Viva la Banshee, lunga vita alla Banshee. Quella che preconizza il buono e si annuncia con una «Bahahahaaaaaa» risata scoppiata. Può essere la portinaia del gattile, la rosolatrice di dorayaki…: una speciale donna normale, basta che sia.
Altro che bellezza, a salvarci sarà dell’umorismo pittorescamente sguaiato. Hiromi Goto l’ha nelle vene da Chorus of Mushrooms (1994), primo inarrivabile romanzo generazionale cui son seguìti (pochi) altri lavori, e ora s’aggiunge una primizia.
La scrittrice nippo-canadese ha affidato ad Ann Xu’s una storia delle sue, zeppa d’irregolarità e nomadismo, e leggerezza rocciosa. Xu’s, illustratrice giovane diplomata al Maryland Institute College of Art, è ascesa al linguaggio della monade contemporanea fino a lasciarne congruente traccia visiva: Shadow life, una graphic novel per First Second, smaltibile in lingua originale.
Goto vive attorno alle sponde del fiume Fraser, negli aulenti territori dei Musqueam; la sua Vancouver dà casa a fringuelli viola, anemoni, ravanelli giganti. Bisogna saperlo. Assieme al fatto che la nonna materna, Oba-chan adorata, fa da odigitria nell’altare personale. Ora si capisce l’anziana Kumiko, che adotta pigne, che fugge.
Una pingue vecchia vedova s’era mai vista, o intravista di rado, star di una letteratura. Nuda, difettosa, diretta come solo i plus-adulti si permettono, poiché a fine corsa – e chi-se-ne-frega. Uguale a Kiyokawa di Coro di funghi, la protagonista adopera la propria senilità al pari di un’arma piumata. La famiglia (le sue tre figlie) vuole domarla, gestirla (una costosa suite all’ospizio Green Acres). Lei raccoglie in una valigia-furoshiki poche cose, se ne va alla ricerca di un nuovo posto a misura, con passo sciabattato («Clatter clatter»). Esistere – 存在する.
L’impianto, alla Machiko Hasegawa, cala irriverente a mo’ di sipario dolcissimo pagina via pagina, su suoni senza enunciazioni, frastagliato ed essenziale e scintillante. Matriarcale anche la scrittura, sempre inclusiva, fortissima nelle viscere.
Kumiko abita così un alloggio disordinato per laureandi. Flotta come un sughero nella piscina del residence, si doccia tra smilze ragazzine lasciando l’asciugamano appeso, ingoia pranzi liofilizzati. Ogni tanto passeggia lenta, a boa, nel quartiere invernale; ricerca pezzi di legno, frammenti resinici, minuzzoli rottamati; ama recuperare ciò che è perso, guasto, lo tiene con sé ma non lo colleziona, lo fiuta con gli occhi.
Le immagini grigie son semplicissime. Un solco esterno di Koh-I-Noor calcato, ombreggiature piene, nessuna sfumatura. Lo stile asseconda il pathos, allora cangia e può impreziosire, o stilizzare, ancora.
Il futon si gonfia di aspirine rotolate via dal portapillole, di blatte monche. Il cellulare esplode di messaggi veementi, ricattatori («Mamma come puoi farci questo? Rispondi!»; «Se non ti farai viva entro mezzanotte chiamerò la polizia!»). Ma lei sta bene nel confinato cosmo caotico in cui ripensare fragilità («non posso nemmeno ridere senza farmi la pipì addosso»; «credo di sembrare vecchia. Non mi sento vecchia, dentro»), ridimensionare pesi («ero solita trasportare un sacco di riso da cinquanta libbre, sulle mie spalle»). Il resto del mondo accovacci laggiù, prego – どういたしまして.
L’informalità del disegno lascia margine alla meditazione. Fuori dai balloons, spazio per cieli piccoli da riempire inspirando, attendendo. Due anni nella collaborazione, Xu’s e Goto – questo è levitare.
Qualcosa d’inquietante e pressato d’un tratto pedina Kumiko. La Morte. Ombra nera su forme diverse (gatto, merlo, fiamma, blob), inizia a perseguitarla tendendole agguati. Le porta spiriti sull’uscio, macchie di pece sulla schiena.Si può combattere la propria ora? Sì. Con sali di Epson, con un aspirapolvere degno dei Ghostbusters.
Malleabile l’illusione dipinta, quando riesce a sfuggire all’immediatezza dello sketch e sfoggiare invece geriatrica, illuminante lentezza. Contro gli imperativi.
Shadow life accarezza legami di sangue, questioni di salute, di coppia e sessualità. Le convenzioni, cose da complete bozos. L’indecenza è la sola prova dell’esistere – Goto racconta ultra-settantenni in foia, vogliose di masturbarsi, di leccarsi le dita salsate –, è la certificazione di una pseudo norma sull’imprendibile forma umana, trasversale quanto a genere, a età. In altra parte del mondo, Kumiko indosserebbe dei gemelli di lana d’alpaca e pagherebbe regolari sedute per allenare il pavimento pelvico. Dentro questo universo rugoso, le eroine portano innocue felpe e calzoni macchiati d’urina, convinte che – vero, vero – l’incontinenza dopotutto le salverà. In maniera misteriosa, umidiccia. Reale.