Ci sono delle poesie che sanno di vita, del vivere dentro l’esistenza fino al collo, tra le righe si percepisce il sapore di una torta, la fatica e la forza di fare volantinaggio contro la guerra, si sentono le parole degli amici che non ci sono più e proprio per questo sono ancora più presenti, e si sente l’eco di altre liriche nel tempo, racconti. È uno degli aspetti che mi affascina maggiormente della scrittura di Grace Paley, questo suo modo di comporre versi, e racconti, con ingredienti quotidiani e vitali che narrano esistenze.
Nota al grande pubblico, dapprincipio americano, per i suoi racconti che l’hanno resa una autrice di culto in tutto il mondo, negli ultimi decenni della sua vita è stata la poesia la sua forma di scrittura.
Una poesia che nasce da una donna principalmente ascoltatrice di storie, una donna che è sempre stata in mezzo alle persone per stare con le persone, per prestare attenzione, per capire qualcosa di più. Una donna che è nata e cresciuta in un luogo nuovo per il suo nucleo familiare e in cui lei, per prima, ha dovuto mediare tra il loro passato e il loro presente e futuro. È figlia di una famiglia ebrea ucraina emigrata a New York a inizio 900 per motivi politici: nasce nel Bronx, dove vivrà per molti anni con parenti che parlano in casa quasi solo russo e circondata da un gran numero di persone che provengono da ogni dove, in un misto di culture, lingue e usanze che la formeranno all’ascolto e alla lotta civile e politica.
Per anni è stata una ragazza e poi una donna alla finestra, tra corridoi e scale, sui gradini, nelle botteghe a vivere guardando alla vita e ascoltandola, col tempo la necessità di lottare per aiutare una umanità stanca e impotente l’ha portata nelle piazze, nelle strade, a combattere contro le ingiustizie, per il femminismo, per la pace: molte delle sue foto rintracciabili online la ritraggono in cortei o che fa volantinaggio. L’FBI l’ha tenuta sotto controllo per 30 anni, nel fascicolo che la riguarda viene definita comunista, pericolosa ed emotivamente instabile.
Nulla la ferma o la stanca, lei ascolta, registra, intravvede nel banale quotidiano lo scatto della poesia, scorge nelle cose di tutti i giorni quel dettaglio che spalanca alla condivisione, sceglie le storie degli altri, insieme alla propria per dire un mondo, il loro e il suo che è anche il nostro mondo, in versi. Per farlo usa un lessico normale, che non vuol dire sciatto o gergale, ma soltanto appartenente alla sfera della consuetudine della gente comune. Con l’avanzare della maturità è proprio il verso che sceglie per dire tutto questo.
E Volevo scrivere una poesia, invece ho fatto una torta, da poco uscito per SUR, è una raccolta poetica scritta proprio negli decenni della sua vita, quei decenni che la vedono ancora su una via con i capelli bianchi e scarmigliati, gonna a tre quarti e scarpe da ginnastica mentre distribuisce volantini contro l’apartheid. È una raccolta che segue i temi e la scrittura dei libri, in prosa e in versi, che lo hanno preceduto.
La storia delle donne, delle altre e la sua, le letture, il rifiuto delle convenzioni, la lucida osservazione del mondo, i piccoli scogli del quotidiano e i grandi inferni del mondo, sono anche in questa raccolta sotto la sua lente di ingrandimento. La lingua è piana ma va a comporre versi sempre acuti e tesi sull’umano, il lessico è quello di chi ama la lingua e in quella vuole rendere pensieri affilati, come nella poesia “Ora”:
Mi sono svegliata da un sogno di verbi
al crepitio degli attributi
che mi circondavanoattributi politici direi
irrequieti
in attesa del passo falsosogno di una vecchia amante delle parole
oppure intervento della
realtà furibonda a causa
di tutto quell’ottimismo
che spesso era ardito utile
nella vita di famiglia
fatale solo ad altrio è perché il momento
s’è levato sulle zampe posteriori
proprio mentre l’aria schiariva ha cambiato
verso s’è preso
tutte le mappe tra i dentici avreste mai creduto che questo
nostro sistema detto capitalistico
dopo essersi rosicchiato tutti quei
paesi poveri e averli sputati
nel cortile dei mercati
mondiali sarebbe poi vissuto
tanto a lungo da consumare la terra
e ogni seme generativo
in sua sacra custodiae adesso? nei diari
dei popoli indigenti ho letto
ripetutamente dai retta alla
settima generazione e
al dormiente cui tutto è svelatonoi non siamo abituati
a seguire i consigli dei sogni
ma penso sarebbe meglio non
essere così freddi o indisponibili
a ricevere informazioni
dalla nostra invernale
oscurità senza dèi
Grace Paley continua negli ultimi decenni della sua vita a guardare al mondo con gli occhi della pacifista, della scrittrice attenta alla voce della vicina come del popolo lontano. Lei più volte si è detta “pigra” perché ha scritto e pubblicato “poco”, ma la sua indefessa attività è stata quella del guardare e ascoltare, la scrittura ci restituisce in questa raccolta tutta la potenza, difatti, del suo punto di osservazione che non si acquieta mai nemmeno di fronte ai sogni. “Ora” esprime tutta la sua indignazione su come il mondo si mostra indifferente alle sofferenze, di come “il momento / s’è levato sulle zampe posteriori” e si è preso tutte le mappe tra i denti. Potrebbe sembrare un Monopoli in versi quando chi ha accumulato già molto con l’imbroglio viene smascherato da un colpo di vento che ribalta il tabellone di gioco, le pedine e smarrisce i dadi: ma è solo la poeta che vede l’inganno e sogna il colpo di vento, gli altri stanno nel loro inguaribile ottimismo. La poeta vede l’inganno perché lei guarda, testimonia, lotta, usa la amata parola per dire e difendere. Usa la amata parola per dire in versi, per testimoniare la storia propria che sta in quella degli altri, del mondo. Intesse, cuce insieme la vita e la letteratura, il quotidiano e i versi, i gradini del proprio bottegaio sotto casa e la guerra, il femminismo con le panchine del parco. Grace Paley fa tutto questo, e fa molto di più col suo sarcasmo e ironia: chiama a raccolta bambini e meno bambini e per loro fa una torta, e probabilmente dato che la torta è buonissima e gliene chiederanno delle altre ne farà altre, perché fare torte buone è un modo di essere nel mondo e ci vuole poco tempo e si conquistano molti avventori. Deciderà infatti di fare una torta e non una poesia, così ci racconta in “La sporadica alternativa della poetessa”, perché con la poesia ci vuole più tempo, e gli avventori negli anni a venire non saranno mai tanti quanti quelli della torta nel momento in cui viene servita. La colgo e la propongo qui, cerchiamo, soprattutto leggendo Grace Paley e molte altre autrici, di non essere quel “cliente giusto” che apprezzerà la poesia dopo “un anno, una generazione”:
LA SPORADICA ALTERNATIVA DELLA POETESSA
Volevo scrivere una poesia invece ho fatto una torta ci ho messo più o meno lo stesso tempo ovvio la torta era una stesura definitiva una poesia avrebbe richiesto un pochino di più giorni e settimane e parecchia carta straccia
la torta aveva già un suo pubblico vociante e capriolante tra camioncini e un’autobotte dei pompieri sul pavimento della cucina
questa torta piacerà a tutti ci saranno dentro mele e mirtilli e albicocche secche molti amici diranno ma perché diavolo ne hai fatta una sola
questo con le poesie non capita
per via di irriferibili tristezza ho deciso stamattina di accontentarmi dei miei voraci avventori non voglio aspettare una settimana un anno una generazione perché si presenti il cliente giusto