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La lingua allora diventa una storia e le storie sono fortuna. La poesia di Laurine Rousselet



La letteratura di Laurine Rousselet, che si compone di forme romanzate ma soprattutto di raccolte poetiche, è letteratura di spostamenti temporanei. Qualcosa che può assomigliare a quella letteratura di frontiera, ma senza esserlo veramente.
Se vogliamo pensare alla frontiera linguistica come lo spazio liminale tra due stati e due appartenenze, non ci troviamo né a Menton né nei paesi baschi; né in una delle numerose terre che componevano l’impero coloniale francese. Ci troviamo in luoghi reali, ma non necessariamente attraversati per davvero. Viaggiare infatti può avere a che fare con l’immaginazione perché l’andare è possibile anche solo pensandolo. E come si può farlo? Laurine Rousselet lo fa attraverso la scrittura, che è il suo modo di attraversare e di conoscere grazie all’immaginario e la lingua. Sfogliando le sue raccolte, senza bisogno di una lettura approfondita, le moltitudini idiomatiche non si contano; si aggrappano nella demarcazione delicata e obliqua che il corsivo sa rendere oppure in quella di un alfabeto non latino.

«Il confine rappresenta il passaggio, l’istante, il movimento perpetuo. Sono una donna poliedrica. Credo nell’infinito. Tutto è sempre un inizio. Per questo, dobbiamo affrancarci. La lingua allora diventa una storia e le storie sono fortuna. Desidero, mi alzo, mi slancio. Il mio desiderio è in espansione. L’ubriachezza gli serve per traspirare.»

Non si tratta di capire quali e quante siano le frontiere che la scrittura di Laurine Rousselet vuole attraversare. Ad ogni modo, anche se volessimo, sapremmo che alla prossima pubblicazione dovremmo spostarci di nuovo, perché è certo: il suo scrivere fatica a radicare e va al di là della lingua madre. Nel caso di Laurine Rousselet[1] la lingua materna è il francese. Quelle di elezione sono diverse e, pur nella consapevolezza che non stenteranno ad aumentare, non sappiamo già quali saranno. Il multilinguismo della sua scrittura poetica affiora anche quando di idiomi stranieri non sembra esserci neanche l’ombra. Perché in quel caso il francese è talmente frammentato che si vorrebbe leggere ad alta voce per ascoltare i suoni – che si rincorrono al di là della costruzione sillabica a costruire una lingua talmente ricca che sembra altra rispetto al francese, altra perché frammentata e collisa in tanti francesi.

Rousselet
Laurine Rousselet

Ma torniamo a quando il multilinguismo si accende e altre lingue fanno capolino. Capita infatti che il francese si accompagni al catalano, allo spagnolo e all’arabo e allora non si tratta solo di sottolineare il multilinguismo, ma di rivedere il concetto di appartenenza, anche linguistica, ad un luogo fisico – a più luoghi identitari. La ricerca poetica di Rousselet la fa allontanare dal suo luogo di nascita per avvicinarla a placements temporaires, “luoghi di percorrenza” temporanei, che sono quelli della viaggiatrice e il viaggiatore disposto ad accedere ai significanti che vanno ben oltre l’esotismo del turista affascinato. Quando si parla di “significanti” non si può non pensare alla definizione che il poeta Bernard Noël ha dato della poesia di Laurine Rousselet nel prologo alla raccolta bilingue (francese-catalano) El Respir (2008). Come ha già notato Geneviève Guetemme[2], Bernard Noël parla a tal proposito di «un luogo d’invenzione in cui il senso conta meno, in effetti, che il ritmo sillabico e le sue disturbanti collisioni, che pulsano e precipitano.» [3]
Sembra infatti che le parole servano a Rousselet da contenitori di suono. Forse anche da qui discende il suo innamoramento per le lingue straniere, perché proprio l’ascolto di lingue estranee alla nostra (nel caso di lingue che non comprendiamo) ci mette di fronte all’evidenza che le parole siano innanzitutto insiemi di sillabe che risuonano. Quanto meno conosciamo la lingua quanto più i fonemi ci possono sembrare – secondo attitudine – un barbaro blaterare o le nenie cantilenanti che, enfants, ci frullavano in testa.

Rousselet

Una delle prime raccolte di Rousselet, la terza, si intitola Mémoire de sel (2004). L’edizione è bilingue e porta su pagina doppia, a fronte del francese, una delle lingue che corrispondono per l’autrice a una terra d’elezione: la lingua araba. Introdotti da un’evocativa e terribile poesia di Hubert Haddad, i tre capitoli in cui è divisa la raccolta «L’exil», «Dieu sans merci» e «Méditerranée la nomade» scandiscono rappresentazioni di spazi e di popoli altri per proiettarsi, a parole, in un al di là verbale estraneo a quello di nascita. Un altrove che si fatica a identificare con un luogo preciso, perché già vent’anni fa la scrittura di Rousselet, pur cercando appigli fuori dalla propria “patria verbale”, non puntava ad una geografia precisa o conosciuta, piuttosto ad un altrove sognato, un ailleurs fantasmé.

Nel corso di volti di nero
del passato
come vergini di noi
alla traccia di suono
sotto la mia mano di rabbia
rimuginati

sbatte l’esilio
alla lunghezza di ogni ora
di sé
vivente

in un troppo
buco di luce che chiama
come sole
sonno di morte
sfolgorante
i nostri passi torturati di non-ritorno.

A conferma del suo farsi chiamare dall’altrove, nel 2011 Laurine Rousselet ha fondato con il poeta Erwan Rougé Les Cahiers de l’Approche, una raccolta di opuscoli bilingue; dal 2016 continua il progetto sola ma accompagnata dalle decine di poete e poeti stranieri che popolano i suoi Quaderni.

«Nel 2011 sono stata per due mesi in residenza presso la Maison de la Poésie a Rennes, in Bretagna. C’era una piccola biblioteca. La sera andavo a dare un’occhiata. E mi sono detta: cosa le manca? L’étranger! L’inconosciuto, cioè il cammino verso la nascita. La chiamata all’increato.»

I luoghi di percorrenza, i camminamenti poetici sono di quell’ordine errabondo e fantasmatico, di chi non ha necessariamente viaggiato e visitato ma come Salgari immagina e sogna. Tuttavia, se crediamo di immergerci, con Rousselet, nel clivage cosmopolita di quella letteratura che si estasia davanti alle spiagge bianchissime di Antigua, ai porti indocinesi o ai sūq di Marrakech, le nostre attese saranno disilluse. Penseremo a Jamaica Kincaid, al suo furore nel descrivere la fascinazione del turista bianco nei confronti del “posto piccolo”, il luogo esotico marchiato a fuoco dal colonialismo europeo, “la malattia europea”. Penseremo poi a l’Outre-mer e subito dopo alla lingua araba dei paesi del Maghreb, sottomessi per decenni al Protettorato francese. Nell’opera di Laurine Rousselet si sfiora la geografia delle relazioni de “les îles postexotiques”, un progetto del 2014 ideato da ideadestroyingmuros (collettivo interculturale di militanza poetica e di attivismo anti-educativo). Insieme alla geografia dell’esproprio è arginato anche quell’incantamento miope che è proprio degli immaginari dominanti e dell’esotismo letterario.

«Non si tratta di fascinazione. È un desiderio irresistibile che attraversa il corpo. Mi lascio penetrare quanto riesco a penetrare l’Altro. Si tratta sempre di amore. L’energia per “curiosità” è totale come lo sono i neologismi. Non sono mai impaziente. So aspettare, ma quando l’energia viene rilasciata, il dono è totale. Il respiro non si ferma mai. Non sto cercando la verità. Cerco di catturare il momento d’eternità. La grandezza è la mia dimensione, la resistenza la mia meccanica. Sono un’infaticabile traversata. La libertà abbonda in me e si diffonde. C’è flusso nella mia carne. Cerco di intensificare la percezione di tutte le possibilità in me, cerco di renderle leggibili. Il vagabondaggio, l’erranza o la transumanza sono la mia dimensione.»

Rousselet

Lo sguardo di Laurine Rousselet non è quello del colonizzatore, né quello del viaggiatore ma quello di chi sogna di attraversare e di essere attraversata da un luogo che non è quello della vita quotidiana e dalle nuove relazioni che si intessono. È lo straniamento infatti, quel non situarsi in maniera comoda e composta, la cifra stilistica che caratterizza la sua penultima collezione. Un tipo di straniamento desiderato come un’esigenza vitale, quella al respiro. Il contatto fra due lingue, in Ruine balance (2019), si spinge ancora oltre in questa ricerca di dialogo linguistico, poiché le parole della lingua altra (lo spagnolo) puntellano in corsivo la trama delle poesie, mescolandosi senza forzature con il testo francese.

ancora la questione della partenza
che presa per lasciare?
risvegli     desideri     passerelle
Amaliælias lo cuentan todo
l’inclinazione di soglia in soglia
ciel azul ci richiama verso il sud [4]

A sud troviamo Barcelona (2020), l’ultima raccolta di Rousselet. La prima poesia racconta come vita e scrittura per la poeta siano tutt’uno. Gli anni a crire costituiscono un grumo di verbi coesi, che rende la pratica poetica con il più definitivo dei neologismi – fondendo crier (gridare) e écrire (scrivere):

fibre dita mani unite quattro
la vita sgorga e precisa l’ignoto
segni e gesti che premono
il tavolo sospira poi si ferma
gli anni a crire

lingua a mezzanotte
penetrano delle note di passaggio
addormentate arrotolate s’affaccendano
bocca aperta dice l’avventura
la stranezza sviene incidendo

sentimenti viaggiatori
labbra bacianti
la leggerezza contempla
l’attenzione al presente illumina [5].




[1] La poeta nasce a Dreux nel 1974. Nel 2003 pubblica la sua prima raccolta di poesie, Tambour (Dumerchez), seguita da Mémoire de sel (L’Inventaire, 2004), El Respir (2008, Libres del Segle) e le più recenti Nuit témoin (2016, Isabelle Sauvage), Ruine balance (2019, Isabelle Sauvage), Barcelona (2020, La Part Commune). In uscita la raccolta Rue Ion Brezoianu (2021, L’Inventaire), dal nome di una via del quartiere Lipscani nel centro di Bucarest.
[2] Geneviève Guetemme, « Laurine Rousselet : la tentation de l’apatridie » in Modern Languages Open, 2019(1): 11, pp. 1–15.
[3] Bernard Noël nel Prologo a Laurine Rousselet, El Respir. (Bilingue français-catalan) traduction Manuel Costa Pau. Gaüses, Libres del Segle, Espagne, 2008, p. 12.
[4] Laurine Rousselet, Ruine balance, éditions Isabelle Sauvage, 2019, p. 76 (traduzione inedita).
[5] Laurine Rousselet, Barcelona, La Part Commune, 2020, p. 11 (traduzione inedita).

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