«In tutte le generazioni, nella nostra famiglia, ogni primogenito di ogni linea di sangue doveva morire.»
È questa la maledizione scritta nella storia familiare del giovane Matteo Trevisani, il protagonista del romanzo Libro del sangue (Atlantide), che nel 2012 si ritrova ad apprendere il destino infausto che lo accomunerebbe agli altri componenti della sua stirpe in una storia di naufragi e marinai, di generazioni che si intersecano per arrivare al qui e ora.
Dalla scoperta di questa spada di Damocle che pende sulla sua testa, il giovane Trevisani decide di fare ordine nella storia secolare che lo ha preceduto e di ricostruire il proprio albero genealogico per trovare conferma o smentita di ciò che lo attende. In questo lo aiuterà Alvise, un eccentrico genealogista milanese che gli viene presentato da un amico e che si rivelerà essere la chiave – una delle chiavi – di lettura dell’intera storia.
A questo primo piano temporale si sovrappone quello di un Trevisani più adulto, ormai sposato e con un figlio, che è costretto a fare i conti con una nuova e più decisiva rivelazione sulla linea di sangue cui appartiene: una mail anonima contenente un file con il suo albero genealogico completo, inclusa, quindi, anche la data della sua morte, fissata per il 21 settembre 2021.
L’inaspettato arrivo per posta elettronica del proprio testamento rimette in gioco le convinzioni che otto anni prima aveva dovuto, per necessità di sopravvivenza, mettere via, nella speranza di tirarsi fuori da una situazione che rischiava di prendere il sopravvento sulla sua stessa vita.
L’escamotage narrativo del file sul computer diventa qui pretesto per ridisegnare la storia di Matteo e, allargando la prospettiva, la storia di tutti gli uomini e di tutte le donne che hanno vissuto, anche se per un brevissimo periodo, sulla terra.
In una dissertazione che viaggia tra filosofia e sociologia, tra mitologia e araldica, il Trevisani scrittore rinnova il significato ultimo sul ruolo dell’essere umano e sulle implicazioni delle sue scelte, abbattendo i luoghi comuni più duri a morire che lo vedono più importante e determinante di quanto non sia scritto nelle leggi dell’universo: «Ogni tanto fantastico sul fatto che la mia vita sarebbe stata del tutto diversa, anche se so che non è possibile, e che ogni scelta che guida le nostre azioni è causata da qualcosa di molto più grande del semplice libero arbitrio».
Affinché Matteo comprenda da dove viene e, soprattutto, verso quale fine si sta dirigendo suo malgrado, dovrà passare in rassegna scheletri e segreti, geografie emotive e territoriali che lo condurranno dalle coste marchigiane a quelle africane, accompagnato prima da Alvise, poi da sua figlia Giorgia.
Non lo attende nessun viaggio dell’eroe; piuttosto, una navigazione incerta, lenta, tra le anime dei morti, come un moderno Dante traghettato da Caronte, mentre guarda in faccia i propri mostri che assumono le fattezze ora di balene spaventose, ora di serpenti a due teste. Il Libro del sangue diventa allora la parabola della rinascita, «che va avanti dal primo giorno del mondo» e che si ripeterà sempre, uguale e diversa da se stessa, con ogni individuo.
«La storia dell’umanità è una sola, e tutti, alla fine dei conti, proveniamo dalla stessa madre, l’Eva mitocondriale, o chi per lei, i cui geni sono presenti in tutti gli esseri umani del pianeta. […] Posso ammettere che questo determinismo sia semplicistico, e che sia questa semplicità a rendermelo magico, eppure l’evidenza è una sola. È esistita una donna, poco più che bipede, la cui vita è la causa della mia, e questo a ripetizione, per centinaia di migliaia di anni.»
Matteo Trevisani restituisce, con questo romanzo, lustro al concetto di testimonianza, rinnovandone anzi le coordinate letterarie grazie a una storia inedita dalle sfumature torbide e il sapore universale.