La parola è liquida, e prende la forma del suo contenitore.
La cecità di Omero
Il più antico contenitore della parola, e l’unico che le sia davvero connaturato, è la voce. Anche in assenza di scrittura è ovviamente possibile l’espressione letteraria: basta una frase ben congegnata in una conversazione; una canzone; un racconto attorno al fuoco d’inverno.
E perché le parole non si disperdano in un pulviscolo indistinto, come gocce d’acqua in un ambiente privo di gravità, sembra necessario che all’espressione letteraria sia data una norma interna, un’organizzazione simile a un’ossatura, una spina dorsale che le permetta di mantenere una forma propria. In breve: una forma poetica.
In uno scenario simile, stando a quanto è ricostruibile almeno per la tradizione delle lingue indoeuropee, accade così che le più antiche attestazioni letterarie siano proprio espressioni di una cultura poetica. Quando vengono per la prima volta depositate su supporti scrittori, ciò avviene a distanza di secoli dalla loro nascita: prima di allora, bisogna immaginarle tramandate oralmente, di generazione in generazione; un periodo durante il quale la norma poetica le aiuta a mantenersi in più possibile integre. Le prime attestazioni letterarie della nostra civiltà non sono quindi manuali di agricoltura, ma carmi didascalici; non racconti di storia, ma poemi epici; non lettere d’amore, ma poesia lirica; non semplici preghiere, ma inni religiosi.
E la scrittura, quando viene introdotta e accettata, in luoghi e tempi diversi, inizialmente non è che uno strumento di conservazione del testo, e non partecipa alla sua composizione.
Ne abbiamo un esempio ben documentato dove una letteratura esclusivamente orale è sopravvissuta a lungo e con grande tenacia, nelle culture celtiche delle isole britanniche: sappiamo che ancora nel secolo XVII le scuole per educare i futuri bardi in Irlanda erano stanze buie, prive di finestre, perché i giovani dovevano abituarsi a comporre e recitare i loro canti senza l’ausilio della vista e della parola scritta.
Proiettando quest’uso in un passato più remoto, assume così un significato di portata enorme la tradizionale cecità di Omero: in una società che fa della letteratura orale il proprio fondamento, se si deve immaginare il capostipite di ogni poeta, l’artefice stesso della letteratura, egli non può che essere cieco.
Perché la facoltà della vista, nel suo caso, sarebbe una menomazione.

La letteratura a rotoli
Ma la parola è liquida ed ecco che, nel momento stesso in cui passa dallo stato orale a quello scritto, il mutamento di contenitore ne altera la forma.
Secondo la tradizione, i poemi omerici dell’Iliade e dell’Odissea furono messi per iscritto nel VI secolo a.C. su iniziativa del tiranno di Atene Pisistrato, che ne avrebbe disposto una trascrizione ufficiale. In quel momento un testo tramandato a voce si deposita in modo organico su un supporto per la conservazione permanente, e ne viene modificato.
Il libro, a quel tempo, ha l’aspetto di un rotolo di papiro, il volume (dal verbo latino volvo, che significa svolgo, scorro). Rispetto al libro come lo conosciamo oggi (un oggetto quadrangolare nel quale i fogli sono cuciti a un dorso e possono essere sfogliati, invece che srotolati), il volume può contenere una quantità limitata di testo, perché la serie di fogli di papiro incollati uno dopo l’altro per formare il rotolo hanno un limite fisico, oltre il quale il peso stesso del manufatto tenderebbe a staccarli o strapparli.
Quella particolare forma, con i suoi limiti, influisce sull’organizzazione dei testi che vi sono registrati.
Com’è noto, entrambi i poemi omerici sono articolati in 24 libri (non a caso, uno per ogni lettera dell’alfabeto), ciascuno dei quali ha una lunghezza variabile, ma di estensione piuttosto limitata: si tratta in media di 580 versi. Perché in origine ognuno di quei libri, materialmente, non era altro che un volume di papiro arrotolato. E la prima Iliade che fu scritta non era un tomo di 700 pagine da tenere su uno scaffale, ma una serie di 24 rotoli conservati in un contenitore, come una cesta o una cassa. Lo stesso discorso vale per l’Odissea, o qualsiasi altra opera dell’antichità, sia in versi sia in prosa. Per fare un ulteriore esempio, la Storia di Roma di Tito Livio, che fu uno dei testi più estesi dell’Antichità, era diviso in 142 libri; vale a dire 142 rotoli di papiro.
E già i contemporanei si lamentavano di non sapere dove metterli.
Di cera, pergamena e carta
L’opera di Livio, in effetti, non si è conservata nella sua interezza: ne sopravvive appena un quarto, ed è possibile che la difficoltà materiale di gestire quella massa di rotoli abbia influito sulle sue possibilità di sopravvivenza.
Di certo la scomodità e l’inefficienza del libro in forma di rotolo decreta, nell’età tardo-antica, il successo di una nuova tecnologia di trasmissione dei testi: il codice. Il nome può fare pensare a qualcosa di criptico, ma tecnicamente non indica altro che il libro in accezione moderna, quello che noi conosciamo e che ha un enorme vantaggio rispetto al rotolo: contiene più testo. I 24 rotoli dell’Iliade possono ora essere trascritti in un unico codice.
Ma ogni innovazione ha il suo prezzo, e il prezzo del codice tardo-antico e medievale è determinato dalla sostituzione dei fogli di papiro (troppo fragili per essere cuciti senza strapparsi) con lembi di pergamena: si tratta di pelli di animale, in genere capre e pecore, conciate e lavorate fino a ottenere un supporto sottile, omogeneo e resistente. E molto costoso. Perché a questo punto, se vorremo confezionare la nostra bella Iliade in un solo libro, avremo bisogno di un centinaio di fogli di grande formato. Avremo cioè bisogno di sacrificare un gregge intero. Per una sola copia.
Le caratteristiche della pergamena hanno quindi diverse conseguenze: da un lato la resistenza permette una lunga vita ai testi, che spesso riescono a raggiungere perfino noi; dall’altro il costo specifico del materiale implica che non può essere usato per testi di valore transitorio, come appunti o stesure preparatorie di un’opera (per le quali si impiegavano tavolette cerate, destinate a essere cancellate e riutilizzate in continuazione). Infine, i testi che vi vengono trascritti tenderanno a essere relativamente brevi per non consumare troppo materiale; infine, che appena si presenterà un prodotto più economico, quest’ultimo vincerà facilmente quote di mercato.
E infatti, quando nel XIII secolo compare in Europa la carta, questa soppianta progressivamente la pergamena nella confezione dei libri, e l’uso delle tavolette cerate per gli appunti, con un ultimo riflesso sulle dimensioni delle opere che, non essendo più imbrigliate nei costi proibitivi dei libri precedenti, si espandono e si trasformano. I romanzi cavallereschi, per esempio, passano dagli eleganti e snelli poemi di Chrétien de Troyes, nel secolo XII, ai romanzi fluviali del XV. Per non parlare di quando, dalla seconda metà del Quattrocento in poi, la stampa permette una replicabilità sempre più estesa ed economica del testo scritto.
Senza tutti questi passaggi, noi oggi non avremmo Don Chisciotte, Ivanhoe, I tre moschettieri.
Sono sempre racconti d’avventura, a loro modo cavallereschi tanto quanto i poemi medievali, ma la forma che assumono è diversa, in parte influenzata dal manufatto che è destinato a ospitarli.

Il commercio della poesia
Ciò non significa che a ogni supporto scrittorio corrisponda un genere letterario, e che ogni innovazione soppianti del tutto i suoi predecessori. Come caso-limite possiamo ricordare il romanzo On the Road di Jack Kerouac (1957): il dattiloscritto originale non occupa una serie di fogli, come ci si aspetterebbe dalla data di composizione, ma un unico rotolo di carta della lunghezza di 37 metri, più vicino agli antichi volumi di papiro che a un libro moderno.
Viceversa, chi scrive un romanzo nel XIX secolo può benissimo comporre una lirica o – perché no? – un poema cavalleresco.
È quello che fa Walter Scott. L’autore scozzese, all’inizio della sua carriera, non raggiunge la fama con i celebri romanzi in prosa della maturità, ma proprio con una serie di poemi narrativi che attualizzano un genere di per sé medievale. E lo fa così bene da riuscire a farsi pagare dall’editore la bellezza di mille sterline per il secondo di questi poemi, Marmion (1808), prima ancora di averlo scritto, sulla sola base del successo realizzato dall’opera precedente.
Questo punto introduce così un altro elemento, che pure concorre a definire la forma dell’opera letteraria: la possibilità che abbia un commercio (o anche solo una circolazione) che giustifichi l’investimento della scrittura. Ce lo ricorda il sollievo che proviamo al pensiero di non dover affrontare l’impresa di trarre un utile da un libro manoscritto su pergamena.
Quindi, se è vero che l’avvicendarsi dei supporti scrittori stratifica nel tempo diverse possibilità di espressione, possiamo anche immaginare che ogni nuovo strumento materiale, immerso nella società del suo tempo, costituisca una sfida inedita per chi intende comporre e diffondere un’opera letteraria.

In digitale
Con la diffusione dei testi in ambiente digitale stiamo in effetti sperimentando un ulteriore mutamento di contenitore. Ancora una volta, si verifica il caso di testi riversati senza particolari cambiamenti nel nuovo ambiente (i testi elettronici di opere classiche, per esempio), e vediamo proporre alle case editrici opere nuove che vengono presentate identiche sia a stampa sia in formato digitale.
Ma è legittimo chiedersi se anche questo ambiente, solo all’apparenza immateriale, influenzerà la forma delle parole che vi sono scritte, come è stato per il rotolo di papiro, per il codice di pergamena, per il libro di carta.
Nel 2021 l’artista londinese Arch Hades ha compiuto un’impresa che ricorda l’azione poetico-commerciale di Walter Scott. In un mondo che pare ancora dominato dal romanzo in prosa (ma nel quale, soprattutto in area anglosassone, non mancano esempi di narrativa poetica, come quella di Derek Walcott o di alcuni autori nord-americani), Hades compone Arcadia, un poema filosofico in cinque canti di 648 versi complessivi, raccolti in strofe regolari di quattro distici ciascuna. Il suo stile attualizza la poesia colta tradizionale di lingua inglese, e si collega esplicitamente alla letteratura sul discrimine tra i secoli XVIII e XIX. Ma la vera novità di Arch Hades è di avere pubblicato l’opera, prima che in volume, sotto forma di installazione digitale: una selezione del poema, letta dalla stessa voce dell’artista, viene accompagnata da una colonna sonora e da immagini animate composte per l’occasione rispettivamente da André Allen Anjos e Andrés Reisinger. Del poema, in questa sua particolare manifestazione, è stato quindi coniato un originale digitale, battuto all’asta a New York sotto forma di Non Fungible Token nel novembre 2021, guadagnandosi così la ribalta del Financial Times, oltre che delle riviste letterarie. Soltanto in seguito Arcadia è divenuto un volumetto di novanta pagine, che ospita i cinque canti del poema accompagnati da prefazione, bibliografia, ringraziamenti e note.

È questo un nuovo approdo della letteratura? Se sì, si tratta di un lido sicuro o di un passaggio effimero? Personalmente credo che davvero un’ossatura interna, predeterminata da un punto di vista formale, possa giovare alle opere letterarie destinate all’ambiente digitale, di per sé mutevole e aperto come l’aria che trasporta la voce del bardo. È viceversa possibile che questo particolare ambiente richieda altre soluzioni, che io non conosco, o che ancora aspettano di essere sperimentate.
In fondo, ci troviamo sulla soglia di questo nuovo spazio, e fatichiamo a capire che cosa accadrà in futuro, quale sarà la nuova forma delle parole.
Nota bibliografica e ringraziamenti
Per l’oralità della cultura poetica antica: Enrico Campanile, Ricerche di cultura poetica indoeuropea, Pisa, Giardini, 1977.
Per una descrizione delle scuole bardiche irlandesi: Osborn Bergin, Bardic Poetry, «Journal of the Ivernian Society», 5 (1912), poi ripubblicato in Irish bardic Poetry, Dublin, The Dublin Institute for advanced Studies, 1970.
Per la diffusione dei rotoli di papiro e, in seguito, dei codici di pergamena: Leighton D. Reynolds, Nigel G. Wilson, Scribes and Scholars. A Guide to the Transmission of Greek and Latin Literature, Oxford, Clarendon Press, 1968.
Per l’introduzione della carta nel mondo occidentale: Martín de Riquer, La novela en prosa y la difusión del papel, in Orbis mediaevalis, Bern, Francke, 1978.
Per l’esempio di poema cavalleresco ottocentesco: Walter Scott, Marmion, Edinburgh, Constable, 1808.
Sulla presenza del poema narrativo nella letteratura americana contemporanea: The contemporary Narrative Poem, Critical Crosscurrents, ed. by Steven P. Schneider, Iowa City, University of Iowa Press, 2012.
E infine: Arch Hades, Arcadia, London, Black Spring, 2022; Baya Simons, Arch Hades, the $ 525,000 Poem and the new Meta Verse, «Financial Times», 22 settembre 2022.
Ringrazio Arch Hades per un chiarimento che mi ha gentilmente trasmesso, relativo alla realizzazione digitale di Arcadia.
Per l’oralità della cultura poetica antica: Enrico Campanile, Ricerche di cultura poetica indoeuropea, Pisa, Giardini, 1977.
Per una descrizione delle scuole bardiche irlandesi: Osborn Bergin, Bardic Poetry, «Journal of the Ivernian Society», 5 (1912), poi ripubblicato in Irish bardic Poetry, Dublin, The Dublin Institute for advanced Studies, 1970.
Per la diffusione dei rotoli di papiro e, in seguito, dei codici di pergamena: Leighton D. Reynolds, Nigel G. Wilson, Scribes and Scholars. A Guide to the Transmission of Greek and Latin Literature, Oxford, Clarendon Press, 1968.
Per l’introduzione della carta nel mondo occidentale: Martín de Riquer, La novela en prosa y la difusión del papel, in Orbis mediaevalis, Bern, Francke, 1978.
Per l’esempio di poema cavalleresco ottocentesco: Walter Scott, Marmion, Edinburgh, Constable, 1808.
Sulla presenza del poema narrativo nella letteratura americana contemporanea: The contemporary Narrative Poem, Critical Crosscurrents, ed. by Steven P. Schneider, Iowa City, University of Iowa Press, 2012.
E infine: Arch Hades, Arcadia, London, Black Spring, 2022; Baya Simons, Arch Hades, the $ 525,000 Poem and the new Meta Verse, «Financial Times», 22 settembre 2022.
Ringrazio Arch Hades per un chiarimento che mi ha gentilmente trasmesso, relativo alla realizzazione digitale di Arcadia.