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Un uomo pieno di gioia. Quando Cesare Garboli si specchiò nei Diari di Delfini



Cesare Garboli è stato un uomo di molti libri e di nessun libro, curatore di scrittori e di scrittrici più che di libri e di testo quando ancora di curatori non si parlava e non se ne palesava la moda (almeno nei termini odierni).
Garboli ha rappresentato forse la forma più contemporanea dell’intellettuale novecentesco: frammentario e totale nello stesso tempo. La sua figura si staglia nella cultura italiana come elemento imprescindibile se si vuole comprendere non solo la letteratura, ma il carattere profondo di un paese in perenne mimesi. La sua lettura di Giovanni Pascoli – forse il suo capolavoro -, è una vera e propria interpretazione dell’opera che si fa geografia di un carattere, di un sentimento storico e filosofico che sta tutto in versi che hanno il sapore e la luce di una quotidianità quasi sempre famigliare, riconoscibile e autobiografica.

In questo (bellissimo) libro composto da Emanuele Trevi con la prefazione che Cesare Garboli scrisse per i Diari di Antonio Delfini e ora pubblicato da Minimum Fax con il titolo felicemente ambiguo di Un uomo pieno di gioia è un’ottima e splendida occasione per avvicinarsi a Garboli, alla sua idea critica attraversando allo stesso tempo una vera e propria mappa culturale che tiene dentro la propria impronta Emanuele Trevi, Antonio Delfini e lo stesso Cesare Garboli in un serrato e (concreto) dialogo. Un confronto che evidenzia i punti di contatto e che mostra i terreni di conflitto, dispiegando davanti agli occhi del lettore il senso di un percorso culturale fortemente affine e in un certo qual modo comune.

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In sole novanta pagine prende forma una vera e propria struttura ossea che restituisce il senso di una pubblicazione (quella dei Diari di Delfini) e soprattutto di una storia che parte dal secondo dopoguerra, un incontro tra Garboli e Delfini che prese subito la forma di un’amicizia fraterna. Inutile qui spiegare e dilungarsi su chi fosse Antonio Delfini, varrà – è proprio il caso di dirlo – anche se è ovvio la pena (anzi il piacere) di leggere direttamente le pagine di Garboli per poterlo comprendere con esattezza e con tutto il cuore che una passione obbligatoriamente richiede. Di certo a quel tempo la visione di questa coppia non poteva che illuminare lo sguardo anche del più distratto osservatore: un uomo di mezza età, un nobile decaduto nullafacente di provincia e un giovane e brillante studioso, allievo di Natalino Sapegno.
Il luogo privilegiato dell’incontro è Viareggio, le ore in cui plasmare la propria amicizia quelle notturne. Una relazione che ricorda per modi e pratiche – seppure con tutte le differenze del caso – quella che anni dopo coinvolgerà ancora lo stesso Garboli proprio con Emanuele Trevi (amicizia da Trevi raccontata nel suo Sogni e favole) a sottolineare le non banali qualità rabdomantiche del critico nel riconoscere anime affini e metterle a catalogo; e il senso di un libro-guida come sa essere Un uomo pieno di gioia.

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Antonio Delfini negli anni Venti

E proprio questa qualità rabdomantica fa dei testi di Garboli degli oggetti stratificati e complessi. Apparentemente i suoi scritti possono assomigliare a semplici annotazioni biografiche se non di costume, come anche qualche sprovveduto a suo tempo ebbe il coraggio di dire a sfavore del nostro accusandolo addirittura di non fare della vera critica letteraria, ma del banale pettegolezzo.
In realtà il lavoro critico di Cesare Garboli è realmente disegnato e cucito a misura d’autore, che non viene analizzato come sotto un vetrino, ma conosciuto e cercato nella sua specificità umana, nella sua precisa differenza. Una volta attivata questa relazione sostanziale allora Garboli offre al lettore la visione viva e pulsante di un autore o di un’autrice attraverso le sue pagine che rappresentano il condensato di un’analisi umanistica raffinata, una straordinaria analisi critica al tempo stesso lucida e appassionatamente coinvolta. Delfini in qualche modo si trasforma così non tanto in un amico del lettore (il che sarebbe quanto meno ridicolo), ma in un sentimento vivo, in un oggetto culturale illuminato e quindi riconoscibile.

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Cesare Garboli negli anni Cinquanta

La lettura critica offerta da Garboli aderisce al lettore dandogli la possibilità sia di fermarsi in superficie sia di farsi accompagnare fin dentro nei meandri della pagina di Delfini, ed è forse in questa pacifica relazione che Garboli offre al lettore che si palesa uno degli elementi più efficaci del suo lavoro culturale. Non fiducia a priori dunque, ma un’azione maieutica che attraverso la pagina scritta persuada il lettore a mettersi direttamente in discussione e quindi in dialogo con Delfini. In buona sostanza Garboli rende nota la propria relazione con Delfini, fatta di conflitti, affetto profondo e abbandoni per permettere al lettore di accedere ad un vero e proprio piano di lavoro attraverso il quale fare totalmente proprio Delfini, dando forma ad un proprio e inimitabile Antonio Delfini.

Al tempo stesso, Un uomo pieno di gioia è anche un paratesto potenzialmente infinito dove la prefazione di Garboli che diviene testo è preceduta da una prefazione di Trevi che allo stesso modo non è semplicemente una lettura critica, ma è evidentemente qualcosa di più. In questo scarto si intuisce sia il senso di un’amicizia, quella tra Garboli e Delfini e quella tra Garboli e Trevi, sia dell’amicizia in generale o meglio potenziale, ad esempio quella tra Trevi e Delfini. Un movimento magico che trasforma gli uomini in compagni di viaggio e di avventure e che la letteratura rende immortali soprattutto nel cuore di chi abbia voglia di indagare come i sogni appartengano al reale quanto l’umano alle storie. I vivi e i morti ci appartengono nello stesso tempo, nella medesima notte trascorsa a camminare come a leggere affamati e curiosi.

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