Presentato al Festival di Cannes 2021, dove ha vinto il Gran Premio della Giuria, Scompartimento N. 6 è stata una delle rivelazioni cinematografiche della scorsa stagione.
Mescolando riflessione politica, cinema sentimentale e racconto di formazione, il film racconta la storia di una giovane donna finlandese che, per fuggire da un’enigmatica storia d’amore a Mosca, sale a bordo di un treno per recarsi in un sito archeologico di Murmansk, verso il circolo polare artico. Durante questo lungo viaggio, si ritrova a condividere lo scompartimento, il numero 6, con uno sconosciuto, un minatore russo. Il lungo tragitto porta i due, completamente agli antipodi sia per carattere che per ideali, a una convivenza durante la quale faranno incontri improbabili: questo viaggio, però, cambierà per sempre la loro visione della vita e finirà per unirli.
Essenziale nella messinscena e intenso nei dialoghi, il lungometraggio restituisce allo spettatore un’atmosfera di altri tempi, dal piglio romantico e avventuroso, dovuta proprio al fascino di uno dei mezzi di locomozione più rappresentati e importanti nella storia della settima arte.
Il viaggio diventa presto un modo per ritrovare connessioni umane in un mondo segnato dalla separazione e dall’isolamento (non è un caso la scelta del luogo dove si stanno dirigendo i due protagonisti), gradualmente, senza fretta, arrivando a scoprirsi l’un l’altro e cercando di trovare una nuova natura anche dentro se stessi.
Alla base di questa intensa e originale pellicola c’è un romanzo altrettanto riuscito, firmato da Rosa Liksom e datato 2011, pubblicato in Italia da Iperborea. Abbiamo avuto il piacere di intervistare sia l’autrice sia il regista del film, Juho Kuosmanen, che ha adattato il testo di partenza insieme a due collaboratori.
Alla scrittrice abbiamo chiesto, innanzitutto, cosa l’avesse spinta a diventare un’autrice di romanzi: «Un grande bisogno e l’istinto di condividere con altri cose che ritengo importanti. Forse anche un’urgenza di scrivere, che è nata dalle ingiustizie sociali che ho subìto quando ero giovane: le ingiustizie, le disuguaglianze, la crudeltà dell’uomoverso gli altri esseri umani, verso la natura, verso gli altri animali».
Rosa Liksom ci ha raccontato che nel 1981 viveva a Mosca, ha imparato a parlare russo e si è interessata alla storia e alla cultura russe, confermando anche quanto la protagonista sia in parte ispirata a se stessa («il viaggio in treno che descrivo nel libro l’ho fatto davvero»), seppur con la dovuta distanza: «il romanzo è finzione, ma l’autore scrive sempre attraverso la lente della sua esperienza personale. Non ci sono altre opzioni. C’è molto di me in quella ragazza, ma non si tratta di autofiction. Io, come scrittrice, e la ragazza nel film, siamo pronte all’avventura. Nella vita bisogna sempre correre i rischi».
Se si percepisce la natura semiautobiografica del romanzo, altrettanto fondamentale è il lato politico, vera e propria anima del testo insieme al suo essere un racconto di formazione: «Quello che volevo dire nel romanzo è che, al netto di qualche peculiarità culturale, gli uomini sulla terra sono tutti uguali. Siamo tutti animali della specie homo sapiens. Noi esseri umani dovremmo amarci e amare il nostro pianeta, non odiarci e non odiarlo».
Non potevamo non approfittare della gentilezza dell’autrice per chiederle il suo pensiero sul film di Kuosmanen e quali siano le sue sequenze preferite: «amo quella girata al largo dell’Oceano Artico. La bufera è magnifica», così come «l’ultima lunga sequenza quando la ragazza è seduta sul sedile del taxi e il sole brilla sulla sua faccia. Mi ha profondamente commossa la scena dell’uomo alla miniera, circondato dai colleghi, che si guarda indietro».
Al regista, invece, abbiamo chiesto, come prima domanda, come si sia avvicinato a un romanzo di cui è riuscito a catturare perfettamente lo spirito, pur con alcune interessanti variazioni: «Il libro di Rosa ha un animo molto riconoscibile. Questo è uno dei motivi principali per i quali ho voluto cimentarmi in questo adattamento. Il cinema, però, è una forma d’arte molto concreta. Una delle nostre sfide era rendere l’animo visibile. Volevamo realizzare un film che trascina le persone sul treno. Non è solo una storia ambientata su un treno. Era questa la sensazione che avevo mentre leggevo il romanzo di Rosa. La parte principale del lavoro creativo – soprattutto nell’adattamento – è capire cosa può rimanere fuori. Il nostro nucleo era l’incontro con l’altro, quindi abbiamo cominciato con l’eliminare le pagine che non avevano a che fare con questo tema. Abbiamo tolto moltissime belle scene, perché non alimentavano il nostro nucleo tematico».
All’interno della sceneggiatura, tra le modifiche apportate, c’è un vero e proprio colpo di genio: l’uso della videocamera per esprimere i ricordi della protagonista, evitando i flashback presenti nel testo di partenza.
Abbiamo allora chiesto al regista se il ragazzo finlandese che ruba la videocamera sia da intendersi come un modo attraverso il quale far capire alla ragazza che deve lasciarsi alle spalle tutto ciò che non le appartiene, oltreché uno strumento per tagliare con il passato e guardare al futuro: «Sì, l’idea era proprio questa. Ci sono molti bei momenti nel romanzo in cui tutte le cose che rimangono indietro vengono elencate. Si ripete sempre ogni volta che lei lascia una stazione. Ho amato queste liste. Circa il 99% del tempo trascorso sul treno, lo trascorre sentendo la mancanza delle cose che ha lasciato dietro di sé e all’ultima pagina finalmente guarda al futuro. A Mosca, a Mosca! Lo stato d’animo della protagonista che desidera costantemente qualcosa o che aspetta sempre qualcosa, ma mai davvero concretamente, era facile da capire. Mi sento nello stesso modo. E quei momenti sfuggenti in cui lasci andare cose dal passato sono attimi di libertà».
Kuosmanen ha poi sottolineato la difficoltà di girare le scene ambientate sul treno, ben più complesse perfino di quelle all’aria aperta in situazioni climatiche tanto estreme: «Il treno è stato più difficile. Non c’era aria sufficiente, non c’era sufficiente spazio, era rumoroso e tutto era molto lento. Ma avevamo bisogno di farlo in questo modo per trasmettere le sensazioni autentiche di un viaggio in treno. In uno studio, con tutte le comodità, non sarebbe stato possibile».
In conclusione, non possiamo non citare quella che per noi è la sequenza più bella dell’intera pellicola: l’abbraccio tra i due protagonisti. È come se entrambi capissero qualcosa di importante in quel momento, a partire dal bisogno di avere contatti umani sinceri.
Così ce l’ha descritta il regista: «Si tratta di una scena molto complessa. Nel romanzo è una scena molto violenta. Volevamo pensare a un altro modo di distruggere una bella amicizia in modo goffo. Hanno raggiunto un contatto umano sincero, emozionale, dopo che la camera è stata rubata. È il momento in cui Ljoha capisce davvero come si sente e capisce di essere capita da lui. Entrambi sanno cosa significa essere maltrattati. Fa schifo. È un bel momento ma non sanno come continuare. Tutto comincia a essere troppo emotivo e Ljoha – abbiamo cambiato il nome di Vadim, perché il personaggio di Yura è troppo diverso – non sa come gestire questa cosa. Laura cerca di consolarlo, ma poi si baciano anche se nessuno dei due lo vuole per davvero. È un momento complesso. Non ci sono parole adatte a verbalizzare quello che volevano dire e il bacio non aiuta. Fortunatamente, hanno una nuova possibilità dopo i petroglifici, nella bufera mentre combattono. Trovano un modo per essere vicini, ma senza il carico delle aspettative. Mentre combattono sono come bambini piccoli, senza ruoli di genere e tutto il caos che ne deriva. Finalmente hanno un contatto sincero, anche fisico».
Un contatto sincero e fisico che farà loro capire, nonostante quelle differenze iniziali tanto grandi da sembrare abissali, che i loro destini sono segnati da quell’incontro: finiranno così per trovare l’uno nell’altra quel profondo desiderio di connessione umana, che faticano fin dall’inizio a tenere nascosto e che da entrambi è in realtà tanto agognato.
In copertina: dettaglio della locandina italiana del film