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L’ultimo mago e le ombre di Gustavo Rol

Magia e ambivalenza nel romanzo di Francesca Diotallevi

«Sono quel che sono e non potrei essere null’altro. A volte, però, mi pare di non essere nemmeno un uomo… solo un’ombra.»

In questo strabiliante romanzo di Francesca Diotallevi, pubblicato da Neri Pozza, di ombre ce ne sono eccome: vagano per il tempo e lo spazio della storia, si fanno largo tra l’inchiostro, richiedono attenzione, si insinuano nei dettagli. L’ultimo mago è un romanzo architettonico, dove tutto si incastra in modo quasi magnetico sotto la mano abile dell’autrice – la scrittura è armoniosa, così come lo sono il susseguirsi di storie e personaggi, le loro verità e le loro menzogne.

Magnetica è, soprattutto, la città che vive nel romanzo: Torino. Il capoluogo piemontese sembra abitato dall’occulto e da leggende, mentre l’inverno e il freddo solcano le sue strade e la nebbia invade la notte. Capitale della magia bianca e della magia nera, Torino sembra ospitare un’anima buona e una diabolica, un mondo visibile e uno invisibile, dove le statue sembrano volersi liberare della loro pelle di marmo per vagare tra le vie. È a questa Torino mistica che Antonio, gli occhi e la voce del romanzo, fa ritorno nell’inverno del 1959 dopo molti anni di assenza. Da lì era partito, durante la Seconda Guerra Mondiale, per combattere nell’Africa settentrionale, fino alla cattura per mano degli inglesi e il successivo imbarco per l’India, dove rimase in un campo di prigionia per quattro anni. Al ritorno trovò un mondo profondamente cambiato, dove nulla gli era più familiare, nemmeno gli amici di un tempo. Preso dallo sconforto e da un’irrequietezza esistenziale, Antonio emigra poi a Roma dove finisce per lavorare e scrivere per il cinema. Attratto dal gioco d’azzardo, finisce invischiato in debiti di gioco. Più avanti nel corso della storia, Gustavo Rol afferma che per tutti arriva un momento in cui si aprono gli occhi e si riesce a guardarsi dall’esterno – quando questo accade, Antonio parte per tornare sui suoi passi, alla ricerca di alcune ombre che, in un tempo remoto, sono stati i suoi più cari amici e che ora non riconosce nella ricca coppia sposata che lo accoglie: Giorgio e Miriam. Antonio ci torna suo malgrado, a Torino, perché non sa dov’altro andare. Trova un matrimonio fatto di silenzi e assenze, distanze che si sono allargate dopo anni di passi indietro, finché il legame d’amicizia che univa quei tre moschettieri non ha finito per raffreddarsi, venendo colmato da rimorsi, rabbia, rimpianti. Francesca Diotallevi ha ragione quando afferma, attraverso Gustavo Rol, che l’unica cosa che resiste nel tempo è l’incompiuto. Quella distanza originata dall’amore incompiuto tra Antonio e Miriam crea, tuttavia, lo spazio necessario affinché il nuovo entri nei loro orizzonti. Quel qualcosa di nuovo è Gustavo Rol

La nota dell’autrice in coda al romanzo serve da sostegno a quella che è, per tutta la durata del romanzo e in senso più ampio è stata nella realtà, l’ambivalenza della percezione del personaggio di Gustavo Rol. Adulato da alcuni, screditato da altri, la figura di Gustavo Rol è sempre stata – ed è tutt’ora – una figura ambigua. Sensitivo? Medium? Mago? Illusionista? Tutte definizioni rifiutate da Rol. Persona in comunione con le diverse dimensioni del mondo? Uomo capace di catturare l’energia del passato, presente e futuro? Essere umano capace di vedere le infinite possibilità? Sicuramente definizioni più accettabili per Rol, che non si è mai visto come al di sopra degli altri – quanto, piuttosto, capace di cose «alla portata di ogni altro essere umano, ma ci vuol fede, perseveranza, abnegazione». Gustavo Rol entra nella vita di Antonio attraverso Miriam, frequentatrice abituale dell’abitazione di Gustavo in via Silvio Pellico 31. Lì si svolgono quelli che lui chiama esperimenti con l’uso di mazzi di carte e fogli, intercettando spiriti intelligenti – energia rimasta nell’universo anche dopo la morte del corpo fisico – e interagendo con essi. Antonio è, quasi seguendo la legge del contrappasso, pervaso da una solida razionalità, non credendo a nulla che non si possa provare. Prende la decisione di volerne svelare i trucchi – impresa ardua, poiché Gustavo Rol ha sempre rifiutato qualsiasi sperimentazione scientifica – prestando attenzione e analizzando i dettagli durante gli incontri, invano. Forse, si dirà Antonio decenni più tardi, avrebbe solamente dovuto lasciarsi trasportare dalla magia e credere che esista qualcosa oltre la realtà oggettiva. 

Di pura magia non si dovrebbe parlare, avrebbe detto Gustavo, ma di una «profonda intuizione delle cose del mondo» che porta ad «intravedere l’esistenza d’altro». Ha ragione Francesca Diotallevi: enigmatico fino alla fine. Il legame di Gustavo con il mondo si è fatto più profondo durante il suo soggiorno, quand’aveva vent’anni, in Francia. Fu a Marsiglia che incontrò un polacco capace di fermare il tempo, anzi, di dividerlo in due: farlo andare avanti per alcuni, indietro per altri. Gustavo ne rimane folgorato. Successivamente scoprì, a Parigi, una «legge tremenda»: la vibrazione del colore verde, al centro dello spettro cromatico su cui si focalizza vedendo un arcobaleno, era la stessa della quinta nota musicale, anch’essa al centro, alle quali corrispondeva un determinato grado di calore. Sintonizzandosi su queste vibrazioni, Rol riusciva ad entrare in comunione con l’universo più sensibile. Illustri personaggi di rilievo della storia e cultura italiana recenti come Federico Fellini – che appare nel romanzo – gli credettero sempre senza battere ciglio, avendo assistito agli esperimenti ed essendosi lasciati trasportare dal magnetismo della figura di Gustavo. Altri, come Piero Angela – scrive Diotallevi – furono dubbiosi sull’autenticità della sua persona. Gustavo chiacchera più volte con Antonio, cogliendo i suoi dubbi e il suo bisogno di razionalità, e tenta di raccontarsi – cercando di marcare non tanto la parte di uomo capace di stregare gli altri, quanto il lato più umano. Così apprende dell’insoddisfazione di Rol verso il lavoro in banca per accontentare il padre banchiere, il risveglio spirituale in Francia, il suo passato durante la Seconda Guerra Mondiale a Torino, il matrimonio con Elna – e, soprattutto, la solitudine del personaggio che, secondo Antonio, lui stesso si era cucito addosso. Antonio è ancora animato dalla razionalità, lo sarà per tutta la vita, non comprendendo appieno – come la maggior parte delle persone che passano per l’appartamento di via Pellico – il bisogno di Gustavo di essere visto al di là delle sue abilità, dentro nel profondo di un cuore e di un animo umano che cerca il sostegno dell’altro per sentire la solitudine a una giusta distanza.

Immagine di copertina di «L’indiscreto»
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