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Ai confini della Germania | 1. Lo specchio rotto dell’Europa

La prima puntata del reportage narrativo nel cuore del Vecchio Continente, tra nuove destre, minoranze represse e proliferazione delle barriere

«È comodo ma al tempo stesso problematico considerare la Germania come una malata, anzi come «la malata» d’Europa, bisognosa di immediate iniezioni di siero antinazista. Questa immagine è problematica non perché la Germania non debba essere in qualche modo depurata dal nazismo, ma perché la teoria della Germania come paziente presuppone un’ipotetica unità che oggi non esiste affatto.»

Stig Dagerman, I due rivali, 1947


Oggi, in tempi di barriere edificate coi fondi Ue, anche la Germania produce forme seriali di Terrore interno all’area protetta. Un sistema che grida: «Frieden schützen!» nei cartelli elettorali dell’Afd al 20,4%, ma che già nelle versioni libertà nella sicurezza da Ampelkoalition, non sembra così distante dalla bella ricostruzione di Adam Tooze, su come i nazisti supportassero la propria economia accogliendo stranieri e trasformandoli in sé stessi. Oggi, con Moria in Grecia e patronati turchi fuori dai confini, le scorie da scuole speciali per minorenni bianchi iperattivi impasticcati di benzodiazepine vengono deportate in Betreuung nel Sud Europa e gli “amokläufer arabi” che assaltano militanti di Pax Christi a Mannheim esigono lo stesso trattamento di un lupo solitario radicalizzato in Bundeswehr. Il logo Isis e il logo Hitler, in un paese dove il terrorismo neonazista è strutturale, danno l’idea di uno specchio rotto nel centro nevralgico dell’Europa, o forse di questo viaggio in treno. Sono a Halle, in Saxen-Anhalt, dove il 9 novembre del 2019, Yom Kippur, un etno-soldato autore di manifesto e video, ha assaltato in Livestream una Sinagoga, e poi di ripiego un Imbiss Kebab. In auto aveva armi e esplosivi fatti in casa. Ha prodotto due morti e un tentativo di strage, davanti alla Community di suprematisti online, che fissavano il Wassertor sulla Parcelsus Straße. Stephen Balliet, abbreviato in B., 27 anni, convivente con mamma, antisemita, anti-stranieri, anti-Islam, associato dai migliori studi di microsociologia in rete a Twitch Tv, Amazon.com, Inc’s gaming platform, parente stretto del californiano John Timothy Earnest, Sinagoga di Powey, California, e del neozelandese assalitore di Moschee Tarrant su Facebook.com. Mi appare in foto appena scendo dall’Ice a Halle Hauptbahnhof. Gli occhi sono larghi e fissi verso l’obiettivo, i capelli palesemente corti, la voce tedesca continua a ripetere in inglese: «Sorry guys, I’m a loser», dopo che l’esplosivo non ha sortito effetti, e il tempio e il muro sono rimasti in piedi. Sono sceso dal tram sulla Ludwig-Wucherer Straße, il luogo degli spari. All’altezza della Galerie Schön und Gut chiedo info a una ciclista con un buco in fronte. Un uomo coperto da un casco maneggia materiali da surf dal portabagagli dell’auto. Sento altri spari, volevo dire altre voci, il computer mi cade a terra mentre annoto la posizione esatta del replay di Doom su Google Maps. Dalla Lessing una ragazza bionda in short raggiunge i figli alla gelateria Halle ist Bunt, per un’accorata replica di Spagna-Germania 2 a 1. Ho passato un busto di Gandhi, il campus teologico è deserto, e credo di essere nella direzione sbagliata per l’Imbiss Kebab. Torno indietro seguendo il senso letterale delle indicazioni stradali per trovare almeno la Sinagoga. I tavolini argentati del bar con le Bubble Waffle sembrano forme di Cristianesimo secolarizzate nel «nulla è permesso, se non lo decidiamo noi a maggioranza assoluta». Forse è solo un problema di appropriazioni indebite di una religione che non ha nulla di naturale. I coltelli di Allah contro le 99 Tesi.

Germania
Il centro storico di Halle, e un’immagine dell’attentato del 9 novembre 2019

Qui a Halle le strade sono intitolate a Humboldt, Herder e Goethe, le zone a 30 chilometri orari danno un’idea di continuità col crollo della Ddr, le famigliole Ossi coi nonni della Linke e i nipotini nazi risiedono nelle campagne. La Paracelsus, su in alto, e le linee del tram in basso, dirottano verso periferie dai nomi ridicoli come Trotha, o Futuro Felice. Verso il vuoto della Turingia e il festival hippy-folk di Rudolstadt, verso i paesini abbandonati del Brandeburgo, o il palazzo dei Girasoli a Rostock, dove bruciò una famiglia di vietnamiti fra gli applausi del vicinato pomeranico, si può andare al lavoro in tutte le direzioni, o rimanere prigionieri di un sussidio Harz IV, nel corso di un tempo che rimane fermo. Nella mia memoria che non ha nulla di collettivo, Halle si ricompone in un furgoncino bianco con gigantografie di cani da presa corsi sulle fiancate; nell’abitacolo c’è un tizio in armonia con le fauci dei cani, che ti passa sempre a destra e fa il cenno della pistola dopo la Baustelle. Forse anche lui vive ancora con la mamma. Ha parcheggiato in centro e ha pagato il ticket. I ridenti negozietti di armi e serrature per porte, sulla Alte-Stein Straße, dove forse lavora come commesso, le alabarde, le corde, il catrame, le mimetiche color fango, le pistole da corso di sopravvivenza mutate nelle fumanti insegne di un 007 Bistrò, portano sempre alla Piazza del Mercato. In un tripudio di fiotti d’acqua la statua verde mare del cittadino Händel fissa con mano sul fianco i due campanili e le guglie bombate, di spalle a un Rewe Supermercati. Ho sbagliato di nuovo strada. Sto passando i larghi vestiti floreali di anziane signore dai capelli bianchi e corti, che sventagliano da un friseur la fine dell’esperienza. Nei miei occhi accecati da un blocco stradale dei klima-kleber vedo la mamma di B. ovunque. Vedo madri grasse e malscopate, da amare e odiare come un concetto al pari del ristorante O sole mio.
Quando arrivo al 52 della Humboldt Straße è tutto scaduto. Sono le nove di sera e mi sento una maschera. La Sinagoga è nascosta fra un muro e un albero, ma da fuori si vede la stella di David in pietra, si vede qualcosa di molto simile a un immaginario. Ora comincio a percepirla nell’aria, la ferita è nascosta nel luogo incantato dove pregavano una cinquantina di Juden, il giorno che B. ha cercato di entrare dalla parte della realtà. Oltre il muro con gli offendicula, passato il portone di legno cosparso di telecamere sul picco, una targa alle due vittime. Resto di spalle all’orologio del Wassertor. Un altro demone sopra alle lancette, forse la fine di una giornata inutile, dove il punto è la paura di non capire domande e risposte ricorrenti. Sul lato opposto alla Sinagoga il prefabbricato kitsch della Polizei Wache è vuoto. La parola Shalom, sul murales dalle mille mani, e un palazzo blu con le scale antincendio, mi riportano verso i treni a Halle Hauptbahnhof. Sull’Ice in direzione Hanau, costo punitivo del biglietto preso online sei minuti prima: 169 euro. La legge economica della scarsità, in un vagone vuoto, e lo striscione: «Hanau war kein Einzelfall». La Sinagoga di Halle si è trasformata in una partita di armi venduta da Rheinmetall all’esercito israeliano. Non sono riuscito a chiudere occhio dopo i controlli del mio immaginario, ma mi sentivo molto felice di andare via dal loro. Questa doppiezza fra Juden e Stato di Israele, per me due cose distinte, per loro no, o il fatto di non riuscire a chiedere niente su B. a un tifoso del Borussia con la maglia sponsorizzata dal monopolista delle armi in Germania, che viaggiava con me nel vagone vuoto. L’articolo della Zeit è molto critico sui giovani tedeschi che scendono in piazza con gli arabi a protestare per decine di migliaia di palestinesi uccisi nei territori occupati. Titolo e foto ripropongono visivamente la Ragion di Stato e la Colpa, una sorta di anti-lager permanente, che affianca parole infette come Gaza,alle scorie locali prodotte dal Wir-Gefühl. I miei occhi non riescono a chiudersi, e i loro non riescono a vedersi. Osservo le foto dei sequestrati sbiadire in 40.000 morti nella Striscia, e vedo migliaia di bambini arabi, migliaia di Spielplatz e scuole tedesche, centinaia di insegnanti chiamati Herr qualcosa che si sentono Juden, e trattano i bambini arabi come terroristi potenziali. Nel pezzo della Zeit, risalente a qualche mese fa, colpisce l’accostamento visivo fra una bandiera palestinese e un’adolescente che stringe i colori del Nemico di Israele. «La Germania ha un problema di Antisemitismo?». Una domanda che riduce ogni percezione degli eventi attuali in Palestina a asserzioni prive di tempo. Israele uguale Juden. Palestina uguale Hamas uguale Islamismus. Il Ghetto di Varsavia e Ben Gvir sono esattamente la stessa cosa. Un esercito occupante e un governo di estrema destra a Tel Aviv valgono sei milioni di ebrei uccisi dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. Oggi, nel nome di discutibili appropriazioni mediatiche della Shoah, un Amtgericht ha condannato una donna di 22 anni a una pena pecuniaria di 600 euro per le parole: «From the River to the Sea, Palestine will be free», pronunciate a una demo pacifista vietata nel quartiere berlinese di Neukölln. In un contesto sospeso e fuori dal tempo, dove c’è gente che assalta sinagoghe in web-cam, è molto difficile fare i conti con una mentalità collettiva, al di fuori di un mausoleo intitolato a Auschwitz. Dal treno si vede la Sinagoga e si dimentica l’Imbiss Kebab, si rimuovono i Döner Mörder, il processo alla Nsu, con dieci vittime fra il 2000 e il 2007, prodotte dalla Deutschkriminalität di matrice nazi, e non come si presumeva in polizei, dalla c.d. Klankriminalität di matrice migratoria. Enver Simsek, Abdurrahim Özüdogrü; Süleyman Tasköprü, Habil Kilic, Mehmet Turgut, Ismail Yasar, Theodoros Boulgarides, Mehmet Kubasik, Halit Yogzat, und Michéle Kiesewetter. Di che nazionalità erano questi morti ammazzati? È complesso, ti dicono i vecchi liberal. E non è facile da capire. Un popolo costruisce nel ‘900 il Volk, il Noi, da una serie di staterelli locali. L`unità prussiana precede e anticipa il criminale culto di sé stessi, si conclude con una divisione a metà del Paese, e sfocia in un nuovo nazionalismo multiculturale, diretto dall’ideologia tedesca. A cambiare nel tempo sono i bersagli della sua furia, è quello che deve essere protetto e amato con la solidarietà, e sorvegliato e represso con la legalità. Anche quando si colora la pelle e si mescola, o si mette una Stella di David al petto, il Volk non è mai internabile in un Krankenheim. «È qualcosa che fanno, qualcosa che sono», dice Philip Dick. «È la loro inconsapevolezza. La loro mancanza di conoscenza degli altri… Forse ignorano parti della realtà? Sì, ma c’è di più. La loro visione è cosmica. Non un uomo qua, un bambino là, ma un’astrazione. Per loro l’astratto è il reale, e il reale è invisibile», dice Dick. «Essi vedono attraverso il qui e ora, nell’enorme e nero abisso che c’è al di là, nell’immutabile. E questo è fatale alla vita. Perché alla fine non ci sarà più vita».

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La statua dei Fratelli Grimm ad Hanau, e un’immagine delle proteste seguite all’attentato del 19 febbraio 2020

Il mio treno per Hanau è partito assieme all’Enola Gay e a un paio di alleati giap che scattano foto ai controllori. Nessun segno di cose reali. Solo dissonanze cognitive. Vita, Wohlstand, il nostro benessere, leggo sul sito. Strateghi dai tratti asiatici laureati alla Teknische Universität giocano con la parola deterrenza davanti alla vignetta di un panzer scortato da bianche colombe della pace. Sono arrivato a Hanau alle sei del mattino col mio tempo aperto sulle ginocchia e gli occhi chiusi in una trincea ucraina. Le bandiere giallo blu alle finestre dei palazzi. Le maratone organizzate nelle Grundschulen per finanziare un esercito buono. Le croci al valor militare per soldatesse della stessa grandezza di quelle erogate ai maschi in caso di attacco aereo, leggo sul sito. E questa deve essere proprio un’altra Hauptbahnhof con la sua overdose di bus urbani e taxi. Hanau, la cittadina dell’Hessen, è a due passi da Frankfurt am Main, dal monumento all’Euro, e da un negozio di armi dove i set di spade da samurai, le pistole e i fucili in vendita alle condizioni di legge sono percepiti come articoli sportivi. Di suo Hanau non ha una strada dei grattacieli come la Kaiser Straße a Frankfurt, ma dispone di un waffen store. Forse ne ha più di uno. È un sobborgo ai margini dell’Eurotower e della new economy. Le sue case sono basse; la sua popolazione è composta da lavoratori del terziario. Il diciannove febbraio del 2020, qui a Hanau, quando il Covid iniziava a fare la sua comparsa con la wi-fi gratuita, c’è stato un massacro di nove persone. Say their names. Ma i nomi li dirò dopo. Ora si tratta solo di muoversi dalla stazione al centro e cercare i morti. L’edificio popolare ha un gigantesco birillo del bowling conficcato sulla facciata. C’è una via Norimberga che serpeggia per tutta la cittadina-outlet. Passo le mura dell’Hauptfriedhof, un Caffè di Nonna Speranza, la birreria Volksbrau con bandiera tedesca issata all’alba. Quando appare la statua dei fratelli Grimm capisco che siamo sempre e solo su a Piazza del Mercato, e che devono esserci centinaia di piazze uguali a gente che scrive per riviste, e cerca nell’uniformità urbanistica lo slang di American Psycho. A differenza dell’Händel di Halle, i Grimm di Hanau non sono affatto color mare, non vanno in palestra, non usano spermicidi, e non sembrano bisognosi di essere amati. Sono solo di pietra. Il maggiore ha una mano sul fianco, e tiene l’altra sulla spalla del minore, che sta seduto, e sfoglia un libro di fiabe dove Raperonzolo è incinta, il piede di Cenerentola sanguina, il mugnaio taglia le mani della vergine. La statua è fiancheggiata da due lampioni con nove palle di lampadari spenti; dal lato del Bar Klara, quattro telecamere in cima alla mole in vetro, bianche, rettangolari, come quelle che si vedono sulle autostrade in Bayern. Sui colonnati ne spiccano altre nere e tonde, esattamente come sull’altro lato, dove il Central Cafè dà l’idea di un doppione del Klara, e la piazza si specchia in sé stessa. Il Municipio in stile rococò, dietro ai Grimm, esibisce nove finestre su uno sfondo rosso-mattone. Il triangolo con lo stemma a corona ospita due figure femminili e uno scettro. La tettoia, la guglia dorata, il volatile esotico sul cucuzzolo, osservano un luogo dove la gente evita di passare, e danno l’idea di una tragica sospensione dello shopping. Oggi il centro di Hanau è un plastico di Sudfisch, Balkan Market, Galerie Kaufhof, catene Tschibo, e in questo non ha confini, è l’Ovunque, e il Nessun Luogo. Nel week-end ogni tedesco di ogni colore e etnia passeggia e consuma con turni lavorativi proporzionati al tempo libero. Nelle vie dei negozi donne africane e basta rimbrottano un neonato che si germanizza con la scacchistica, mentre un rasta di origine incerta saluta giovani operai bianchi con tatuaggi; ingannevoli maglie nere, un altro bar dove tutti ripetono: «Brother!», e si stringono la mano pacifici al sole. Oggi a Halle, volevo dire a Solingen, no scusate volevo dire a Hanau, c’è un’aria molto rilassata davanti alla Charity Church Gottendienst, tutte le domeniche ore 11 am, e studio Bibbia il venerdì sera. Le due mamme col velo tigrato, una bambina e un bambino con la cartella di Hallo Kitty. Gli operai vanno via dal bar disarmati. Ho finito il caffè italiano. Le manicure asiatiche sono indistinguibili da uno scontrino fiscale. Adesso lo vedo bene il Bader & Sohn Waffen. Adesso vedo anche la vetrina. Tobias R., 43 anni, di Hanau, ne deteneva una legalmente. Una pistola noleggiata in un negozio di armi. Anche l’R. di Hanau viveva con la mamma. R. era convinto dell’esistenza di un’organizzazione segreta che controllava le persone e poteva leggere nei loro pensieri, e per questo aveva intrapreso due inascoltate azioni legali contro ignoti. Autore di tre manifesti e quattro video sul sito internet, suicida, matricida, lettore di libri-spazzatura sull’esistenza di Bigfoot, ostile a turchi, libanesi, marocchini e curdi, ma grande amico di tedeschi di colore. Nel saggio online The Hanau Terror Attack, i sociologi ricostruiscono il suo corso di formazione all’Anschlag coi fucili d’assalto vietati in Germania. Aveva fatto l’Ausbildung in uno Shooting Camp slovacco diretto da un ex milite delle forze armate americane. Munito di regolare porto d’armi europeo, dopo 24 training sessions a Frankfurt, presso il Diana Bergen Enkheim Schützenverein, R. continuava ad apparire ben vestito, bene educato, a tratti lievemente teso, nel mancare i bersagli mobili necessari al diploma.

(Segue)



In copertina: George Grosz, Gefährliche Straße (Strada pericolosa), 1918

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