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Non c’è un dovere nell’essere donna. Ripartire dal desiderio di Elisa Cuter

E dire che l’avevo giurato nel luogo delle promesse importanti (in bagno, davanti allo specchio): dopo cinque anni di psicanalisi lacaniana non avrei più accettato di sentir parlare di desiderio. 
Ci voleva Elisa Cuter a farmi cambiare idea

Sullo schermo compare una ragazza bionda, la pelle candida e gli occhi azzurri. Indossa un cardigan rosa, un sottile filo di diamanti a ornarle il collo. Tra le mani alcuni fogli; ogni tanto li sbircia, ogni tanto rimangono appoggiati sulla scrivania. Quando inizia a parlare sono la prima cosa che mostra, si scusa, dice che l’argomento è complicato e per questa ragione ha dovuto prendere appunti. 
La ragazza è Chiara Ferragni
Il video, Essere donna nel 2020, è stato visto (per ora) da 7.615.862 persone. Gli aggettivi che maggiormente ricorrono nel suo discorso sono: brutto, assurdo, tantissime. 
Ha appena scoperto il termine victim blaming: le è piaciuto, «Niente male», deve aver pensato, «ho notato che accade spesso nel quotidiano».
Dopo questi undici minuti in cui la celebre imprenditrice racconta come ha preso coscienza del fatto che «Oh mio Dio, essere donna a volte è davvero una merda!», la comunità che sui social è abituata a fruire contenuti riguardo alle questioni di genere si alza in piedi e batte le mani
Io rimango sbalordita: Ferragni in quel video mi è sembrata in imbarazzo, impacciata, visibilmente calata in un ruolo e in un discorso per i quali non possiede né il linguaggio né il sacro fuoco. 
In molti e molte hanno detto: è stato un contributo importante, era suo dovere schierarsi! Doveva farlo in quanto donna, come donna, perché è donna. Se non lo fa lei che è privilegiata (e donna) allora chi? 
Mentre cercavo di capire il motivo per il quale Chiara Ferragni non poteva serenamente continuare ad abbinare outfit, viaggiare, inaugurare brand e collaborazioni interessanti, ma doveva per forza fermarsi e ricordare al mondo quali sono i diritti fondamentali dell’essere umano, ho cominciato a leggere Ripartire dal desiderio, il primo libro di Elisa Cuter, edito da minimum fax.

Ripartire dal desiderio di Elisa Cuter, minimum fax 2020

“In quanto donna” è una frase che risuona nelle teste di tante di noi. Sentirsi in dovere di reagire ad alcune situazioni perché ci riconosciamo nel genere femminile o pensare di essere obbligate a comportarci in un certo modo o, ancora, ad apprezzare un determinato contenuto e disprezzarne degli altri, è qualcosa che ci è capitato spesso di avvertire sulla scia di una morale che si è consolidata negli ultimi anni e che, puntando ad abolire quella stringente del patriarcato, non ha fatto altro che rafforzarne un’altra tanto soffocante quanto la precedente. 
Ma dove finisce la nostra identità? Dove si colloca, in questo quadro di prescrizioni e regole imposte, il nostro desiderio
Sembra messo da parte, questo è il rischio che si intuisce leggendo il libro di Cuter: un allarme, pagine che avvertono dell’imminente flagello e che danno un nome al timore, almeno al mio. 
Ecco – ho pensato, una volta chiuso il libro – ecco cosa non mi convinceva! 
Chiara Ferragni non ci doveva niente, a noi donne. Non doveva nulla a quelle di noi che hanno una casa, un lavoro, un compagno o una compagna, un cane e un reddito che consente di mangiare ogni giorno. Non doveva nulla nemmeno alle maltrattate, picchiate, sfruttate; a quelle che dormono per strada o non dormono proprio. Meglio, Chiara Ferragni – come ciascuna di noi – non deve qualcosa alle altre donne in quanto donna, ma in quanto essere umano. «Non basta essere donne per essere fautrici di una rivoluzione», scrive Cuter
Immaginate la mia gioia nello scoprire tra le pagine di Ripartire dal desiderio che qualcuna aveva addirittura teorizzato, spiegato con esempi che vanno dalla psicologia, alla filosofia e al cinema, una roba che io, infuriata su Instagram, mi limitavo a definire «un’enorme cacata».
Il femminismo, a tratti, è diventato il carro che ospita numerose maschere contemporanee. Chiara Ferragni è salita a bordo con quella della privilegiata, ma Cuter ne individua molte altre, una tra tutte quella della vittima. 
La sua non è una critica – anche se in diversi passaggi mostra le fragilità di alcuni movimenti che si presentano come rivoluzionari – più che altro una luce puntata sulla sfumatura; la gradazione di colore del desiderio che muta a seconda di come viene colpito dal bagliore. 
Il termine “ripartire”, utilizzato nel titolo, non è né un consiglio né tanto meno un tentativo di imposizione, ma una speranza. «Ripartire dal desiderio vuol dire partire senza sapere per dove», scrive Elisa Cuter. E cosa c’è di più emozionante di un viaggio alla scoperta di qualcosa che ancora non si conosce?

Non c’è intento pedagogico in questo libro, non ci sono consigli da “donna che ne ha viste più di te”, non c’è una lista di regole, non ci sono imposizioni di linguaggio ma, soprattutto, non ci sono giusto e sbagliato. 
Nella biblioteca di manuali usciti negli ultimi anni – quelli che ti insegnano come essere una brava ragazza; come esserne una media; come una cattiva; come parlare, mangiare, vestirti, come parlare e rispondere a chi è cattivo, buono, medio – Elisa Cuter scrive della libertà. Una libertà non priva di rispetto per l’altro, al contrario. Una libertà che l’altro lo venera e lo osserva, che fa dell’altro il limite del nostro spazio nel mondo

Ci vuole qualcuno che metta un punto (ho sempre pensato) e Elisa Cuter ha fatto ancora di più; ha aggiunto una virgola. Il suo discorso non chiude – non utilizza parole chiuse mai, lei – ma apre, si sporge verso l’altro e lo ascolta, è forato in ogni angolo e non per assenza di significato; Cuter ha scritto un dialogo, il lettore si infila dove vuole, ha spazio per la riflessione. 

Nota di chiusura:
In questo libro c’è molto di più di quello che ho raccontato nell’articolo che avete appena letto. C’è una disanima del rapporto tra capitalismo e femminismo, un’analisi di come la politica e la televisione italiana abbiano influenzato il nostro modo di essere donna, e tanto altro. Non ne ho scritto perché scegliere i termini per esporre quanto queste riflessioni siano oneste e interessanti non spetta a me, ma a chi le ha generate, alle riflessioni stesse. 
È questo, il femminismo che mi piace: farmi da parte quando un altro essere umano trova le parole che stavo cercando, lasciare a quella persona lo spazio e non occuparlo con commenti che altro non fanno che ripetere, elogiare, ma non aggiungono. 
Ripartire dal desiderio non ha bisogno di code, di spiegazioni, basta a se stesso nelle pagine che lo compongono. 

Immagine di copertina: (c)Frida Kahlo, Mosè o Nucleo Solare, 1945

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