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Scrivere è inseguire fantasmi. Ultimo Parallelo di Filippo Tuena



La nuova edizione di Ultimo parallelo di Filippo Tuena (Il Saggiatore, gennaio 2021) è corredata di un’ampia introduzione scritta dall’autore stesso. Si tratta di un prezioso resoconto su come, a posteriori, uno scrittore indaghi il proprio lavoro e ne ricostruisca la sottile trama di eventi che lo ha portato a lavorare su una determinata idea. Secondo Tuena, le storie si presentano allo scrittore per vie sconosciute e maturano fino a sfociare nel desiderio di essere esplicitate. Questo processo termina con un atto di volontà: voler scrivere una certa storia. Anche perché come scrive l’autore:

«Il significato nascosto del libro emergerà durante la scrittura e sarà un evento altrettanto imprevisto che l’atto generativo».

 È un percorso a ritroso che cerca di capire l’intero processo di costruzione di un libro: l’idea, le prime stesure, le ricerche, i viaggi, i dubbi, la scelta della voce narrante, la prosa da adottare. Un testo che ha le caratteristiche di un diario romanzesco, perché lo scrittore si espone a una storia e ne rimane ammaliato e invischiato nel profondo tanto quanto noi lettori. È una riflessione sullo scambio tra autore e lettore che riguarda intimamente la struttura di Ultimo parallelo.

Come è noto, il romanzo racconta la straordinaria impresa inglese di conquista del Polo Sud condotta nel 1911 dal capitano Scott e la sua squadra, e ricostruisce, o meglio, narra, attraverso un amalgama di fonti diverse, la disfatta della spedizione, conferendo al racconto una dimensione epica e tragica. Sembra una storia narrata da un Marlowe di terre estreme, di cui si ignora l’identità e che introduce con il suo filo di voce in un mondo in cui la natura è ostile e selvaggia, dove gli uomini si trovano a sfidare se stessi e i propri limiti. Un viaggio verso un inferno bianco e gelido, che richiama alla mente i passaggi infernali della commedia dantesca e la figura di Ulisse, persa in un labirinto di ghiaccio mentre insegue l’eterno desiderio: vedere il mai visto, scoprire il non scoperto, conoscere di più; e rimette pertanto in discorso l’antico archetipo della hybris.

Ultimo parallelo, Filippo Tuena

Messi da parte i molteplici sottotesti, Ultimo parallelo è soprattutto uno straordinario libro di avventura in grado di trascendere il genere per addentrarsi verso i più profondi labirinti delle emozioni e dei sentimenti dei protagonisti della spedizione. Oltre alla dimensione del viaggio oscuro, tratta da capisaldi come Poe e Conrad, la ricostruzione diaristica amplifica il significato epico del libro, conferendogli un’ulteriore dimensione psicologica che trascina il lettore nel privato dell’avventura. In questo intreccio di reale e immaginario, Tuena adotta una voce narrante enigmatica e fantasmatica, capace di catturare noi lettori come fosse quella di un sopravvissuto o di un testimone. A raccontare è un generico uomo in più, la cui identità è resa nota nel primo capitolo:

«Nei ricordi degli esploratori, riferiti a volte a molta distanza di tempo dagli avvenimenti, e paurosamente annebbiati anche se riordinati attraverso il processo di memoria, appare, incappucciata al loro fianco, mentre la fatica della marcia si fa insopportabile e sembra esigere ed esaurire ogni piccola energia residua, l’inquietante figura dell’uomo in più – glinding wrapt in a brown mantle, hoodeed –, colui che procede incappucciato avvolto in un mantello bruno».

Chi è questo uomo? Quest’ombra che segue gli esploratori fino all’estremo limite, che racconta a noi questa storia di sconfitta? Si tratta del fantasma di un esploratore morto in una precedente spedizione o è una presenza che non riusciamo bene a esplicitare? Le congetture che ricostruiamo da lettori ci lasciano nell’indeterminatezza. Sappiamo che appare nella quinta parte di The Waste Land di T.S Eliot e fa riferimento all’impressione di alcuni esploratori di avere qualcuno al loro canto. Ce ne viene offerta una precisa genesi nella nuova introduzione al romanzo che rappresenta una lente d’ingrandimento su come nel lungo tragitto di scrittura le tappe per la costruzione di una voce narrante siano spesso graduali e diverse.

Ultimo parallelo, Filippo Tuena

Da qui in poi a raccontare è qualcuno che tutto ha visto e ricostruisce l’intera vicenda dal primo giorno dell’arrivo degli esploratori. La voce narrante interpreta il fantasma della memoria a cui la letteratura dà voce. Le fonti storiche permettono l’ingresso in un mondo che richiede all’autore un lavoro ulteriore dell’immaginazione per tornare a raccontare ciò che successe in quegli spazi:

«Scott, perché era il comandante della spedizione, teneva un diario molto aggiornato, completo, persino pedante. Raramente affidava alla carta pensieri personali come se già pensasse quei fogli destinati ad essere letti e diffusi, sia che vincesse o che perdesse quell’assurda gara verso il Polo. Ma a volte anche lui si lasciava irretire dal labirinto dei ricordi perché l’immobilità in tenda era terribile e pericolosa».

In questi termini l’uso della fotografia all’interno del romanzo ha un’importanza decisiva e ricorda il ritorno prepotente del dato storico e quanto questo possa diventare narrazione. Da ciò si desume che la forza di Ultimo Parallelo stia nel suo carattere ibrido e stratificato: un intreccio di stralci diaristici, lettere e fonti fotografiche – immagini fantasmatiche per eccellenza – capaci di evocare un’impresa straordinaria e cuciti insieme al contrappunto romanzesco. Una dimostrazione di come la letteratura sia una discesa profonda nell’elusività indeterminata della memoria; un metodo che ha Sebald come modello, basti pensare a quel minuzioso sprofondare nel passato che è Austerlitz, narrato attraverso immagini fotografiche che simili a pietre miliari ancorano la ricerca immaginativa alla realtà documentaria. Ed è un motivo dominante che lo stesso autore sottolinea nella nuova edizione del romanzo:

«Concorda con l’opinione che le più belle prose riguardano il sentimento del passato o la nostalgia e da questi sentimenti trovan ragion d’essere».

Scrivere diventa, quindi, uno stato di trasognamento creato dalle parole, e l’ultimo modo di far parlare ciò che è sepolto, dimenticato, immobile nel tempo passato.

Ultimo parallelo è diviso in sei capitoli, ma lo spartiacque fondamentale è circa a metà libro. Gli uomini della spedizione hanno atteso troppo a lungo al campo di Capo Evans gli altri cinque, sono usciti a cercarli in condizioni climatiche difficilissime e non conosciamo ancora l’evolversi dei fatti. Il quinto capitolo si apre con una fotografia che mostra una tenda in mezzo a una landa ghiacciata al cui interno si trovano i corpi senza vita di tre degli esploratori della spedizione finale, trovati dai compagni rimasti al campo. È il momento in cui noi lettori e il resto degli esploratori apprendiamo il fallimento della spedizione.

«Hanno cominciato a cercare qualcosa, forse i diari, perché hanno aperto gli astucci di tela e qualcuno sfoglia le pagine con delicatezza e con molto affetto badando bene a non lasciarsi coinvolgere in questa storia di uomini lasciati soli nel nulla, in questa storia di uomini attesi per mesi che hanno smarrito la via del ritorno e che immobili sono arrivati qui all’interno della tenda a questo incontro così atroce, così impietoso».

Qualcuno dovrà leggere i loro diari e ripercorrere la loro strada. Quel qualcuno è il medico Atch Atkinson, vero protagonista della seconda e tragica parte della storia. Attraverso la lettura dei diari trovati sui corpi congelati degli esploratori, egli diventa narratore e racconta come sono andate le cose. Man mano che si dipana la storia apprendiamo della conquista del Polo da parte dei norvegesi di Amundsen, della loro bandiera piantata al novantesimo parallelo, del viaggio di ritorno colmo di disillusione e delle morti prima del marinaio Evans, poi di Oates e degli altri.

«Adesso Atch sa come è andata. Sa che sono finiti in pezzi, poco alla volta, uno dopo l’altro e si guarda attorno, ma nella tenda non c’è il marinaio Evans. Soltanto i corpi congelati di Scott, Bowers e Wilson e lui che legge i diari mentre fuori i compagni hanno quasi terminato di montare il campo e il marinaio Crean si affaccia dentro la tenda».

Atkinson rappresenta la figura che fa da tramite tra narratore e lettore: è come se noi lettori ci specchiassimo in lui che legge i diari mentre la voce narrante dell’uomo in più lo osserva leggere. È questo il momento fondamentale in cui si capisce il significato profondo della voce narrante che Tuena spiega nella prefazione:

«Volevo che il punto di vista cambiasse e che si creasse un contrasto continuo tra la situazione claustrofobica della tenda e quella agorafobica del paesaggio esterno, così accade che tutta la seconda metà del libro è il resoconto della lettura che Atch fa dei diari, del suo atto di leggere. Ultimo parallelo (o almeno quella parte) diventa così un libro sul leggere, un’esplorazione sulla lettura o sull’interscambio che avviene tra lettore e scrittore» .

È questo snodo cruciale che permette all’autore di capire fino in fondo, a scrittura in itinere, uno dei fili rossi della sua narrazione: scrivere un romanzo sulla lettura.

«Osservare Atch che legge i diari; osservare l’uomo in più che osserva Atch; considerare il lettore che legge il resoconto dell’uomo in più e finisce per rendersi conto che il vero uomo in più è lui stesso, il lettore» .

C’è l’idea di un’appartenenza a quello spazio immaginativo che lettore e scrittore scambiano in continuazione e quanto, in fin dei conti, uno scrittore è lettore di sé e scrive, nella maggior parte dei casi, ciò che vorrebbe forse leggere. Una riflessione teorica che scaturisce dall’atto di scrivere: letteratura è, citando il testo di Belpoliti e Sironi su Gianni Celati, «luogo trascendentale attraverso cui gli uomini si intendono per mezzo delle immagini nella loro mente. Chi scrive è soltanto un filo elettrico che porta una corrente sempre collettiva, sempre al di là di lui».

È necessario spendere ancora qualche parola sulla lingua usata da Tuena. La vicenda è raccontata con una prosa che aspira all’immediatezza di una voce orale, distaccata e insieme partecipe, pietosa verso gli uomini che persero la vita nella corsa al polo. Un testo diviso in brevi paragrafi, con una punteggiatura ridotta all’osso, capace di trascinare il lettore con una forza oracolare:

«Gran parte di quell’avventura si materializza nelle parole scritte sulle pagine dei piccoli taccuini che li accompagnavano in quel percorso, che per ciascuno era profondamente diverso come se il cammino che compivano assieme fosse invece la somma di differenti viaggi, lungo percorsi differenti e diretti a differenti mete come sempre accade in ogni viaggio condiviso in gruppo che finisce per essere la somma di viaggi frammentari, incompleti, irrecuperabili» .

Da questa somma di viaggi frammentari, dati reali che aprono spazi immaginativi, compiuti da uomini e non da eroi, salvandone la memoria, e addentrandosi nella loro profonda intimità, lo scrittore racconta la dignità della sconfitta e la sua umanità.

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