Una provocazione sociologica, un sermone psichico. Una sfida, quella di Patrick Süskind, che Longanesi scorpora dalle Ossessioni (2007) per farne racconto a parte. Sul bel libriccino, illustrato da Jean-Jacques Sempé (suo il lapis che ha dato vitamina a Le petit Nicolas), sfilano soldatescamente le robuste immagini letterarie cui ha abituato l’autore de Il profumo. Si scrive, sotto al bersò del Jardin du Luxembourg, di una gara di scacchi che tiene sugli spilli una Parigi inebetita: cosa esorta la sparuta folla alla rinuncia del sacro apéritif, pur di seguire le manovre tra Jean, notorio asso, e il pallido sconosciuto? La curiosità val bene un mancato kir.
Cala il sole, si distendono le ombre degli olmi. La partita sfuma i contorni – sia visivi sia allegorici – della classica disputa e diviene metafora sul labirinto introspettivo. Antropologie gestite con calma, con la fibrillazione muscolare che ci si aspetterebbe per un torneo di pétanque.
S’inizia dai dettagli fisici sul mezzobusto, un po’ come Cézanne vertebrava i suoi giocatori al tavolo. Qui, allo scrannetto, i nostri mostrano «boriosi occhi scuri» (lo sfidante misterioso, «sfrontato e muto ed elegante»), e le caratteristiche proprie a un «ometto alquanto repellente di circa settant’anni» (il matador locale): Jean, entro «tipica tenuta da pensionato francese – pantaloni blu e gilè di lana sbrodolati di cibo –» porta in giro «mani tremanti macchiate di vecchiaia, capelli radi, un naso rosso di vino e il viso tutto segnato da capillari violacei». Pare il sempre ìmpari raffronto tra giovinezza e vecchiaia, tra beltà e laidezza. Ma Süskind increspa la superficie estetica insinuando da subito scompaginazione morale: al primo scacchista spettano i neri, al secondo i bianchi, nella più banal-reale delle simbologie inverse.
Si passa poi all’azione.
L’inconnu gioca in modo «originale, rischioso, deciso», «napoleonico» persino, i suoi noirs. L’abitudinario del Jardin, l’assonante géant, inviso al popolino, pratica coi blancs «mosse piccole piccole, caute mossettine di contenimento». È la débâcle di un uomo stanco di vincere che, seppur mal dotato d’intuito interiore, capisce d’essere spinto da una forza inesorabile e contraria, antipatica: la veemenza della suggestione, dell’influenza.
In mezzo a pause e massacri borbotta, difatti, la piccola frotta di curiosi. La cui povertà intellettiva s’indovina a naso, come stato olfattivo, quando l’«impercettibile ingrossamento delle narici» dei duellanti segue relativo odor di crimine. Dopo anni di mirabili maestrie, la massa-senza-nome non punterebbe un sou su Jean: paradosso tipico del gregge (Süskind lo vuole bovino) al quale basta un minimo richiamo per distrarre la rotta.
Al giocatore dei chiari, gli spettatori instillano incubi («stai attento, oggi sarà la tua Waterloo»); al detentore degli scuri regalano irragionevoli telepatie di favore («oramai può giocare come vuole, lo seguiranno mossa dopo mossa sino alla fine, sfolgorante o amara che sia. Lui ora è il loro eroe, e loro lo amano»); ai pezzi semi-digeriti rivolgono lodi blasfeme («eppure è bella, incredibilmente bella, una regina non è mai stata così bella, solitaria e fiera in mezzo alle file del nemico»). Sul margine di un ritrovato sacro luco – il brolo del VI arrondissement si presta alla retorica del tropo –, essi sfogano una tifoseria gladiatorica, sgranano intime frustrazioni.
Le sang appelle le sang. Qui non se ne spilla nemmeno una goccia eppure si va via dalla sfida colpevoli, a mani sporche, uguali al sicario che, compiuto il misfatto, porta con sé il souvenir piastrinico.
Mentre c’è ancora da attendere il finale, s’adopera Sempé. Le sue tavole sono interruzioni alla concitazione dello scritto, sottraggono il colpo di scena a beneficio di una smania parcellizzata, aiutano a farsi un’opinione. Il tutto accade tramite prospettive spalmate e sferzate d’inchiostro, stile riconoscibilissimo: la sveltezza del tratto, il puntinismo delle stagioni immobili, i lunghi nasi. L’allegra malinconia dell’illustratore è la copia originale di quell’universale sentire poetico che pochi eletti, tuttavia, sanno dire.
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Illustrazioni di Jean-Jacque Sempé