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La modella di Klimt: storia di un capolavoro ritrovato



Il narrato de La modella di Klimt, di Gabriele Dadati (Baldini+Castoldi, 2020), si apre nel dicembre 2019, al ritrovamento del Ritratto di signora di Gustav Klimt. Il dipinto, del valore stimato tra i sessanta e i settanta milioni di euro, è investito da una prima ondata di celebrità nel 1996, quando l’intuizione di una studentessa permette di svelarne il doppio volto: Ritratto di signora è infatti una tela dipinta due volte. Pochi mesi dopo la scoperta, l’opera torna all’attenzione della stampa internazionale a causa del furto, cui seguono ventitré anni di ipotesi e falsi ritrovamenti. Fino, appunto, al dicembre 2019, quando la tela ricompare, proprio nei giorni in cui stanno per concludersi i preparativi della mostra che celebrerà il decennale dalla scomparsa di Stefano Fugazza – direttore della Galleria d’arte moderna Ricci Oddi, dove il quadro è stato esposto, rivelato nella sua duplice identità e poi trafugato.
Il ritrovamento del quadro coinvolge in prima persona Dadati – curatore della mostra dedicata a Fugazza, suo mentore e amico in vita – quando l’autore diventa suo malgrado depositario della verità nascosta dietro al furto, o meglio della serie di verità, della moltiplicazione di inizi e conclusioni autentici e possibili che coprono più di cento anni di storia recente.

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La vita rocambolesca di Ritratto di signora ha il suo principio nella Vienna del 1910, per volontà di Emilie Flöge, imprenditrice, amica e confidente di Gustav Klimt: la donna ha commissionato al pittore la realizzazione di una cartolina pubblicitaria per l’atelier Schwestern Flöge; determinata a trovare una bellezza rappresentativa lontana dal fascino impudico delle modelle della secessione, Flöge sceglie di far posare un’operaia tessile, Anna. La ragazza obbedisce, e qui nasce il legame con Klimt.

La lettura de La modella di Klimt suscita profonda commozione, una commozione che è necessario indagare, superiore alla inevitabile o eventuale tragicità di alcuni degli eventi riportati – le vite di Anna e di Klimt si sovrappongono tra il 1910 e il 1917, nel mezzo sta il 1914, ovvio punto di non ritorno e di rovesciamento drammatico della narrazione umana per una intera generazione (anche) di artisti. Il nodo sensibile de La modella di Klimt non sta neppure nella scrittura, cesellata, esangue, affatto incline al patetismo. Il romanzo vuole essere l’ecfrasi del Ritratto, come afferma lo stesso autore, la descrizione di un’opera d’arte: in questa natura risiede il particolare tipo di turbamento cui cercare risposta.
L’ecfrasi costringe l’autore a molteplici piani di confronto con il descritto. Si pone immediata la questione della resa delle strutture di senso impresse dall’artista: occorre quindi osservare l’opera da vicino. Nel Ritratto di signora Dadati distingue la sbavatura del trucco sull’occhio sinistro, un dato collocato intenzionalmente, a significare una fatica, una sofferenza, o entrambe, generate l’una nell’altra; in ogni caso il sintomo di un’apparenza che cede a margine dello sguardo terso, celeste. Un ulteriore elemento di difficoltà è posto dal motivo dell’opera doppia, delle differenze rilevate sull’originale ridipinto, e perciò, nel caso specifico, della restituzione di un’innocenza più spiccata.

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Ritratto di signora, Gustav Klimt

Lo sviluppo dell’ecfrasi riesce alla perfezione, Dadati scrive personaggi che sono tutti l’incarnazione di questi ideali, il trasferimento di questi piani: la purezza di Anna, le sofferenze umane dei protagonisti, lo sbriciolarsi degli individui ai piedi dell’evento storico o di un intimo lutto. L’intero romanzo è marchiato dal peso delle identità duali: come il quadro che li eterna nel volto della ragazza, anche i soggetti narrati diventano doppi, si credono qualcosa e scoprono di essere qualcos’altro – mentre Anna, che non sopravvive al parto del figlio di Klimt, da qualcos’altro ritorna per sempre qualcosa.

Quanto c’è di vero ne La modella di Klimt? Fedele al vero è il Gustav Klimt che, nella foga creativa, disegna e dipinge a due mani, autentico è il dettaglio dei gatti che urinano sui suoi bozzetti, le modelle in attesa nei salottini dei suoi studi, gli indirizzi, la stessa amicizia con Emilie Flöge. L’accaduto su cui invece Dadati ha interesse a mantenere l’ambiguità è connesso alla linea di sangue che porta da Anna al furto, la materia esistenziale sospesa nel mezzo, con il suo carico di meraviglia e solitudini.
Il romanzo di Dadati è portatore di grazia e delicatezza, la scrittura di due occhi innocenti che scrutano la storia attraversandola da parte a parte: l’interrogazione della purezza di fronte a un dolore eternamente inspiegabile.

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