale della seggiolina. Ci sono i prof della pedagogia nera che mettono le mani al collo ai minorenni arabi e antisemiti, e a quelli bianchi e biondi, chiusi a chiave in camera dai genitori, fino a farli pisciare sotto, perché gridano coi loro amici a cena. Come i Bullen, sono sempre alla ricerca di capsuline di cocaina, o di un Wohnprojekt dove sbatterli a 13 anni per problemi psichici; il punto non è impedire che ingoino tutto questo male da penne spezzate in classe. Il punto è identificare le iniziali dei cognomi. Vedere foto uguali ad altre foto, ad altre identiche pose cianotiche, in un paese che rivela il suo lato oscuro come un qualcosa di assolutamente normale, volevo dire speciale. La schedatura dei murales e degli stili dei writers, il carcere per le recidive di un viaggio in nero in metro, o di una multa non pagata, il reato di Fahrerflucht se sfiori il parabrezza di un’altra auto e non lasci il bigliettino. Ogni volto di minorenne passibile di espulsione nel Sud Europa per guida in stato di ebbrezza assume le forme di un database, novemila espressioni simili a un sistema di valori incompatibile con il concetto di Germania. Non conta che li conoscono, conta che non sanno chi sono, come quando gli abbassano il contributo-casa da grandi per iniziarli ai corsi da guardie giurate. Nelle scuole normali cambiano le gradazioni del “punire” rispetto alle speciali, ma le sanzioni possono essere inclusive e prog. Le famiglie allegate in cc lesbiche, patchwork, etero o bi, questo è permesso. All’uscita di scuola e sul tram, a Alex, a Frankfurter Tor, fino all’Allianz su Treptower Park, si tratta solo di assumere l’espressione giusta da cinque stelline e rimanere fermi al rosso.

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Berlino, l’Allianz in Treptower Park e la stazione metro di Frankfurter Tor

Sono uscito dalla U-Bahn senza coltelli in mano. Sulla Spree Ufer, a ridosso dell’East Side Gallery, stanno girando un documentario con poliziotti bianchi neri e bunt. Gli attori in divisa sfogliano le App per decidere un controllo in base al numero di faccine che non sorridono, al tuo look, e al colore della tua pelle. Replay e rewind di un futuro prodotto da amichevoli slogan come «Leave no one behind», «Power to the people», «Go vegan!», che alternati a parole come suspekt, o täter, rigenerano una nuova unità spirituale. I pannelli-video su Uber Platz te la mostrano in simultanea a un palazzetto dello sport di fronte al Muro. Volti che cambiano formato. Volti con lo sponsor, che seguono il tuo sul vecchio confine a Ovest, assieme ai grandi origami della Intimissimi, e a un Mastro Lindo in 3D, che ti porge in premio un gigantesco cespo di insalata. Mille, duemila espressioni facciali che imparano ad apparire cooperative, amichevoli, tristi, ma mai veramente reali. A mostrare le tecniche di rilassamento occipiti, un personal trainer di nome Alpha Smile. Lo Space Shuttle. Le bancarelle dei vestiti vintage. Lo yoga, la meditazione, i bitcoin che ti permetteranno un volo a Gran Canaria. Ti consigliano di non schioccare la lingua, di non tenere le mani in tasca, di non fissare le donne, di non mangiare sui tram, e di avere sempre l’auricolare acceso. Gli ariani multikulti passeggiano sotto all’Amazon Building in attesa dell’undici settembre europeo. Aziendali, poliglotti con lo Shufa da buoni debitori e le due piantine di marijuana a casa, non conoscono il Behaviourism di Skinner, ma si comportano spontaneamente come topi, e sembrano già abituati al condizionamento. La scossa elettrica o il formaggio somigliano al loro modo di camminare sul Warscahuer Brücke. Alcuni hanno letto Maus e vedono un match su Tinder come un impegno contrattuale. Non hanno nessuna percezione del fatto che un sorriso non è sempre un sorriso, e picchiare un bambino non è sempre «picchiare un bambino». Intrisi di newspeak e selezione naturale, considerano etico dire in pubblico quello che non pensano, in vista di una finalità superiore irriducibile alla vecchina di Raskolnikov. I loro pensieri profondi si avvicinano a cose come il tempo libero. Talora alla fiction. In età avanzata arrivano a un punto cieco, dove non distinguono più quello che pensano e il mero silenzio. Sul volto solo un sorriso. Erosi da privacy e big data, imballati in grandi piscine al trentesimo piano di un hotel asiatico dalle forme simili al nuovo piano regolatore della città, sono sani, sportivi, bio, e imitano gli anni Ottanta del ‘900 nel Cerca amore, lavoro e casa. Alcuni si definiscono come futura classe egemone del paese. Altri sono più critici. Ma come fare a distinguerli da un tir nero in corsa a un mercatino di Natale?

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Berlino, le proteste in strada del movimento Linksextremismus e l’Amazon Buinding

Sono di spalle all’Amazon Building e sento lo smartphone vibrare. Il Manifesto e il Video sono arrivati via Indeed, assieme a un Fragebogen di una ditta di pompe funebri. A parte le conferme sulla mia età, mi chiedono se sono già cliente del negozio sulla Frankfurter Allee, il Soldier of Fortune; se possiedo porto d’armi europeo, coltelli, mazze da baseball in casa, se frequento già poligoni di tiro, o sono parte di famiglie-clan patriarcali con un sistema di valori incompatibile con la costituzione tedesca. L’idea è assumermi come specchio rotto. Nel video con le istruzioni su come sottolineare il libro dell’Ausbildung, una voce misurata, maschia, orientale, si è messa a gracidare: «Ich hab den Job!», assieme a una musichetta yemenita. Poi la voce si è fatta lacrimosa dando inizio a un passaparola con parenti di ottavo grado ad Ankara, che ripetevano in loop verso la Cappadocia: «Sie hat den Job!», a misteriose figurine con barbe dislocate in Afghanistan. Eravamo indistinguibili dall’identità sessuale di un rider, eppure molto diversi da Stephen B. e dalla sua mamma. Nell’incrocio di preferenze e siti porno potevamo passare dall’indi al rom, potevamo imparare come si dice fiori in bulgaro, nell’attesa che un nostro simile salisse su un treno e accoltellasse la Germania. A Boxhagener Platz, mentre tornavo ancora senza arrivare mai a capire, una demo contro la Polizei Gewalt stava chiudendo i conti con tutta questa violenza repressa. Ho contato dodici squat reali scortati da una quarantina di camionette con le sirene. Le mediatrici in divisa, sui diciannove anni, o bionde o turche, tutte con la coda di cavallo, stavano ordinando ai manifestanti di rimuovere striscioni contro i colleghi che avevano fatto irruzione nella casa di Maria B. Quando sono passato di fronte al civico c’erano candele e scritte sui muri con l’acronimo ACAB. Maria B., 40 kg, in psichiatria, bianca come una bandiera, era conosciuta da tutti e nessuno a Friedrichshain, era un volto di strada noto. Nel report redatto dai B. di Bullen avevano scritto di un coltello in mano, escludendo il jiahdismo. L’urlatrice era sola in casa, era a meno di sei metri da caschi, potenziatori e numerini identificativi, e i B. erano entrati su segnalazione dei vicini. Molte volte. Troppe volte, centinaia di volte, perché tanto per questi omicidi legali non ci sono statistiche, solo verifiche della S. di Staatsanwaltschaft, e facili archiviazioni del caso alla voce Abitudine.
Anche la demo di quartiere oggi lo è. Una mera abitudine al sapere di polizia. Siamo arrivati alla Direktion, sulla Grünberger Straße. I B. schierati a difesa della D. di Deutschland, sempre giovanissimi, erano di spalle ai muri della caserma. Stavano parlando dei fatti loro, non badavano affatto al mini-presidio del Linksextremismus. Ad un tratto ho alzato il pugno per ridestare me dai lupi, e loro dal gregge. Un ragazzo in divisa mi ha guardato e non aveva volto. Non emanava nessun tipo di identità. Solo un senso di sorpresa. E di distanza da corpo a corpo. Come ai tempi di scuola.



In copertina: George Grosz, Metropolis, 1916

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