Quando sono stata in archivio alla Fondazione Alberto e Arnoldo Mondadori per consultare le carte di Alba de Céspedes e la sua corrispondenza con l’editore, mi è stato detto dagli archivisti che il fondo dedicato alla Contessa è in assoluto uno dei più consultati. E questo è importante, perché ciò significa che, pur essendo l’autrice a oggi ancora per lo più fuori catalogo, fortunatamente non è stata dimenticata. L’oblio non fa parte del suo destino – oblio che invece caratterizza l’opera di molte altre autrici nate prima e dopo di lei. Il che porta spontaneamente a un’altra, ancora più importante, riflessione: esiste un margine di non corrispondenza più o meno grande tra l’editoria e quelli che sono i reali bisogni, i gusti, gli interessi, le esigenze letterarie dei lettori. Sta all’industria del libro cogliere questo dislivello e farne qualcosa.
Cliquot, come sapientemente è già accaduto in passato, ha saputo farlo: quella del 2022 è la prima riedizione di L’anima degli altri dopo quella del 1935 per Maglione, che ha rappresentato di fatto l’esordio di una delle più importanti autrici del Novecento italiano e di una delle più redditizie firme di casa Mondadori ai tempi. Per cui, basterebbero anche solo i motivi di studio, tanto di storia della letteratura quanto di storia dell’editoria, per affermare che questo titolo merita un’edizione in commercio.
È certamente scorretto e riduttivo leggere la produzione di racconti alla stregua di un laboratorio d’autore: la forma breve non è esercizio o bastone d’accompagnamento per la forma lunga, per quanto l’egemonia del romanzo voglia invece far credere esattamente questo. È però forse utile segnalare che Alba de Céspedes non è la sola autrice ad aver esordito proprio in questi anni attraverso la narrativa breve – tra tutte, sei anni dopo L’anima degli altri apparirà la prima raccolta di un’altra grandissima del Novecento, Elsa Morante, con il suo Il gioco segreto, ma stesso iter si può ravvedere anche nel percorso di Anna Maria Ortese, Paola Masino e altre.
I racconti sono diciotto: diciotto ritratti di giovani, giovanissimi, ma anche di vecchi; di donne, di uomini. Ritratti delle situazioni più diverse: tra le altre, un convegno di rottura tra amanti, ma anche un nuovo incontro tra vecchi amanti, dei tradimenti scoperti o sospettati, un’illusione familiare perduta, un paio di meschinità da parte di scrittori senza scrupoli. Iniziano tutti, o quasi, in medias res: catapultano il lettore nella storia, spesso attraverso la descrizione di un luogo o di una scena, e solo nel corso delle righe successive verrà spiegato il senso di ciò in cui ci si è ritrovati immersi.
Al centro di ognuna di queste situazioni c’è un personaggio, uno degli altri (alterità – ma rispetto a chi?). E tutti i rimanenti, i personaggi che lo circondano, tendenzialmente non contano se non in maniera funzionale a narrare la vicenda: piatti, unidirezionali, mere ombre, talvolta alleati del protagonista, talaltra meschini. E a dirla tutta, sono i racconti dove viene messa in luce la meschinità dell’animo umano, che sia del personaggio principale o di chi lo accompagna, a essere forse i più riusciti e i più forti dal punto di vista emozionale e del coinvolgimento del lettore.
Alcuni racconti sono in prima persona, altri – la maggior parte – sono in terza, ma con largo uso del discorso indiretto libero: la presenza del narratore non costituisce dunque in alcun modo un ostacolo per l’espressione del vero io dei personaggi, che sembra essere il vero obiettivo dell’autrice. I pensieri fluiscono direttamente attraverso le loro parole, presentati senza fronzoli nella loro essenza.
Attraverso l’indiretto libero, Alba de Céspedes è quindi in grado di penetrare a fondo nella psicologia del suo personaggio. Uno sguardo impietoso lo mette a nudo e non gli lascia via di scampo: anche le fragilità, anche i motivi di vergogna, forse soprattutto quelli, sono mostrati senza remore. L’imbarazzo di essere deriso dalla persona amata, il profondo senso di smarrimento quando si scopre un tradimento, lo sgomento nel perdere qualcuno e scoprire solo allora che non si aveva accanto chi si credeva: tutti messi in fila, nei vari racconti, pronti nella loro lingua essenziale e nella loro brevità di poche pagine a colpire nel segno.
Certo, ci sono anche racconti che narrano di momenti di epifania dagli esiti non catastrofici, che permettono ad alcuni dei personaggi di dare una svolta di segno positivo e salvare una situazione appena prima che sia troppo tardi, con un tempismo impeccabile, che fanno tirare un sospiro di sollievo a chi legge. Ma sono rari: il che aiuta a smentire clamorosamente, con la sola evidenza dei fatti, la solita affermazione che vorrebbe la scrittura femminile superficiale e sempre a lieto fine.
«Era inquieto e deluso perché, certo senza capirlo, ella aveva con la Luciana di oggi distrutto inesorabilmente l’incanto di quella di allora.»
Con semplice – dove l’attribuzione di semplicità non vuole sminuire ma, anzi, vuole indicare il lavoro estremamente curato – rappresentazione della realtà, stilisticamente limando via tutto ciò che è inessenziale, Alba de Céspedes è in grado di rapire semplicemente mettendo in scena situazioni sì, fuori dall’ordinario, ma nella loro comune umanità, come si potrebbero ravvisare in centinaia di altre vite. E in questa opera prima si è in grado di vedere in nuce ciò che l’autrice è incredibilmente abile a fare, e che farà sempre, nelle diverse forme narrative che sceglierà e con le dovute differenze: sviscerare le percezioni dell’animo, farle a quattro per analizzarle nella maniera più profonda possibile.
Si diceva, allora, dell’alterità: gli altri di cui viene presentata l’anima sono coloro che, di volta in volta, vedono messo in scena il proprio ego, rendendo tutti gli altri e tutto il resto semplice sfondo, facendo così comprendere come chiunque, qualsiasi sia la sua età, il suo genere, il suo mestiere, la sua condizione, viva un’esistenza tragica nel senso di profonda, tridimensionale, e che un’abile penna è in grado di scriverne in maniera scarna ed essenziale rendendo quanto di complesso e potente c’è in ogni vita, o meglio, in ogni anima.
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Immagine di copertina: Fondazione Alberto e Arnoldo Mondadori