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Piero Chiara, ascesa e declino dell’autore delle piccole storie


La collaborazione di Limina con la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori dà il via ad una serie di approfondimenti sui percorsi editoriali di alcuni degli autori di punta della casa editrice. Nomi e firme che ricorrono e che delineano un percorso importante, quello al centro della mostra digitale Il cam(m)ino dell’editore – Storie di Arnoldo Mondadori a Meina, visibile sul sito della Fondazione. Cominciamo con…


«In tanti, soprattutto giovani, mi chiedano come abbia fatto a capire che sapevo scrivere e che le mie opere erano valide. Se lo avessi capito probabilmente non avrei iniziato a pubblicare a cinquant’anni», con queste parole a metà tra il serio e il faceto, o forse tra il rammaricato e l’ironico, si racconta all’inizio degli anni Ottanta in un’intervista per la RAI lo scrittore Piero Chiara. Questa sua affermazione, qualsiasi fossero i sentimenti di fondo, porta con sé una grande verità: Chiara diventò un autore affermato e riconosciuto, con un pubblico di fedelissimi lettori, tardi, quando lui, nato nel 1913, dopo svariate esperienze lavorative che vanno dall’impiego in magistratura come aiutante di cancelleria sul finire degli anni Trenta, all’insegnante di lettere presso il liceo italiano di Zugrberg, visse anni prolifici – tutti gli anni Cinquanta – che lo portarono alla prima pubblicazione nel 1961.

Negli anni della sua massima produttività (1961-1986) Chiara pubblicò i suoi lavori più importanti e pregevoli – romanzi e racconti – con Mondadori, casa editrice da cui l’autore ebbe sempre un grande appoggio, oltre che la stima di amici e colleghi, uno su tutti Vittorio Sereni, che si prodigarono perché le opere di Chiara ricevessero l’attenzione che meritavano. Ma da dove nasce il prolifico rapporto con Mondadori? Da una lettera del 3 febbraio 1959 indirizzata ad Alberto Mondadori con cui Chiara invita l’editore a partecipare come relatore ad un ciclo di incontri dedicati all’editoria che si sarebbero tenuti a Varese nella primavera dello stesso anno. «Egregio Direttore, credo che non Le sia ignoto il mio nome» esordisce Piero Chiara prima di presentarsi come ospite dell’evento il cui calendario è in fase di pianificazione. Mondadori, lietissimo per l’invito, accetterà di buon grado, trovandosi in seguito costretto a declinare a causa di improrogabili impegni di lavoro sorti all’ultimo momento. Da questo primo scambio epistolare il rapporto dell’autore luinese con il grande editore sembra destinato ad interrompersi, a concludersi con un fallito incontro culturale, e invece i documenti seguenti attestano l’inizio di un’assidua corrispondenza, densa di riflessioni, sulla produzione di uno di quelli che sarebbero diventati i nuovi autori di punta.

Piero Chiara

È un carosello di rimandi e di rinvii, di proposte e di consensi, un rapporto epistolare sentito e partecipato che palpita di emozione e desiderio, quello che intercorre tra Chiara e lo staff di Mondadori. Anche quando perplessità e dubbi si affacciano all’orizzonte si raggiunge un equilibrio a volte non sperato, un tacito compromesso che concede all’arte e alla sua salvaguardia ampio respiro. La scheda di valutazione di Il piatto piange, romanzo del 1961, denota una folgorazione collettiva, spinta e fomentata da Vittorio Sereni che non perde occasione per elogiare il lavoro e la prosa di Chiara. Alberto Mondadori stesso, sull’onda dell’entusiasmo per la scoperta di un autore così maturo e così unico nel suo stile e nella sua abilità di romanziere ”delle piccole storie”, invia copie di Il piatto piange a intellettuali e letterati affermati, tra questi il poeta Marino Moretti che nel 1963 con una lunga lettera – che Mondadori, pieno di orgoglio inoltrerà a Chiara – manifesta la sua sorpresa nella scoperta di una voce nuova e tanto intrigante e audace.

«Carissimo Alberto, ti scrivo per dirti una cosa sola: ho letto di recente “il piatto piange” di Piero Chiara e ne sono entusiasta. […] In un primo tempo, dopo i primissimi capitoli, mi pareva che queste “cronache di Luino” fossero qualcosa di simile alle “cronache di Frusaglia”, sentendovi quasi lo stesso estro, gli stesso spiriti bizzarri e non so quale analogia tra le Marche e Verbania. La verità è che il libro di Chiara è molto più serio e vi si trovano in certe pagine fatti incredibili, e starei per dire terribili a partire da quelli che sorgono per la passione per il gioco. […] Ma i capitoli più belli, direi più straordinari, impensati, sono quelli che riguardano il gonococco. Credo che nessuno mai abbia trattato un argomento come quello con l’audacia, l’umanità e la forza stilistica dello strepitoso luinese.»

La forza di Chiara stava nel raccontare stralci di vite comuni, apparentemente poco interessanti, a cui viene dato peso, lustro e rilevanza mentre sullo sfondo, quasi relegati a importanza minore, si avvicendano i momenti caldi e salienti del regime fascista. Con Il piatto piange, La spartizione, Il balordo, solo per citare i primi romanzi, quelli più osannati dalla critica, dal pubblico, più volte ristampati nelle varie collane Mondadori nel corso di un solo decennio, Piero Chiara immerge i suoi lettori nello scanzonato mondo di personaggi strampalati, grotteschi, sfortunati ed infelici che inaspettatamente si trovano catapultati in situazioni da cui non sanno districarsi, ingabbiati in ruoli – ambigui – che non concedono loro via di scampo. Moretti centra dunque in pieno il bersaglio: fatti terribili e condizioni quasi surreali riportate su carta con maestria tagliente e cinica.

Piero Chiara
Piero Chiara guarda le firme sul camino di villa Mondadori a Meina durante la festa per i suoi settant’anni, organizzata in villa da Mimma Mondadori il 23 marzo 1983.

Il mondo del cinema e quello della televisione trovano presto terreno fertile nella produzione di Piero Chiara. Primo di una lunga lista è il regista Alberto Lattuada che nel 1966 si affretta a chiedere i diritti a Mondadori per la trasposizione cinematografica de La spartizione, film complesso e controverso che nella lavorazione incontra non pochi problemi soprattutto legati alla stesura della sceneggiatura a cui anche Chiara prende parte. Titolo e focus dell’opera cambiano completamente: il protagonista Emerenziano Paronzini, che in principio doveva essere interpretato da Mastroianni e che in seguito avrà il volto di Tognazzi, perde la centralità che aveva nel romanzo, schiacciato dall’imponenza dei ruoli del trio di sorelle – sua moglie e le sue cognate – con cui si intrattiene. Eppure, ciò nonostante, il film ottiene un discreto consenso di pubblico e di critica e la vittoria del Nastro d’Argento alla sceneggiatura nel 1971, ennesima prova per il mondo editoriale e per l’industria cinematografica del proficuo successo a cui si può aspirare attraverso il talento di Chiara.

Gli anni Settanta e gli anni Ottanta sembrano essere più altalenanti: Chiara, che Alcide Paolini in svariate lettere e schede di lettura si ostina a definire migliore nella produzione di racconti piuttosto che in quella di romanzi, è seguito da uno zoccolo duro di lettori fidelizzati, ma sempre più spesso incontra giudizi tiepidi da parte dell’editore e della critica. Sono in molti a ritenere che il piglio incisivo e critico di Chiara, a volte goliardico si sia affievolito per lasciare spazio ad una visione più matura e meno mordace.

«[…] Noto da un po’ di tempo che Chiara insiste sul tasto dell’amore come passione e non più come svago o pretesto più o meno boccaccesco. E’ chiaro che si sforza e lo fa per rinnovare l’interesse nel suo pubblico (per lo più di bocca buona). Ci riesce davvero? A mio parere no. […] Ne risente lo sviluppo della storia, tanto che i colpi di scena sono prevedibili e difettano in credibilità.»

Ciò sostiene Alcide Paolini nella scheda di lettura di Una spina nel cuore (1979), esplicitando, senza filtri perplessità che già erano comparse nella valutazione di La stanza del vescovo (1976), romanzo che nonostante le perplessità aveva ottenuto un buon successo, anche sulla scia dell’omonimo film diretto da Dino Risi, che ancora una volta vede come protagonista Ugo Tognazzi.  Il Chiara senile rimane comunque sulla cresta dell’onda grazie all’estrema lucidità ed efficacia dei suoi racconti, oltre che grazie all’ormai consacrata grandezza dei suoi romanzi degli esordi.

Nel 1986 al momento della sua scomparsa, il luinese Piero Chiara era ormai un autore consacrato destinato ad essere annoverato tra gli autori memorabili del secondo Novecento, eppure un repentino e brusco cambio di rotta della letteratura degli anni Novanta e dei primi Duemila ha fatto sì che la sua figura e la sua letteratura finissero in ombra, spodestate da nomi e racconti di vita più altisonanti ed ingombranti.  Vero, innegabile, ma Piero Chiara non è stato dimenticato, indipendentemente dal premio letterario a lui dedicato, sono sorti prolifici autori che potremmo considerare suoi eredi, che tengono alto l’onore di quella provincia delle piccole storie grottesche e terribili in cui è facile calarsi e al tempo stesso prendere le distanze per guardare con occhio critico da dove veniamo e dove andiamo.




Foto credits: Fondazione Mondadori

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