Tentare di capire come un personaggio nato sulla carta possa prendere vita, guadagnandosi le canoniche tre dimensioni, potrebbe sembrare una di quelle attività nelle quali arrovellarsi senza avere la certezza di arrivare da nessuna parte, come nella vita più in generale.
È infatti quest’ultima, o almeno una parte di essa, che la letteratura cerca di carpire, estrapolare, restituire all’immaginario per fare in modo che prima o poi qualcuno – intendendo il lettore, un osservatore, un passante che di tanto in tanto si trova a leggere – possa cercare di comprendere tutto questo rumore, quella costante sensazione di vuoto nel petto che tutti – o forse solo qualche sfortunato eletto – provano almeno una volta nella vita.
A proposito di vita, sfortuna e piani che planano via, tra gli eletti ai quali viene da pensare c’è Vincenzo Malinconico, un «avvocato d’insuccesso» che, nato dall’abile penna di Diego De Silva, trascorre la propria esistenza letteraria non smettendo mai di imparare e rendendo peculiare la più convenzionale fra le realtà.
Di ragioni valide per parlare di Malinconico ne possiamo trovare diverse, e variano dalla più becera e istintiva empatia al più ragionato apprezzamento per la visione del mondo che porta con sé mentre attraversa la sua Napoli. A catturare ulteriormente l’attenzione contribuisce la notizia del passaggio di questo eccentrico personaggio da un medium all’altro, dal libro alla televisione. A tal proposito, bisogna sottolineare come questo attraversamento non sia da considerarsi come un attestato di maggiore qualità; Malinconico è già al suo meglio fra le pagine dei romanzi, ma arrivando in televisione, peraltro sotto forma di prodotto seriale, può raggiungere un pubblico più ampio al quale sarà dato modo di esperire questo suo universo. Certo, ogni atto di trasposizione, un po’ come avviene nella traduzione – in questo caso di tipo intermediale – può comportare qualche perdita, ma non avendo ancora conosciuto la sua versione televisiva e volendo principalmente valutare il successo del suo insuccesso, possiamo esaminare i tratti che lo hanno reso capace di avere delle vere e proprie fattezze, vale a dire quelle dell’attore Massimiliano Gallo che lo interpreterà nella serie televisiva.
Per cominciare a raccontare di questo non-eroe è consigliabile prendere in considerazione i cinque romanzi che lo vedono protagonista, così da dare un’immagine quanto più possibile esaustiva del personaggio, per sapere cosa aspettarsi dalle sue malinconiche vicende.
L’avvocato Vincenzo Malinconico viene presentato – in Non avevo capito niente (Einaudi, 2007) – nell’atto del suo crollo personale; e cosa c’è di più personale della fine di un amore? In effetti quasi tutto il resto, ma è a partire da una fine che ci si può ritrovare a passeggiare per la propria città un po’ come un turista – cosa che non ci si concede così di frequente – e da lì, mentre si rimugina, magari far emergere tutto ciò che di sé tacitamente si sa e che rende gli esseri umani ugualmente diseguali. Diciamolo, essere lasciati senza alcuna possibilità d’appello (d’altronde è pur sempre di un avvocato che si sta parlando), non è un’esperienza gradevole, e rendersi conto che non si è stati capaci di dire quello che si poteva, al momento opportuno, è forse la peggiore fra le constatazioni non-proprio-amichevoli – sì, nuovamente un termine del linguaggio giuridico –, poiché la pessima tempistica, a volte, sa essere persino più ingrata del tempo.
Lontano dal ricordare l’immagine trionfante di una fenice che risorge dalle proprie ceneri, il caro Vincenzo si trascina nella sua esistenza senza perdersi d’animo, perché è prima di tutto un uomo ricco d’ironia e capacità d’analisi nonostante soffra, come egli stesso afferma «di un disturbo morfosintattico, un guasto della struttura delle frasi. Praticamente, perdo i bulloni dei periodi. Mi partono le parole, se ne vanno per i fatti loro. Non rispettano le precedenze. […] Il fatto imbarazzante è che io la frase la penso giusta, solo che esce smontata».
Concentrandosi sul lavoro – nel quale sa di non aver mai brillato – grazie alla vicinanza di una collega in particolare, Alessandra Persiano, per cui sarà invidiato da tutto il tribunale, e a un nuovo caso, Vincenzo, sempre un po’ trasportato dagli eventi, riesce ad andare avanti e ripartire. Sebbene il meccanismo sia scattato, non mancheranno di certo le difficoltà, come quella di gestire la relazione con i propri figli Alagia e Alfonso, e il sempre problematico rapporto con la sua ex moglie, Nives. A fare da contrappunto a queste difficoltà c’è per buona parte del tempo (e dei romanzi, anche se non tutti) Espedito Lenza, con cui Malinconico condivide il suo ufficio e una sfrontata amicizia, spalla più o meno perfetta per un imperfetto protagonista.
Se con Non avevo capito niente l’avvocato, le sue relazioni e la sua verve ci vengono già presentate con grande chiarezza, è in Mia suocera beve (Einaudi, 2010) che si comincia a riconoscerlo, a comprenderne la filosofia di vita e le azioni. Vincenzo deve fare i conti con nuove difficoltà – senza scendere nei particolari, potrebbe trattarsi di un evento surreale o, per usare un brutto neologismo, di un “surreality” –, affrontare con maggiore convinzione il rapporto con il proprio lavoro, con il modo in cui questo è percepito dai media e, come se non bastasse, le sempre complicate vicissitudini amorose di cui riesce a parlare solo con Espedito e la ex suocera (quella che beve), perché «il bello del parlare con mia suocera, è che con lei non devi mai giustificarti di nulla. Lo so che suona un po’ strano, ma se ci pensate su, la maggior parte dei rapporti umani è fatta in larga misura di giustificazioni».
Compiendo un ulteriore passo, quanto emerge in Sono contrario alle emozioni (Einaudi, 2011) è il Malinconico-pensiero, in tutte le sue sfaccettature. Fra tutti i libri di De Silva, questo potrebbe essere considerato una vera e propria incursione nei pensieri del suo personaggio, come pure nei suoi file. Tra le pagine troviamo anche delle vere e proprie analisi musicali, delle schede sulle canzoni che inquadrano il suo tempo ma anche il nostro. La menzione speciale va per il capitolo dedicato alla canzone Chissà se va, «un inno al coraggio di vivere, un manifesto fatalista impregnato di un ottimismo tutt’altro che passivo», oppure a Rumore di Raffaella Carrà, nel quale si legge:
«[Rumore] compie un’operazione antiromantica e controculturale: rompe il nobile pregiudizio che accompagna, nobilitandola, la paura nelle canzoni d’amore (e perciò la esorcizza), per riconsegnarla alla più autentica dimensione dell’angoscia. […] Il rumore è dunque una categoria dell’immaginario, una manifestazione, un richiamo.»
In Divorziare con stile (Einaudi, 2017) e I valori che contano (avrei preferito non scoprirli) (Einaudi, 2020) si ritrova un Malinconico che avrà pure, per dirla con il collega (e successivamente amico) Benny Lacalamita, «la faccia del piagnone diseredato in perenne credito con la vita. […]», ma oltre ad averne coscienza – il che, se si pensa agli inizi, è già parecchio – ha pure trovato un modo tutto suo di far fronte a qualsiasi bizzarria, difficoltà o dolore che gli si ponga davanti, non smettendo di ridere e di far ridere, elevando la comicità a vero e proprio sistema di comprensione del reale. Per capire meglio quest’ultima affermazione è bene concedersi una breve incursione nel secondo dei due romanzi menzionati poco sopra. Qui il nostro avvocato si trova a dover fare i conti con qualcosa di peggiore della morte, vale a dire la malattia e, nonostante le paure da affrontare, la sua capacità di alleggerire situazioni altrimenti insostenibili senza però banalizzarle non può che lasciare il lettore impressionato. Avrà infatti modo di dire riguardo Aurelio – «testaccino doc» e suo compagno di stanza in ospedale – «Ha un accento così musicale che lo senti anche se dice Buongiorno, e ti mette subito di buonumore (i romani sono così, quando parlano sembra che chiedano alla vita chi si crede di essere)», aggiungendo più avanti, in riferimento alla circostanza più in generale:
«Il tuo dramma non riguarda solo te. E volete saperne un’altra? Ci vedo un senso nell’essere qui, proprio adesso che ho più paura. Mi piace l’idea che siamo in tanti nello stesso recinto, e che possiamo farcela.»
Capitolo dopo capitolo, l’avvocato Malinconico si è in un certo senso evoluto pur rimanendo fedele a sé stesso, ha sviluppato una voce chiarissima e riconoscibile al punto da avere una raccolta delle sue massime, Le minime di Malinconico (Einaudi, 2021). È forse proprio questo a rendere possibile il passaggio a un altro medium. Inoltre, proprio questo marzo, l’avvocato Malinconico è tornato in libreria grazie al romanzo intitolato Sono felice, dove ho sbagliato? (Einaudi, 2022), nel quale – come si legge in quarta di copertina – si troverà alle prese con «una causa epocale per danni da sinistri sentimentali». Diego De Silva ha costruito un carattere con una cura quasi commovente e adesso che l’iconico Malinconico – questa non sarà un’espressione giuridica ma di certo è più che calzante – è grande abbastanza da esplorare nuovi luoghi, gli affezionati della prima ora saranno pronti a sentirlo rimuginare, inciampare e citare canzoni direttamente dalla serie televisiva a lui dedicata. Nel caso in cui qualcosa non dovesse convincere, ci si potrà sempre permettere uno sbuffo e prendere in prestito, come lui ci ha insegnato, un bel «ma tu vedi un poco la Madonna».
In copertina:
Ritratto di Diego De Silva – Corriere di Napoli