C’è un modo molto ben preciso di essere lombardi (che è cosa ben lontana dall’essere milanesi) e che contraddistingue in particolare i lombardi in gita a Roma come nel mondo (i lombardi chiaramente mai emigrano). Una misura che lascia scivolare in un’impalpabile trasparenza le origini di nascita come quelle culturali o meglio di diploma, opponendo al mondo una latente partecipazione a tratti virtuosa a tratti elegantemente neghittosa. Diciamo che quella misura Alberto Arbasino l’ha trasformata in stile, uno stile inarrivabile, ma una misura in parte riconoscibile come sa fare non solo brillantemente, ma affettuosamente Michele Masneri nel suo Stile Alberto, pubblicato da Quodlibet.
Masneri, di natali bresciani ma da tempo in gita a Roma, svolge un’indagine accurata attorno a quello che si può definire lo stile di Arbasino e ne raggiunge l’essenza puntando come non di rado sanno fare i lombardi – ovvero testardamente e anche con i caratteristici modi timidamente rigidi – al cuore di un uomo che cela dietro la propria genialità una tenerezza umana non facile da percepire e di sicuro di difficile accesso. Ma Michele Masneri non si tira mai indietro e il libro diviene così una lunga rincorsa verso la giovinezza di Arbasino, il suo essere ragazzo libero e perenne. Un’indagine fatta di inciampi e piccoli imbarazzi che non allungano il percorso e non complicano l’amicizia, a tratti muta e impacciata, tra Arbasino e Masneri, ma ne definiscono per l’appunto lo stile. La vita di uno scrittore è la sua opera e viceversa, basta saperla leggere, basta sapere mettersi in ascolto anche quando si alternano lunghi silenzi ostili a libri di monumentale virtuosismo. Trovare l’uomo nell’opera e l’opera nell’uomo, inseguirlo per carpirne il segreto, farlo proprio per se stessi e per la propria salvezza.
Masneri alterna il rapporto con Arbasino ai suoi primi passi di lombardo a Roma, i salotti e l’artistocrazia, i progetti urgenti da fare subito, anzi forse mai, e l’angoscia che coglie chi ha deciso di saltare nel giornalismo abbandonando una carriera diplomatica che chissà, poi forse magari era meglio. E invece no, perché è in questo traballare continuo che passo dopo passo l’autore diventa pienamente da arbasiniano a cultore dell’arbasinismo, da potenziale imitatore di uno stile a sapiente esploratore della sua misura.
Stile Arbasino è anche nella sua essenza un vero e proprio romanzo di formazione con un maestro che in parte si nega come tale, ma diviene presenza centrale quale compagno di viaggio in una città e in una professione – quella del giornalismo – che paiono andare a braccetto tra antichi fasti e deprimenti economie. Michele Masneri si avvicina così pagina dopo pagina – senza l’ambizione folle di contenerla del tutto – all’essenza di Alberto Arbasino. Si avvicina senza bruciarsi, riportando con delicatezza aneddoti divertenti e commoventi allo stesso tempo. Una sovrapposizione di vita e di opere, di giornate e di letture che offrono in una misura rapida e breve il senso di Arbasino e del suo tempo che oggi spesso viene rimpianto senza mai coglierne la natura.
Il tempo di Arbasino è parte centrale del suo stile e non è un tempo dato solamente da quello che pure viene raccontato da Arbasino stesso nei suoi libri, ovvero quello degli anni del secondo dopoguerra, del miracolo economico e dei grandi giornali italiani che divengono realmente tali offrendo ai propri lettori lunghi reportage da ogni parte del mondo (i cui autori vengono lautamente compensati, ricchi piè di lista compresi). Il tempo di Arbasino è perenne perché è personale e quindi autoriale, un luogo dell’anima che contiene i matinée della vita. Il desiderio elegante e mai stolto di essere non giovani (o peggio ancora giovanili), ma ragazzi tutta la vita.
La nostalgia contemporanea, oggi così diffusa soprattutto tra chi “giovane” rimpiange un tempo mai vissuto, tanto glorioso e tanto Novecento, si oppone alla necessità di vita contemporanea di Arbasino che pulsa ancora nei suoi libri. Una distonia che sembra accompagnarci inevitabilmente a confondere ogni piano portandoci così dall’arbasiniano giovane promessa, solito stronzo e venerabile maestro verso qualcosa di più simile alla venerabile promessa, al giovane stronzo per concludere con il solito maestro.
Fino alla fine Arbasino gioca a confondere le tracce e a seminare il suo inseguitore e amico. Anche di questo si nutre Stile Arbasino offrendo ai lettori un ritratto pieno, sicuramente incompleto (impossibile diversamente), ma che coglie l’essenzialità di Arbasino con una precisione a tratti abbagliante. Vale per tutti il viaggio in automobile di un perplesso Arbasino stretto nella morsa affettuosa del lombardo Masneri con la complicità del sabaudo Ricuperati. Il viaggio di tre ragazzi diversissimi eppure affini, che sia con voglia che controvoglia sanno mettere al mondo una giornata improbabile fatta di quella gioia sottile che è la meraviglia che lega l’uno all’altro.
Alberto Arbasino ha raccontato un secolo rendendolo perennemente contemporaneo, lo ha tolto per sempre dalla storia per lasciarlo nelle mani di chiunque volesse goderne, imparando a vivere il proprio in quanto unico e irripetibile. Un tempo troppo breve per buttarlo via con papillon pre-annodati, sandali e completi blu.