Una giovane scout sgattaiola fuori dal campo e si addentra sola nella palude. Ne riemerge scorticata, madida di fango, e mentre con delicatezza si stacca una sanguisuga dal labbro della vagina non potrebbe essere più felice; moltissimi anni dopo, con tutta la vita alle spalle, rievoca così quell’esperienza di estasi pànica e comunione con la natura:
In un lampo vidi il mondo come avrebbe potuto essere un giorno. Un mondo insieme donna e uomo, gioco e amore, un’esplosione di tenerezza e piacere, dove tutti erano buoni gli uni con gli altri e si univano all’umanità così com’erano, un mondo senza bene né male, dove non c’erano parole, solo sensazioni.
Lo scenario è la Lapponia, tra le due guerre; il campo è quello delle Piccole Lotta, un corpo scout femminile nazionalista finlandese attivo dal 1921 al 1944; e in questa scena è racchiuso tutto lo spirito della protagonista e voce narrante di La moglie del Colonnello di Rosa Liksom (in originale: Evertsinna, Lika, 2017), che Iperborea ci ha proposto a giugno nella traduzione dall’originale finlandese di Delfina Sessa. Il romanzo racconta una vita che è stata tutta come quel tuffo sconsiderato in acque insidiose.
Per il suo personaggio Liksom s’ispira alla figura reale della scrittrice lappone Anniki Kariniemi (1913-1984) che sposò l’ufficiale dell’esercito finlandese Oiva Willamo (1887-1967), filonazista e grande sostenitore dell’alleanza bellica con la Germania di Hitler. Per il lettore interessato ad approfondire le vicende storiche della Finlandia dall’indipendenza dalla Russia nel 1917 fino agli anni Ottanta e in particolare il ruolo del Paese nella Seconda guerra mondiale, Iperborea, con la cura redazionale che da sempre contraddistingue la casa editrice, correda il romanzo di una nota storica di Ingrid Basso. Un’appendice molto opportuna perché il contesto storico in cui Liksom inserisce la sua narrazione scorre confuso sullo sfondo delle vicende personali della protagonista, in un vortice di nomi famigerati, e le apparizioni fugaci di Himmler e Hitler sono come comparsate comiche e grottesche, narrate con il tono della cronaca mondana: Himmler fa la sauna con indosso dei buffi mutandoni lunghi, e il Führer di persona non è tanto alto e ha la pancia.
Con una focalizzazione interna rigorosissima ogni cosa è vista con gli occhi di questa prima persona, la «moglie del Colonnello», di cui all’interno del romanzo non si menziona mai il nome, così come non è mai chiamato per nome il Colonnello stesso. Liksom affida la narrazione al suo personaggio e l’andamento ne riflette il carattere: l’autrice si cala nella psiche della sua creatura, di questa protagonista legata alla natura da un rapporto viscerale, ardente di entusiasmo e sprigionante energia, ma spossessata di sé stessa e mantenuta a uno stadio di immaturità fanciullesca dal rapporto totalizzante con il Colonnello, un uomo violentissimo e umorale, ventisei anni più vecchio di lei e che l’ha plagiata fin dall’infanzia.
In Lolita Nabokov racconta una storia di abuso dal punto di vista del carnefice, che però non si presenta affatto come tale, bensì come un uomo appassionatamente innamorato; Liksom fa un’operazione analoga ma assumendo il punto di vista della vittima, che risulta altrettanto disturbante, perché parimenti non si percepisce in questo ruolo, bensì come parte di un’intensa storia d’amore. Dando voce a questa figura Liksom riesce a rendere tutta la complessità, le sfaccettature e le contraddizioni del rapporto tra vittima e carnefice senza appiattire i personaggi su questi ruoli assegnati, scevra di giudizio, vittimismo, autocommiserazione o patetismo – anche perché per la sensibilità del lettore contemporaneo è improbabile riuscire a vedere una vittima innocente in un personaggio che dichiara il suo fervore nazista in termini espliciti: «Mio padre fece di me una figlia della Finlandia bianca. Il Colonnello fece di me una nazista. Non mi vergogno di nessuna delle due cose» o ancora, in visita a un campo di prigionia tedesco nella Polonia occupata: «all’inizio molte cose mi inorridivano, come i cadaveri degli impiccati che penzolavano dagli alberi, ma dopo una settimana ci avevo già fatto l’abitudine».
Il romanzo è intriso di violenza, sia legata alla guerra sia domestica, ma la scrittura non vi indugia mai: gli episodi più brutali sono riferiti in modo puntuale e sintetico, distaccato, quasi compilativo, con il tono del resoconto.
Il susseguirsi dei fatti è sfocato, la protagonista non ricorda la guerra, ma il suo sentimento della guerra, che ha vissuto in parte come la cornice di quello che credeva il suo idillio amoroso e in parte come l’infrangersi dei sogni di gloria del suo Paese. Ciò che invece è perfettamente a fuoco è la descrizione del paesaggio e della natura, la scrittura riflette l’emotività della voce narrante e nelle parti dedicate all’immersione nelle foreste e nelle paludi della Lapponia il tono s’innalza, la lingua si arricchisce, si toccano punte di lirismo, come piccole isole luminose in un mare di oscurità.
Dalla prospettiva elementare e manichea della giovane amante e poi moglie del Colonnello, la Finlandia è dipinta come una terra selvatica e ingenua di splendide bellezze naturali, stuprata e ingannata dalla Germania che ha promesso gloria e millantato amicizia per poi sfruttarne le risorse e asservirla.
I germani si riempivano la bocca con l’incanto delle incontaminate lande nordiche ma temevano i boschi, le grandi foreste, la neve, la bruma, la nebbia, il silenzio, il cielo plumbeo, le terre piane, i campi e le paludi, i laghi d’acqua dolce e gli stagni, le mosche, i coleotteri, le zanzare, gli orsi, le renne e i simulidi.
Al trauma collettivo di una nazione corrisponde il trauma individuale della protagonista: come la Finlandia è stata devastata dalla guerra e vittima della Germania che credeva amica e alleata, così, picchiata con ferocia e vessata dall’uomo che idolatrava, è il corpo del personaggio il paese più straziato.
La vita della protagonista si divide in due parti e così il romanzo. Liksom nella seconda parte fa raccontare alla moglie del Colonnello il percorso di riappropriazione di sé stessa che è seguìto alla fine del matrimonio, e così facendo approfondisce la narrazione del trauma che è il fulcro del libro, e continua a chiamarla la «moglie del Colonnello» anche quando smette di esserlo, perché quel ruolo ha segnato la sua vita così profondamente che continua a fare parte della sua identità e a influenzare il suo modo di essere anche quando se ne affranca e libera, attraverso la scrittura e, in una perfetta circolarità, nella comunione con la Natura, con il ritorno al suo locus amoenus, la palude.
Tra insidiosi acquitrini di un verde acceso, diventai piano piano me stessa. […] mi trasformai in un maschio alfa d’alce che era l’incarnazione di una forza muliebre che non avevo mai immaginato di poter avere. Ero convinta di essere, per la mia indole, una zolla di sfagno adagiata in acqua e aceto, o tutt’al più una mucca, e invece diventai un alce dai magnifici palchi, con uno sguardo capace di inchiodare chiunque incontrasse sul suo cammino, facendogli quasi fermare il cuore.
Photo credits
Copertina: Surrender di Rob Linsalata, dalla serie Animal Mythos
Ritratto di Rosa Liksom di Jarkko Mikkonen