«Guardare un neonato mentre dorme significa contemplare la fragilità dell’essere umano. Sentire il suo respiro delicato e armonioso suscita un misto di calma e sgomento.»
Calma e sgomento sono proprio le emozioni che si avvicendano per tutto l’incredibile romanzo di Guadalupe Nettel, La figlia unica (La Nuova Frontiera, traduzione di Federica Niola). La calma di una scelta che crediamo consapevole, lo sgomento quando scopriamo che ci è sfuggito qualcosa di importante, qualcosa che non possiamo più cambiare; la voglia spasmodica di accudire un altro essere umano e l’impotenza nel prendere atto che spesso non si ha la minima idea di come farlo; l’attimo in cui ci si chiede: perché l’ho fatto, perché è toccato proprio a me un simile fardello?
Laura e Alina, le protagoniste di queste pagine, sono più che amiche, sono anime affini, legate da una promessa fatta a loro stesse e un po’ anche al mondo intero, non avere mai figli. La vita, però, è strana, e se il passare del tempo cristallizza certi desideri, ne sfuma altri, li erode fino a cambiarli nella forma tanto quanto nell’essenza. Laura, infatti, è talmente convinta della sua decisione da farsi legare le tube, compiendo un piccolo gesto rivoluzionario con cui liberare il genere femminile dal fardello della procreazione, mentre Alina un giorno le comunica con emozione che diventerà madre della piccola Inés.
«Quando finalmente ha pronunciato la parola “incinta”, ho sentito un tuffo nel petto così simile alla gioia che mi ha sconcertato. Com’era possibile che fossi felice? Alina era sul punto di scomparire per unirsi alla setta delle madri, esseri senza vita propria che, con grandi occhiaie e l’aria da zombie, spingono le carrozzine nelle strade delle città. In meno di un anno si sarebbe trasformata in un automa dell’allevamento. L’amica sulla quale avevo sempre contato avrebbe smesso di esistere, e io ero lì, all’altro capo del telefono, a congratularmi per quella cosa lì?»
Nonostante la rivelazione, Laura decide «di non combattere contro quella gioia» e, correndo il rischio che il loro rapporto cambi, accetta che il corpo dell’amica si sformi fino ad aprirsi come una conchiglia per rivelare la perla al suo interno. Perché, come scrive Nettel, una gravidanza cambia tante cose, compreso il legame che abbiamo con le persone, soprattutto con le più care.
«Le amiche che avevano deciso di non avere figli la guardavano in modo diverso, come se fosse portatrice di una malattia contagiosa. Invece quelle che li desideravano e vedevano il tempo abbreviarsi, le dimostravano un’ammirazione tinta di invidia.»
Avere un figlio (o non averlo) getta la donna oltre un confine di cui prima non conosceva l’esistenza ed è esattamente quello che Nettel racconta con una scrittura semplice che però coglie nel segno, che parla di e a noi.
«La maternità è un’imposizione sociale […] e quasi sempre impedisce alle donne di fare la loro vita. Bisogna essere molto convinte di diventare madri prima di tuffarsi in un’avventura simile.»
Ma anche le persone più convinte possono scoprirsi impotenti e vulnerabili di fronte all’inattesa malattia di un figlio, di un bambino. È un’avventura per stomaci forti, dove dalla calma si passa allo sgomento senza soluzione di continuità, in cui l’amore ha un modo tutto suo di mischiarsi all’avversione. «Un amore abissale» che rifugge qualsiasi spiegazione.
«[…] L’amore si rivela spesso illogico, incomprensibile. Molti di noi fanno così quando s’innamorano di una persona molto malata; di una persona che vive lontano; di una persona impegnata in una storia precedente, nella quale non c’è posto per noi. Chi non si è tuffato in un amore abissale pur sapendo che non avrebbe avuto futuro, aggrappato a una speranza fragile come un filo d’erba?»
Forse La figlia unica non è un libro per tutti, ma è sicuramente ciò che tutti dovrebbero leggere, perché senza fronzoli né giudizi racchiude qualcosa di sospeso tra il mostruoso e il meraviglioso, tra orrore e amore: questo grande mistero che è la maternità.
Non solo il desiderio viscerale di un figlio, ma anche il desiderio della sua assenza, due facce dello stesso sentimento che meritano rispetto e di cui non ci si dovrebbe mai vergognare, che non dovremmo mai giustificare. Voler procreare e non volerlo affatto, essere disposti a tutto pur di mettere al mondo un bambino e poi, quando finalmente accade, pregare affinché se ne torni da dove è venuto.
«A volte i figli arrivano senza averli pianificati […] come se qualcuno depositasse un uovo nel nostro nido.»
Persino Laura avrà la sua occasione di essere madre, durante uno dei tanti pomeriggi che trascorre in compagnia di Nicolás, il figlio della vicina, oppure accudendo i piccioni che hanno fatto il nido sul suo balcone. Difatti la maternità ha infinite declinazioni e succedanei e Nettel ce li mostra uno a uno. Gli animali da compagnia trasformati in figli «a bassa intensità»; il bisogno viscerale di chi non può averne e finisce per occuparsi di quegli degli altri; la necessità altrettanto forte di assecondare l’impulso a riprodursi salvo dopo sottrarsi «alle fatiche dell’allevamento»; il parassitismo di cova, il profondo legame che viene a crearsi con tate e balie, sono tutte diverse versioni del medesimo ruolo che dimostrano quanto la famiglia biologica tradizionale a volte è quasi un’imposizione da desacralizzare, perché «non c’è ragione di doversi adattare» se quel modello non funziona o non ci appartiene.
«Abbiamo sempre accudito i figli delle altre, e altre donne ci hanno sempre aiutato ad accudire i nostri. Certo che si creano legami tra i bambini e le madri sostitute. […] È sempre stata permeabile la maternità. Molte femmine di diverse specie si fanno carico dei piccoli delle altre. I delfini, per esempio, hanno varie madrine che assistono la madre al momento del parto e la aiutano ad accudire il suo cucciolo. Succede anche negli uccelli. Alcune depongono le uova in nidi altrui, dove la femmina di una specie diversa ha già deposto le proprie, perché siano quegli uccelli a occuparsi dei loro pulcini. A volte sono così astuti da buttare giù le uova presenti, per assicurarsi che i propri piccoli siano ben accuditi.»
In poco più di duecento pagine è racchiuso un mondo intero, il nostro, quello di oggi, la parte anche scomoda, di cui si conosce l’esistenza ma che fingiamo di non vedere. La scelta, l’attesa, l’infertilità, l’aborto, la depressione post-parto. Nettel ne La figlia unica non solo ci mostra ogni singola sfumatura della genitorialità, ci accompagna dolcemente a toccarla con mano.
In copertina, Guadalupe Nettel nella fotografia di Maureen M. Evans