Stralunati si apre con un’assemblea di condominio. Tra gli astanti «si respira un’aria di aggressività» mentre discutono, con scarso successo, una lista di problemi che appare come una summa delle battaglie territoriali degli ultimi decenni, fra ecologismo e spirito nimby, derive securitarie e rigenerazioni urbane. Le voci si affastellano senza guida alcuna – senza, cioè, che l’amministratore riesca a dare ordine al disordine emotivo e politico, intellettuale e verbale che pervade la sala – quando, a un tratto, un signore si alza e inizia a leggere le proprie poesie.
Totalmente inattuale, estemporaneo e gratuito, con un atto che è un vero e proprio evento, il poeta lascia l’assemblea attonita, incapace di reagire. La parola poetica compie un’irruzione nella trama del quotidiano ma non rivela né vivifica, non crea quell’epifania di senso che illumina gli avvenimenti e ne permette un’elaborazione ulteriore come vorrebbe una certa mistica dell’impegno letterario; anzi, non fa che aggiungere incomunicabilità all’incomunicabilità aggressiva su cui ha innestato la propria voce. Il poeta, testimone di un’urgenza profonda ma non condivisa, viene infine rifiutato dai condomini proprio perché, paradossalmente, ciò di cui tratta non è urgente, «non [è] in tema» con l’assai più prosaico ordine del giorno. Lui sarà zittito, e i suoi versi dimenticati.
Basterebbe questa cornice a farci capire che il tema principale di Stralunati, la raccolta di racconti brevi, a volte brevissimi, di Andrea Inglese (Italo Svevo Edizioni), è lo straniamento, l’alienazione in ogni sua forma. Una raccolta che squarcia la linearità narrativa per buttarsi a capofitto nella costruzione libera e disarticolata di tableu vivant – una specialità peraltro di Inglese che costituisce una parte assai gustosa della sua prosa, qui declinata in una variante grottesca e surreale – fatti apposta per spiazzare e lasciare insoluta la curiosità del lettore.
Dopo La vita adulta, romanzo sul mondo del lavoro e le illusioni perdute nei percorsi di crescita professionale e artistica – un incastro a doppia elica costruito con grande perizia tecnica – in Stralunati Inglese si diverte a giocare con gli stessi temi, libero finalmente dai legacci della trama.
Proprio la trama, infatti, è tra i principali bersagli polemici del libro, controparte letteraria dell’elenco di obblighi, doveri, responsabilità e liste infinte di cose da fare che costituiscono la quotidianità della vita adulta e che prendono vita nel racconto Il quaderno dei calcoli, lasciando dietro di loro solo una scia inconcludente di sensi di colpa e fallimento, rimorsi, ansie e frenesia. Inglese sembra volerci dire che la trama, la terribile ossessione contemporanea per lo storytelling mutuata dal panorama anglosassone, rischia di diventare una terribile dittatrice, una carceriera dell’ingegno capace persino di distruggere il piacere della scrittura – e della lettura. E così costruisce una raccolta di quadri polisemici, non narrativi ma evocativi, fatti di atmosfere dalle molteplici chiavi interpretative e dai significati stratificati e sovrapposti.
D’altra parte, quale modo migliore per descrivere una realtà contraddittoria e insensata di una serie di racconti contraddittori e insensati? Gli stralunati del titolo siamo noi, lavoratori in un mercato del lavoro che si è evoluto al punto da trasformare l’alienazione che produce in lavoro essa stessa: in Far nulla, che non a caso apre la raccolta, il protagonista diversamente occupato è impegnato ad ascoltare e trascrivere senza posa conversazioni casuali, con il risultato di sprofondare in una frenesia inconcludente che rispecchia l’essenza del lavoro contemporaneo. Anche Un mestiere, oggigiorno prende in giro l’assurda foga con cui spesso siamo chiamati a inventarci un lavoro, risucchiati in un gorgo di autopromozione infinita. In Al risveglio è invece la motivazione, o meglio la sua ricerca spasmodica, a diventare lavoro: esito prevedibile di un mondo che schiaccia gli individui fra aspettative, doveri e ansie sociali all’interno di identità traballanti e confuse, e dove solo nel sonno – nei sogni – si possono trovare barlumi di autenticità e verità.
Solo l’onirismo, insomma, la trasfigurazione in parte allegorica e in parte arbitraria della realtà, offre una via di fuga. Nemmeno l’arte ci riesce, anche se La forza dei romanzi dell’omonimo racconto è ancora quella di scardinare l’abitudine, la routine mortifera descritta in Essi vivono – chiaro omaggio a un film che è uno strano capolavoro di serie B, tutto incentrato sulla duplicità del reale. Purtroppo, però, la forza del romanzo non incide su ciò che esiste al di là della copertina ed è destinata a esaurirsi con l’ultima pagina del libro: come il poeta della cornice iniziale, non riesce a penetrare nella cortina di sciatta prosaicità dell’assemblea di condominio permanente in cui si è trasformata la nostra società. Ma la risposta non può nemmeno essere un’arte politica, ci dice Inglese, perché si potrà forse raccontare di “salario e salvezza”, come viene ipotizzato in Una storia, ma si tratterebbe di un racconto «faticoso e triste», in cui «i bambini non contano nulla». E l’ambiente letterario – descritto così bene ne La telefonata dei dotti e già tema del capitolo sull’università di Parigi è un desiderio, primo romanzo di Inglese – ci viene presentato come basato sull’esasperazione delle gerarchie e sulla capacità di escludere da circoli ristretti, destinato a produrre, più che altro, la sgradevole sensazione di essere sempre fuori posto.
Nemmeno l’arte può salvare, e da un punto di vista sistemico la contrapposizione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale è solo apparente. In I due fratelli e lo zio, il racconto più classico di tutta la raccolta, Inglese trasforma Caino e Abele nei rappresentanti archetipici delle categorie dell’artista borghese e perdigiorno e del manovale proletario e invidioso: il primo amato dalla famiglia e dallo zio-capo, divinità distante; il secondo odiato e vessato fino al raptus omicida che, lungi dal risolvere le cose, lo condannerà alla gogna pubblica permanente. Il canovaccio qui è il solito, e però Inglese suggerisce che la rabbia, la frustrazione e il risentimento del più debole sono utili solo ai potenti, che, impegnati ad arraffare «palazzi, denaro, armi», trasformano i tanti Caino di questa terra in utili capri espiatori su cui far ricadere le proprie colpe, mentre gli artisti e gli intellettuali sono ridotti a vittime sacrificali.
Con Stralunati Andrea Inglese mette sotto la lente d’ingrandimento le varie facce dell’alienazione contemporanea, un’alienazione che trascende la dimensione lavorativa e invade il regno esistenziale perché a essere messa a valore dagli ingranaggi della macchina produttiva è ormai la nostra vita in tutti i suoi aspetti. Una raccolta di racconti da leggere tutta d’un fiato, a patto però di sospendere l’incredulità e accettare il fatto che ai problemi sollevati non sarà data risposta, perché nella vita, semplicemente, non tutto giunge a chiarezza.
In copertina, immagine di Passione e Linguaggi