Quando il 6 gennaio scorso un gruppo di manifestanti ha fatto irruzione nella sede del congresso degli Stati Uniti, oltre copricapi fatiscenti, a destare l’attenzione è una Q riportata su maglie e cartelli: è così che il mondo si accorge di QAnon, ma il movimento cospirazionista statunitense era in vita già da diverso tempo. Dal primo messaggio firmato Q, dall’autunno del 2017 a oggi, il movimento è mutato in forme imprevedibili. In La Q di qomplotto, edito da Alegre, Wu Ming 1 indaga il fenomeno QAnon, supera concetti inutili o dannosi per il dibattito e riflette sul ruolo delle fantasie di complotto nelle nostre società.
Nella prima parte del libro individui una continuità di narrazioni false sull’instaurazione del dominio di un gruppo ristretto a danni di popoli o innocenti, responsabile delle loro sofferenze. In che modo queste storie deviate dovrebbero essere una spiegazione al perpetuarsi delle ingiustizie più esaustive della realtà?
Il punto è che la logica di sopraffazione e mercimonio delle vite tipica della società capitalistica fa soffrire anche – direi soprattutto – persone nel cui modo di pensare è assente o molto sfocato il concetto di «società capitalistica». Molte persone non hanno ben chiaro il perché del loro malessere, quali siano i meccanismi, le logiche di sistema, gli “algoritmi sociali” che riproducono continuamente disuguaglianze, discriminazioni, sfruttamento… Il mal di vivere in questa società è il primevo nucleo di verità intorno a cui si formano le fantasie di complotto. Queste ultime sono pseudo-analisi, pseudo-critiche del sistema. Si formano per varie ragioni:
1) perché latitano soggetti portatori di analisi e critiche più sensate e quindi il cospirazionismo colma un vuoto;
2) perché le fantasie di complotto titillano alcuni pregiudizi cognitivi dei quali chiunque di noi può cadere preda, soprattutto durante gli scambi iper-accelerati sui social network;
3) perché, in virtù di quanto appena detto, le fantasie di complotto sono più facili da capire, da assimilare e da comunicare ad altri rispetto ad analisi sulla «sussunzione reale della società nel capitale»;
4) perché sono storie affascinanti, intriganti, narratologicamente ben temperate da secoli di selezione. Ogni fantasia di complotto contemporanea è in fondo un remake di una fantasia precedente. Ciò le consente di andare a colpo sicuro: se ha funzionato così bene e così a lungo l’”accusa del sangue” contro gli ebrei, allora ha grosse chances di farcela anche il Satanic Ritual Abuse, che ne eredita i tratti ed è il mitologema intorno a cui si è formata la narrazione di QAnon.
Internet, e nello specifico i social media, non hanno creato le teorie del complotto ma ne hanno aiutato l’espansione e la diffusione. Facebook, ad esempio, ha sempre tardato nel riconoscere e rimuovere contenuti che incitano all’odio e solo di recente YouTube ha iniziato a eliminare contenuti falsi. Queste piattaforme, secondo te, hanno una responsabilità nella radicalizzazione del pensiero, una volta che si entra nel cosiddetto “buco nero”?
Sempre più inchieste, ricerche e leak stanno dimostrando che Facebook – ma la compagnia si è appena ribattezzata Meta, cosa che in Israele ha fatto sghignazzare perché in ebraico significa morta – ha non solo tratto vantaggi da cospirazionismo e disinformazione, ma abbia addirittura finanziato questi fenomeni e queste dinamiche. Nel periodo 2018-2020 Facebook ha beneficiato della crescita tumultuosa di QAnon, ne ha tratto profitti e l’ha favorita prima tramite il “contagio” degli algoritmi che suggeriscono contenuti e poi con alcune modifiche apportate allo strumento dei “gruppi”. I due maggiori responsabili della disseminazione di QAnon nell’infosfera sono YouTube e Facebook. Queste compagnie sono intervenute solo quando certe cose si sono fatte troppo sconvenienti, e solo per smussare gli spigoli più visibili.
Di tutto questo Facebook continua a beneficiare. Il cospirazionismo genera community fidelizzate e al contempo polemiche, divisioni, alterchi coi debunker ecc. In una parola: genera engagement e la piattaforma esiste per estrarre dati dalle interazioni. È un vero e proprio sodalizio, quello tra capitalismo dei big data e fantasie di complotto. Il “post-QAnon” su Facebook prospera in mille forme e sfumature, semplicemente non sventola più la targhetta QAnon perché è troppo connotata e attirerebbe troppo l’attenzione. Questa fase è già cominciata nell’estate 2020 con le mobilitazioni #Savethechildren di cui racconto già nell’Ouverture del mio libro. In questo Facebook e the-cult-formerly-known-as-QAnon sono dalla stessa parte, l’importante è che non ci sia scritto QAnon. E così, la piattaforma continua a ospitare fantasie di complotto mentre alcune pagine di centri sociali e associazioni sono state cancellate, e i loro amministratori sospesi, perché promuovevano presentazioni del mio libro, usando la parola proibita. Poco importa che si trattasse di iniziative non di QAnon ma su QAnon. È successo già quattro volte.
Si è portati a pensare che dentro questi meccanismi di pensiero rimangano incastrate persone fragili, o che attraversano un momento di fragilità, che riscontrano delle difficoltà nel discernere la realtà dalla finzione. Eppure non è così. La domanda più banale quindi è: com’è possibile arrivare a credere alle fantasie del complotto?
In tutto il libro ho cercato di spiegare che non esiste alcuna chiara contrapposizione tra “i complottisti” e “noi”. Spesso i complottisti siamo noi. Nessuno può scagliare la prima pietra, soprattutto in Italia, dove la cultura del sospetto porta a vedere complotti ovunque, a volte a ragion veduta, ma spesso sovrainterpretando, esagerando. Inoltre, quasi tutti noi siamo sui social, e sfido chiunque a dire che non ha mai condiviso contenuti “equivoci”, cioè qualcuno di quei “mattoncini” che uno dopo l’altro hanno formato l’edificio del cospirazionismo odierno.
Un capitolo del libro si intitola: Il problema non è solo a destra. Se il problema fosse solo a destra o – ancor più confortevolmente – solo all’estrema destra, allora il campo sarebbe ben demarcato, e il problema sarebbe più chiaro, anche se tutt’altro che risolto, perché a monte resterebbe il problema dei problemi, quello di come mai narrazioni come quelle di Trump, Orban, Bolsonaro ecc. mietano così facili consensi nel ceto medio declassato e deluso dal sistema e addirittura nella classe operaia.
Una delle cose che mi preme ribadire è che a sinistra, da sempre, le fantasie di complotto pullulano non molto meno che a destra. Basti vedere il successo della narrazione “Truther” sull’11 settembre, che fu abbracciata da una parte di movimento altermondialista che aveva subito la sconfitta di Genova. Ne ho sentite di cotte e di crude in quegli anni, addirittura: «L’11 Settembre è stato un modo per non far più parlare di Genova», e non solo non erano così pochi a dirlo: non erano nemmeno quelli “incolti”, anzi.
I motivi per cui non si diventa cospirazionisti sono molteplici e complessi quanto quelli per cui lo si diventa. Chiedersi come mai qualcuno non cada nel rabbit hole a rigore ha lo stesso senso del chiedersi perché qualcun altro invece vi cada, è la stessa domanda all’inverso. Solo che, appunto, le “buche del coniglio” sono tante, e quella prima pietra è meglio che non venga nemmeno raccolta, perché chiunque di noi nella vita ha creduto ad almeno una fantasia di complotto.
Se la vediamo da quest’angolatura, non è affatto vero che stiamo parlando di una minoranza. Non esiste alcuna “minoranza di scemi” che credono ai complotti. Quegli “scemi” siamo potenzialmente tutti noi. Ad esempio, le fantasie di complotto a nocciolo pseudoscientifico non sono limitate al campo definito come “no vax”, ne ho sentite tante anche sugli Ogm, sul complotto di Big Pharma contro l’omeopatia ecc. In generale a Big Pharma viene attribuito di tutto e ovviamente qui i nuclei di verità sono grossi, perché quell’industria ne ha fatte tante, ma descrivere il comparto farmaceutico univocamente come un Moloch non aiuta la critica sensata, anzi, la scredita preventivamente.
Penso che se sgombrassimo il campo dall’idea che chi “crede nei vaccini” è intelligente e virtuoso e chi non ci crede è stupido e vizioso, forse capiremmo che il problema è la lunga latitanza nella società di forze consistenti e influenti che permettano l’espressione di una critica della medicina capitalistica e dell’industria sanitaria così com’è. Accadde negli anni Settanta, consiglio sempre gli scritti di Franco Basaglia e Franca Ongaro Basaglia. In mancanza di questo, abbiamo l’antivaccinismo che spesso è una parodia involontaria di una critica della medicina.
Il punto secondo me resta prevenire la “cattura” da parte di destre e cospirazionismi della rabbia, del malcontento, della voglia di opporsi al sistema. Impedire che qualcuno diventi “QAnonista”, offrire a chi lo è già un’alternativa migliore. A me questo sembra l’ABC.
Mostrare la sutura: con il collettivo Luther Blissett avete giocato con estrema precisione con la comunicazione surreale, tra isteria collettiva e moral panic, alimentavate il fuoco del cospirazionismo per poi smontarlo, all’apice dell’esperimento, pezzo per pezzo, togliendo così potere alla fantasia stessa. Lo stesso procedimento, ma fatto dall’esterno, avrebbe la stessa efficacia?
Se con dall’esterno intendi dire: smontare pezzo per pezzo una specifica fantasia di complotto già esistente, no, non avrebbe avuto alcuna efficacia. Sarebbe stato il solito debunking. Invece inventarla noi, quella fantasia di complotto, montarla come la panna, far cadere in trappola i giornalisti e infine svelare tutto, spiegando cos’avevamo fatto e perché, ha permesso di veicolare lo smontaggio critico del Satanic Ritual Abuse attraverso una storia più forte e più divertente della fantasia di complotto a cui si opponeva.
Nel biennio 1996-97 noi – il Luther Blissett Project – facemmo inchiesta usando anche le beffe mediatiche. Ci inventammo un’insorgenza satanista e una “ronda” antisatanista di fanatici cristiani. Invenzioni che i media diedero a lungo per vere. A un certo punto le beffe e le false notizie le rivendicavamo e le spiegavamo. Quello era il momento-chiave. Nel caso specifico, la nostra rivendicazione fu un contributo importante all’assoluzione e alla liberazione degli accusati. Invece oggi il falso resta in circolo senza alcuna rivendicazione, e il suo proliferare è talmente vorticoso da travolgere l’idea stessa di poterlo rivendicare. Pensiamo ai primi dispacci firmati “Q”, intorno a cui è nato il fenomeno QAnon. Una delle ipotesi – talmente plausibile da essere diventata una delle sotto-trame della serie tv The Good Fight – è che il tutto sia partito come una beffa da parte di attivisti anti-Trump, poi sfuggita di mano ai suoi autori. Se anche oggi quelle persone confessassero, sarebbero credute?
Insomma, nel paesaggio mediatico di oggi non è detto che la nostra tattica di allora possa funzionare. Tuttavia, può essere di grande ispirazione lo spirito con cui conducemmo la nostra guerriglia. Le fantasie di complotto, oltre a intercettare malcontento sociale e pervertire nuclei di verità su quanto sia schifosa la società capitalistica, intercettano anche un bisogno di intrattenimento, di meraviglia, di incanto. Nessuna contronarrazione funzionerà se non intercetta e dirotta quel bisogno, il cospirazionismo va affrontato anche su quel terreno, non solo su quello della logica e del fact-checking. La differenza tra una narrazione cospirazionista e la contronarrazione che ci serve è che noi dobbiamo tenere insieme re-incanto e pensiero critico. Quella è la sfida. Ebbene, ai tempi di Luther Blissett noi ci rendemmo protagonisti di una storia che, una volta raccontata, risultò molto più interessante, affascinante e coinvolgente della fantasia di complotto sposata dalla magistratura: «Hanno ingannato i media per un anno inventando una setta satanica e il gruppo di vigilantes cattofascisti che le dava la caccia» è una cazzo di storia! E non solo la raccontammo, ma ne spiegammo ogni retroscena, offrimmo al pubblico tutti gli strumenti necessari a capire come avevamo agito. Re-incanto e pensiero critico, insieme. Proviamo a ripartire da qui.
Photo credits:
Copertina La Q di qomplotto, edizione Alegre
Frame servizio abcNews