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Ode alla fallibilità. Il Manuale di autodistruzione di Marian Donner

Nell’estate all’insegna dell’incertezza di un anno apocalittico, il Saggiatore parrebbe incoraggiarci alla resa proponendoci il Manuale di autodistruzione di Marian Donner, nella traduzione dall’olandese di Marco Cavallo. 

Quando ho saputo che avrei recensito questo libro ho telefonato a un uomo che soffre da molti anni di una grave depressione e oppone una strenua resistenza a qualsiasi iniziativa che implichi un suo impegno attivo anche solo per alleviare in parte la sofferenza che il suo malessere gli procura.
Gli ho detto: «Devo scrivere di un libro che s’intitola Manuale di autodistruzione, quindi mi sono stupita quando ho visto che il nome in copertina non è il tuo, hai usato uno pseudonimo?». Mi ha risposto – con l’estrema, radicale e universale diffidenza che lo contraddistingue – che il fatto stesso di scrivere un libro e pubblicarlo dichiara una volontà di condivisione che qualcuno di davvero votato all’autodistruzione non ha.
È sempre bene consultare un esperto. Prima ancora di aprire il libro sapevo che il titolo voleva trarmi in inganno. È quindi con sospetto che ho affrontato le prime pagine, in cui Donner mi sembrava adoperare gli stessi strumenti retorici, lo stesso linguaggio motivazionale, lo stesso stile da slogan pubblicitario, la stessa superficialità semplicista tipica del fanatismo del pensiero positivo che avversa.

Hai cominciato a pensare che il problema sei tu. Che dipende da te se non sei ancora felice, non hai successo, e scivoli lentamente verso l’esaurimento. E così hai comprato Headspace. Un braccialetto conta i tuoi passi, una app misura il tuo sonno, cerchi di distoglierti dalla negatività e di essere positivo. […] Tieni un diario delle cose per cui essere grato. 
Non si tratta di auto‐aiuto, no, lo chiami prendersi cura di sé stessi. Lo fai per amor tuo. […] Ma alla fine quello che l’industria dell’auto‐aiuto ti offre non è altro che un mucchio di trucchi, protezioni e consigli per resistere più a lungo. Affinché tu possa collaborare meglio e dimenticare quanto questo mondo sia in realtà incomprensibile. 

manuale di autodistruzione

Donner sceglie un titolo e un’impostazione ironici per scagliarsi contro l’oggetto della sua insofferenza: i manuali di auto-aiuto, l’imperante positività, il pensiero dominante che un atteggiamento da vincenti porterà a un sicuro successo, con l’implicita inferenza che se fallisci è solo colpa tua e della tua negatività.
L’autrice olandese critica con fervore una certa retorica capitalista del mondo occidentale che spinge l’individuo a concentrarsi sul miglioramento individuale coltivando l’illusione che se sarà abbastanza concentrato, allenato, produttivo potrà raggiungere la posizione che desidera all’interno di un iniquo sistema piramidale che sarà troppo impegnato a scalare per guardarsi intorno, unire le forze con quanti vivono nella sua stessa condizione e immaginare magari invece di sovvertire quel sistema.

Per i lettori in cerca di un’analisi più approfondita di questi temi abbiamo recensito su questi schermi opere più dense e rigorose. Le considerazioni di Donner non sono né sbalorditive, né particolarmente eversive, né tantomeno inedite. Nel 2009 Guanda pubblicò un libro molto simile, ormai fuori catalogo: Contro la felicità: elogio della melanconia di Eric Wilson, che partiva da un’insofferenza sorella di quella che anima Donner contro la diffusa ossessione per la positività, per lanciarsi in un appassionato panegirico a favore della tristezza, un sentimento imprescindibile per vivere con pienezza la condizione umana, fecondo, che dischiude profondità precluse nei momenti di gioia ed è fonte di ispirazione e concime per la creatività. A sostegno della sua tesi Wilson citava l’importanza fondamentale della malinconia nell’esperienza artistica, prendendo a esempio il dolore che aveva ispirato e nutrito le opere di poeti, scrittori e musicisti, da William Blake, Herman Melville, John Keats, Beethoven, fino a Joni Mitchell, Bruce Springsteen e John Lennon.

manuale di autodistruzione

Più polemica e meno tendente al lirismo, Donner dissemina il suo Manuale di riferimenti culturali che oscillano tra l’accademico e il pop, rifacendosi alle teorie complesse di pensatori del calibro di McLuhan e Bertrand Russell, o dell’economista austriaco Friedrich von Hayek, per poi citare a poche righe di distanza Kanye West, il testo di Tribute dei Tenacious D, Il trono di spade Her di Spike Jonze, con il citazionismo schizofrenico, tra il ricercato e il camp, tipico di una generazione di intellettuali cresciuta all’apice dell’industria dell’intrattenimento, e con un accesso immediato e illimitato a risorse documentarie senza precedenti.

Il manuale di autodistruzione è esattamente il suo contrario, mentre si struttura come anti manuale di auto-aiuto propone cinque atti di affermazione: 1) puzzare, ossia la rivendicazione del diritto a un corpo imperfetto; 2) bere, ossia la rivendicazione del diritto all’irrazionalità, all’impulsività, a momenti di ebbrezza e abbandono, al vivere il presente solo per sé stesso; 3) sanguinare, ossia la rivendicazione del diritto alla sofferenza e ai momenti di negatività e disperazione come parte della vita, al riconoscere l’esistenza del caso e delle circostanze avverse; 4) bruciare, ossia la rivendicazione del diritto a un amore imperfetto, con luci e ombre, alti e bassi; 5) danzare, ossia la rivendicazione del diritto all’imprevedibilità, all’uscire dall’ordinario e dall’appropriato, a essere diverse versioni di sé stessi.

manuale di autodistruzione

Proseguendo nella lettura Donner riesce a conquistarsi la fiducia e la complicità del lettore, lo avvicina raccontando di sé e delle proprie inadeguatezze, lo coinvolge nel suo espediente argomentativo di adottare uno stile e una forma che disapprova, per sovvertirli dall’interno creando il paradosso di un percorso di miglioramento che anziché incoraggiarti a lavorare su te stesso ti rivela passo passo la vanità dei tuoi sforzi.

Di solito le persone di successo preferiscono mordersi la lingua piuttosto che ammettere che, come chiunque altro, devono la vita che fanno soprattutto alla fortuna, al talento, all’istruzione e alle circostanze socioculturali in cui sono cresciute. Perché il successo non è una scelta, né tantomeno lo è l’insuccesso. Ormai sono in molti a saperlo. Tuttavia questo […] messaggio […] viene rivolto soprattutto a coloro che sembrano non farcela, i perdenti. Sono loro a sentirsi dire e ridire che non dipende tutto da loro e che perciò devono imparare a rinunciare. In realtà è molto più importante che lo ascoltino anche i vincitori. Meglio ancora: che siano loro a predicarlo. Che la smettano con i loro consigli e suggerimenti su come anche noi possiamo diventare come loro […] che riconoscano invece di essere stati fortunati a godere del successo, o della salute mentale. Solo allora il messaggio arriverà davvero.

In ultima analisi: questo Manuale mantiene la promessa del titolo e fornisce le istruzioni per eseguire con efficienza una corretta manovra di implosione?
Deludendo le aspettative dei più ferventi nichilisti, la risposta è no: il titolo è fuorviante; il Manuale di autodistruzione di Marian Donner non è un incoraggiamento alla resa, bensì una spinta alla ribellione, è un’ode alla fallibilità, un infuocato invito al pensiero critico e a mettere in discussione l’ordine delle cose, una lettura scorrevole e liberatoria; non davvero un manuale, né un corposo saggio, bensì, come lo definisce l’autrice stessa, un agile pamphlet, che a dispetto del suo titolo inneggia con irruenza alla vita, ad assaporarla in tutta la sua contraddittorietà, sofferenza e imperfezione.

Photo credits
Copertina: Lee Price
Marian Donner: Pieter-Jan Vanstockstraeten

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