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Le cours éternel des choses. Il durante eterno delle cose dai luoghi fisici alle terre della percezione



«Abbiamo sentito e abbiamo visto, / ma ancora, / non abbiamo ascoltato»: con queste parole Davide Sapienza si rivolge a Tasunke Witco, nome in lingua Lakota del nativo americano comunemente conosciuto col nome di Cavallo Pazzo. La dedica all’inizio della raccolta Le cours éternel des choses. Il durante eterno delle cose (Michikusa Publishing Luxembourg, 2024) testimonia il profondo rapporto che lega l’autore alla realtà dei nativi americani. Sapienza infatti ha condiviso parte del suo percorso esistenziale e culturale con Lance Henson, poeta e attivista Cheyenne, del quale ha tradotto e curato l’edizione italiana dell’opera Between the Dark and the Light (Tra il buio e la luce, Selene Edizioni, 1993). Il volume è stato tradotto in francese da Karine Albanti, grazie al cui lavoro i messaggi contenuti nei testi originali sono rimasti intatti. Attraverso la lettura della raccolta risulta evidente il modo in cui i testi in francese siano nati da un intenso scambio dialogico non solo tra la lingua di partenza e la lingua di arrivo, ma tra la forma e il contenuto del testo originale e della traduzione. Al di là di qualsiasi questione tecnica, il lavoro di traduzione de Le cours éternel des choses. Il durante eterno delle cose si può definire come un’esperienza esistenziale, ovvero come quello che George Steiner definì «rivivere l’atto creativo che ha informato l’originale».

Nel corso degli anni, Sapienza si è allontanato fisicamente dal mondo in continua e fin troppo rapida progressione e ha messo in atto delle “ricerche sul campo” vivendo a contatto con le popolazioni indigene nelle terre artiche; regioni remote, abitate da popoli come Inuit, Yupik, Jakuti, Nenets, Aleuti, Sami, Komia, custodi di una cultura ancestrale a cui è estranea quella visione unidimensionale che vuole tutte le cose a immagine e misura d’uomo. Quella visione non antropocentrica dell’universo (dal greco άνθρωπος «uomo, essere umano» e κέντρον «centro») che invece ha da sempre caratterizzato le civiltà come la nostra. Quando penso al modo di vivere di questi popoli non riesco a fare a meno di considerare che, nonostante viviamo in un mondo globalizzato, spesso tendiamo a prendere le distanze dalle culture da noi poco conosciute, quelle culture “altre” per definizione. Tuttavia non sarebbe del tutto errato, dal mio punto di vista, ispirarsi al loro modo di concepire la nostra presenza su questo pianeta per rivedere i principi dell’ecologia e dell’economia del mondo contemporaneo.

Le cours éternel

In che modo queste ultime si inseriscono in un discorso riguardante la poesia? Etimologicamente derivano entrambe dal termine οἶκος, “casa”, o anche “ambiente”, e fanno riferimento al territorio che l’umanità abita e a cui ha, con il suo ostinato intervento, apportato cambiamenti il più delle volte negativi. Davide Sapienza ha visto tutto ciò con i suoi occhi durante i suoi innumerevoli viaggi tra i ghiacci, nei territori canadesi dello Yukon e del Nunavut e nella contea norvegese del Nordland, dove a contatto con la popolazione locale ha avuto modo di vivere appieno quella natura selvaggia che può sembrare ostile, soprattutto a chi non la conosce. Basti pensare al whiteout, fenomeno durante il quale si sperimenta la completa perdita della visibilità e dell’orientamento a causa delle condizioni atmosferiche estreme. Trovarsi in questo genere di situazione fa avvertire un senso di dépaysement, termine che in francese ha due definizioni; la prima indica lo stato di una “persona disorientata”, e la seconda riguarda “il cambiamento di un’abitudine”.

A mio avviso, la lettura de Le cours éternel des choses. Il durante eterno delle cose suggerisce proprio questo, un mutamento dell’abituale disposizione d’animo verso orizzonti nuovi, altri. Ciò può avvenire attraverso l’incontro con gli elementi naturali che, come noi, sono parte del mondo che ci circonda: ghiaccio, buio, fuoco, luce, vento, acqua sono i soggetti delle pagine del libro insieme con l’essere umano e le sue emozioni. Al centro della raccolta ci sono principalmente il rapporto dell’individuo con la natura, il continuo scambio tra la vita interiore e il mondo esterno, il fluire del tempo e l’immediatezza delle sensazioni. Le poesie si presentano come una serie di istantanee scattate durante un viaggio tra mari, vette e boschi, luoghi tanto cari al poeta. O per meglio dire, al geopoeta. Ancora una volta l’etimologia aiuta a spiegare, seppure in maniera non completamente esaustiva, il significato di questa parola: “geopoeta” è colui il quale dà voce a tutte le sensazioni suscitate in lui dal contatto con la terra (γῆ in greco antico) intesa come cammino, territorio, luogo, casa, ambiente, mondo in cui ri-conoscere la propria identità e scavare nella propria memoria. Lontano dal dedalo di nonluoghi in cui ci imbattiamo quotidianamente, Sapienza ci mostra un luogo fatto di essenzialità e concretezza. Frutto dei cammini geopoetici intrapresi dall’autore, questi scritti, che rimandano ai poeti imagisti dell’inizio del Novecento, traducono le immagini in parole. Parole esatte, mai decorative e sempre lontane dall’artificiosità tipica del modo di vivere attuale in cui ci illudiamo di essere sempre aggiornati e connessi, ma che al contrario non fa altro se non alimentare quella miopia intellettuale che allontana dalla vera conoscenza. Di sé stessi, degli altri, del mondo.

Le cours éternel

«Ora lo so, /sono stato fatto / […] per respirare, ascoltare / non urlare» recita uno dei componimenti. Questa frase ha per me un significato profondo; mi fa immaginare di immergermi nella natura, respirare senza disturbare ciò che è intorno e ascoltare. Sì, ma che cosa? La voce del vento che mi sussurra all’orecchio la strada da seguire mentre mi guida durante la mia ricerca di senso, oltre i confini a me noti. La stessa voce che mi invita a disfarmi delle carte geografiche e a muovermi secondo le direzioni indicate dai punti cardinali della mia anima per «continuare/ altrove».

Per questo Le cours éternel des choses. Il durante eterno delle cose è un’opera che non va semplicemente letta, ma esperita. Davide Sapienza trasforma la pagina in un paesaggio immersivo dove, una volta entrati, possiamo sostare senza limiti di tempo e lasciarci guidare dalle nostre coordinate emozionali, senza mai essere travolti dalla nostalgia. Il dolore (άλγος) del ritorno (νόστος) non trova spazio tra i versi delle poesie perché conducono in un «presente eterno».
In conclusione, leggere questa raccolta di poesie significa addentrarsi, verso dopo verso, in una narrazione che conduce alla scoperta di mondi sempre nuovi. Se seguiamo le tracce che troviamo sul sentiero delineato da Davide Sapienza, riusciamo a compiere un viaggio che parte dal nostro immaginario per giungere fino ai territori della percezione più autentica delle cose.




In copertina:
Davide Sapienza fotografato da Marco Mensa

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