Trabocco, con poco orgoglio, di pregiudizio letterario; un crampo che costringe la mano nella tasca e impedisce di afferrare un libro a causa della copertina o della fascetta.
Una storia d’amore: allora non leggo.
Una storia d’amore tossico: no, non fa per me.
Sarebbe arrivata anche qualche mese fa quella snobbissima credenza che certi testi non sono il mio, se non avessi letto le prime tre righe di Atti di sottomissione (edito da NNeditore, traduzione di Tiziana Lo Porto, ndr).
Precisione, misura, armonia: una scrittura pregevole. Un piacere che mi sarei persa solo per via di una copertina rosa (stupida Giulia!).
Ho così abbandonato ogni mia convinzione sulla noia che le storie d’amore romanzate possono generare (mi perdoneranno i fan di Jane Austen) e sono entrata a spiare la vita di Megan Nolan.
Uso questo termine, spiare, non per fare l’occhiolino a Freud o ammiccare agli appassionati di cinema, ma perché Nolan non scrive per dei lettori, lei scrive per delle persone che abbiano voglia, soprattutto coraggio, di sedersi e guardare il processo di vivisezione del frammento di vita che racconta.
I popcorn durante lo spettacolo apparirebbero talvolta fuori luogo, talvolta insufficienti a saziare la fame ansiosa che generano certi passaggi.
Mi sono appigliata ai singoli dettagli raccontati così nel profondo, che alla fine ho pensato: ehi, ma io non dovrei essere qui!
Mi piacerebbe descrivere la trama come originale o nuova o inedita. Ma sono una donna di trentadue anni, una storia d’amore tossico se non l’ho vissuta, almeno l’ho sentita da un’amica (e guarda caso, io l’ho vissuta).
Così parte il celomanca:
un uomo, giovane tenebroso, pieno di talento e paranoie, dolce a tratti e silenzioso sempre, che ti prende, ti lascia, non sei tu, sono io…
Alzi la mano chi l’ha provato!
Alzi la mano chi ne è uscita!
A voi, con le mani tese in aria, batto il cinque con fragore e consiglio le pagine di Atti di sottomissione.
Quando incontri uno così, le amiche te lo dicono che là fuori c’è di meglio, che sono preoccupate e che sei in pericolo. Quello che nessuno ti dice però è che ciò che c’è di meglio sei tu.
Megan Nolan lo esplicita bene, e forse questo è uno degli aspetti migliori del testo. Nonostante i livelli di subordinazione che la protagonista raggiunge, nonostante la rabbia che certe sue scelte generano (la solita rabbia di chi osserva ma non partecipa, lecita al lettore ma non a chi giudica nella vita reale), nonostante l’abbruttimento e la mancanza di amore, rimane la speranza. Meglio: la forte convinzione che sia giusto sperare.
«Pensavo che l’amore di un uomo mi avrebbe riempito così tanto che non avrei più avuto bisogno di bere, mangiare, tagliarmi o fare di nuovo qualsiasi altra cosa al mio corpo. Pensavo che se ne sarebbe fatto carico al posto mio.»
È così che, a tratti, ci hanno cresciute: convinte che bastasse un uomo per essere felici. E alcune, sebbene istruite, fortunate, intelligenti, ci hanno creduto. Potete incolparci per questo? Se lo fate, se leggendo ve la prendete con Nolan, allora non vi è chiaro il contorno della società che abitiamo.
La storia d’amore di Atti di sottomissione si trasforma così in una storia di lotta. Non la guerra contro i maschi, come sarebbe troppo facile immaginare, ma una guerra contro noi stesse, contro i mattoncini di cemento che compongono la nostra educazione e consolidano le nostre insicurezze.
Ho voluto bene a Megan Nolan perché è come le amiche che mi sono scelta, come spero di essere anche io, una donna che, in un mondo intriso di girl power, non ha paura di mostrarsi debole ma felice, imperfetta ma fiera, a volte anche stupida ma sempre attenta ai processi della sua mente.
È in quell’analizzare e spezzettare il pensiero che la protagonista (quindi il libro) si eleva, come a dire: puoi credere di avere il potere di distruggermi ma finché ragionerò con la mia testa, io sarò invincibile.
(c) immagine di copertina dal sito dell’editore