«Gli ictus, come i figli, è meglio averli da giovane».
Se all’età di 34 anni, dal nulla, i medici ti comunicano che hai avuto un’emorragia cerebrale, il pensiero comune è che sì, la notizia è sconvolgente, ma fortunatamente ti è capitato quando eri ancora giovane. Immagina – dicono un po’ tutti – che ripercussioni avrebbe potuto avere un episodio simile durante la vecchiaia! Che si tratti o meno di fortuna, questo è quanto è capitato, nell’autunno del 2021, a Chiara Galeazzi, speaker radiofonica per Radio Dee Jay, confluito, poi, in Poverina, memoir pubblicato nel 2023 da Blackie edizioni. Tutto è cominciato a partire da un formicolio al braccio, mal interpretato come un attacco di panico – cosa plausibile, d’altronde, considerata la precarietà generale della vita. Nel bel mezzo di una sessione di hate watching su YouTube, alle prese con una di quelle attività logoranti e soddisfacenti al tempo stesso che è guardare una persona mediocre che intimamente si detesta venire intervistata, Chiara Galeazzi riconosce che quanto le sta succedendo è un problema, inizia a contattare amici chiedendo aiuto: tra autodiagnosi, dosi di Xanax autoprescritte e la decisione di chiamare il pronto intervento, gli eventi prendono una piega preoccupante quando subentra un nuovo e spaventoso sintomo, la paralisi della parte sinistra del corpo, cui seguirà la diagnosi, emorragia cerebrale, un ictus insomma.
Inizia così il suo calvario: da un lato occorre identificare da un punto di vista clinico cosa sia successo e come intervenire, dall’altro è necessario elaborare da un punto di vista emotivo le ripercussioni nel breve e lungo periodo di tale evento straordinario. Nel raccontarsi, Galeazzi non si risparmia: è carismatica, tagliente e brillante anche nel concedersi al lettore attraverso gli episodi meno lusinghieri, come l’esperienza di fare la cacca sdraiati, o indossare le scarpe Emanuela, calzature che si spera sempre di non dover mai essere costretti a indossare nella propria vita. Ma anche il pianto, che arriva a prescindere da ciò che il medico è venuto a dirti nella stanza d’ospedale in cui sei ricoverata, o le shitstorm online dei no-vax che imputano al vaccino, in tempi di pandemia, la causa dell’ictus, sottolineando che è solo colpa tua se così giovane ti è successo quel che ti è successo.
Poverina non è soltanto la cronaca di quanto accaduto, una testimonianza esilarante di un’esperienza drammatica. È anche e soprattutto una sfida a uno dei grandi flagelli dei giorni nostri. In primis alla retorica di cui è impregnata la narrazione intorno alla malattia: se sei malata, la società inizia a dipingerti come una combattente, una guerriera, dotata di coraggio e forza. Galeazzi ci dice che no, non c’è proprio traccia di coraggio se da un giorno all’altro una paresi ti costringe a letto incapace di svolgere anche le basilari attività quotidiane. La malattia, nell’immaginario comune, inizia a sovrapporsi all’intera persona, che sarà identificata d’ora in avanti con ciò che le è capitato. È qui che iniziano i Poverina, ma che peccato, le pacche affettuose sulle spalle da parte di individui con i quali non si è finora mai avuto a che fare. L’autrice vuol farci sentire fuori luogo in quelli che noi consideriamo gesti magnanimi da parte di chi è in salute e sta elargendo la propria vicinanza alla malcapitata; non solo: ci sta chiaramente dicendo che ogni identificazione persona-malattia è sbagliata sotto ogni punto di vista: lei stessa, freelance di professione, durante la degenza è tenuta a inviare fatture per lavoro, a lavorare anzi, perché il mondo (specie quello dell’editoria) non si ferma a prescindere dal tuo stato di salute.
«”Poverina” o “povera” me lo scrissero varie persone, e odiai la parola dal primo momento: riuscivo a sentire il movimento di tutti quei muscoli facciali che aggrottavano sopracciglia e arricciavano angoli della bocca, e dei neuroni che si affrettavano a sostituire la mia immagine di ex collega, amica di amici, lontana parente, semi-sconosciuta, in quella di persona da commiserare. Le loro opinioni su di me, positive o negative che fossero, si ricoprivano di collosa pietà, che inglobava e, indurendosi, soffocava anche i sentimenti più ostili, lasciandoli intravedere ma rendendoli impotenti, come insetti incastrati nell’ambra.»
Il sarcasmo come unica modalità espressiva contemporanea è l’altra spina nel fianco che Galeazzi a suo modo decostruisce: a una società, che si esprima online o in una conversazione dal vivo, in cui occorre mostrarsi sul pezzo, apparire sempre intelligenti, ironici, iconici, l’autrice risponde, dalla prima all’ultima pagina, con un sense of homour indimenticabile: non glissa mai su argomenti ritenuti tabù, come certi ambienti intellettualoidi con cui abbiamo avuto a che fare almeno una volta nella vita; non si risparmia nel svelare che i vicini di letto, a loro volta pazienti, possono essere degli stronzi al di là del male che li abbia colti; neppure tiene taciuti i sentimenti competitivi che possono subentrare quando si condivide la stanza con una persona che sta attraversando le tue medesime problematiche. Poverina è, in sostanza, lo schiaffo di realtà di cui avevamo bisogno.
In copertina, Chiara Galeazzi (credit Francesco Frank Lotta)