Quello che mi colpisce ogni volta della scrittura di Ilaria Gaspari, e che mi sembra la sua assoluta originalità nel panorama italiano, è la capacità di bilanciare il rapporto tra storia della filosofia e auto-narrazione.
Crea un vago senso di spaesamento non sapere dove collocare i suoi libri, perché Gaspari illumina una strada poco praticata sia da chi scrive narrativa, sia da chi scrive filosofia. Anche in Vita segreta delle emozioni, infatti, ci troviamo di fronte a qualcosa che è sia saggistico sia narrativo, denso di citazioni e rimandi storici e bibliografici, ma anche di riferimenti personali; prende vita così un discorso che ha un tono intimo e quasi sussurrato e che si pone in un tempo lento, tanto distante da quel ritmo veloce che scandisce le giornate della nostra società ossessionata dalla performance.
È per questo modo di raccontare che Gaspari si distingue, perché con piglio leggero sfida i canoni della scrittura filosofica: ci si è convinti nel corso del tempo, infatti, che scrivere di filosofia significasse essere asciutti, scarni, irriconoscibili e che le storie personali fossero un ostacolo a una indagine e una ricerca degne di questo nome.
Si tratta di un’ossessione per l’igiene della scrittura che può far bene, forse, quando si parla di temi che richiedono di restituire in modo distaccato l’ampiezza di un fenomeno e che si esauriscono nella pratica di catalogare e compilare, sebbene anche in questi casi potremmo nutrire qualche dubbio sulla pretesa oggettività di chi osserva e scrive. È indubbio, però, che quando si parla di emozioni questa pretesa igiene diventi sterilità nel momento in cui tiene da parte ciò che di più fondamentale abbiamo, e che invece dovrebbe intridere ogni discorso: l’esperienza umana.
Nell’ultimo secolo si è cristallizzata una certa idea di scrittura che non farebbe mai passare per una peer review la maggior parte dei filosofi che studiamo, quelli che in genere accendono l’amore per la filosofia e a cui torniamo più spesso. Non solo Platone e i suoi miti, ma anche i più prossimi Nietzsche e Cioran rimarrebbero nell’alveo del pensiero privato, che non avrebbe niente a che fare con la vera filosofia. Questa rischia di essere, però, una rinuncia preventiva a un vasto territorio di scoperta sia per chi scrive filosofia, sia per chi la legge.
In Vita segreta delle emozioni Gaspari parla dell’oceano dei vissuti emotivi, e mentre in Lezioni di felicità giocava ad adottare i dogmi delle antiche scuole filosofiche per elaborare la fine di una relazione, qui non ci racconta una storia sola, ma una serie di frammenti della propria vita, di piccoli episodi, di difficoltà, di irrisolti, di aspetti oscuri del proprio carattere complesso.
Anche in questo libro, infatti, Gaspari si descrive come una creatura con delle incapacità congenite e immutabili, per esempio il fatto di essere «amusica», cioè di non saper distinguere una melodia dall’altra, o di non sapersi arrabbiare, o di essere presa dall’ansia alla sola idea di dover guidare l’automobile. Eppure, o forse proprio per questo, con una scure leggerissima riesce a dire di sé delle cose che la maggior parte di noi forse non avrebbe l’ardore di dire.
Gaspari ci racconta che fu Baruch Spinoza nel Seicento a introdurre un termine nuovo per indicare ciò che l’essere umano sentiva: non più «passione», che indicava un processo in cui non si poteva che essere passivi, ma «affetto» (affectus), attraverso cui il filosofo olandese proponeva l’idea che ciò che sentiamo ha a che fare con noi, coinvolge corpo e mente, ci permette di costruirci una conoscenza del mondo.
Dobbiamo l’uso contemporaneo della parola «emozione», però, a Thomas Brown, filosofo, medico e poeta scozzese morto all’inizio dell’Ottocento, che inaugurò la parola (emotion) calcandola dall’inglese (émotion) iniziando a darle un significato meno vago di quanto avesse avuto fino ad allora. Ma fu solo qualche decennio più tardi che la parola iniziò ad avere una maggiore diffusione e venne riempita di significato: emozione è una reazione complessa a qualcosa che ci tocca sia a livello fisiologico, sia a livello esperienziale.
Il libro non parla, in realtà, delle emozioni a cui penseremmo di primo acchito, e anche qui restituisce una prospettiva divergente rispetto a ciò che lettrice o lettore si aspettano: protagonisti sono la nostalgia, il rimpianto e il rimorso, l’ansia, la compassione, l’antipatia, l’ira, l’invidia, la gelosia, la meraviglia, la felicità e la gratitudine.
In questi itinerari, non è raro sentirsi messi di fronte a ciò che ci dà più fastidio e che non vogliamo osservare. E se a essere antipatici fossimo proprio noi?
«L’antipatia, questa emozione inevitabile, ha poi anche un’altra faccia, segreta, nascosta: quella che noi ispiriamo, quella che fa di noi gli antipatici. Accettarlo è difficile quasi quanto ascoltare la propria voce registrata; e, a ben pensarci, è un po’ la stessa cosa. La nostra voce, l’unica che ci arrivi dall’interno, la sola di cui siamo noi la sorgente, quando la sentiamo registrata diventa un oggetto esteriore, identico a mille altri».
Attraverso le idee di Adorno, Epicuro, Platone, Schopenhauer e ovviamente Spinoza, Gaspari ci fa sentire partecipi di quella tradizione di auto-narrazione che ha visto protagonista Michel De Montaigne e in un certo senso ci avvicina alla prospettiva della ragione poetica di Maria Zambrano, con uno sguardo che non esclude niente dal proprio orizzonte: né le scoperte scientifiche, né la psicologia, né il vissuto del tutto soggettivo e personale, dunque parziale.
«Una delle cose che ricordo con più stordimento di quando ero bambina è la paura che avevo dell’invidia. Mi terrorizzava il mito di Andromeda: che finì incatenata a una roccia, esposta mezza nuda (l’avevo vista in una riproduzione del quadro di Rembrandt che la ritrae) agli spruzzi delle onde, alle fauci terrificanti di un drago marino, solo perché sua madre Cassiopea era stata tanto incauta da vantarsi della propria bellezza, paragonandosi alle Nereidi e anzi sostenendo di essere più avvenente lei delle figlie. A pagare fu la figlia».
Se lo stile dice molto della persona, i libri di Ilaria Gaspari fanno venire voglia di prendere un quaderno e iniziare a prendere appunti, di creare uno spazio dilatato di vita contemplativa e andare a ripescare nella memoria passata.
Quanto mi riguarda il discorso sulla gelosia? Qual è stato il primo momento in cui ho provato ansia? Di cosa ho più rimorso? Quando riesco a provare gratitudine?
L’intento di Gaspari non è quello di costruire una teoria delle emozioni, ma credo che in fondo esprima il tentativo di condurre una vita filosofica, e quindi di trasmettere l’idea a lettrici e lettori che – per quanto impegnativo e complicato – un percorso di fioritura sia infine possibile.
Photo credits
Copertina: Laura Adai tramite Unsplash. Difensore, scultura di Franco Nodo, dettaglio.
Ritratto di Ilaria Gaspari – Rinascita Libreria Empoli tramite Flickr. Presentazione di Etica dell’acquario, 19 febbraio 2016