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Il prezzo della crudeltà. L’invasione di Paolo Piccirillo



«Invece Nicola ha capito molto presto che a Ferrazzano è difficile crescere, la terra è complicata: qui la terra è sporca e dura, pensava, per questo i fili d’erba, quei pochi che ce la fanno a venire su, sudano molto»

C’è solo una striscia di fiume a separare Ferrazzano e Sant’Elpidio e un fragile accordo di non belligeranza tra i loro capi a contenere l’odio che scorre tra i due paesi. Da una parte, a Ferrazzano, c’è Nicola Forto, detto Barracuda – perché i suoi molari sono molto appuntiti – e dall’altra Tiziano Bianco, che è anche il datore di lavoro del primo. È la campagna casertana lo sfondo della storia di L’invasione (Fandango, 2024), l’ultimo romanzo di Paolo Piccirillo, scrittore e sceneggiatore – per la Rai ha scritto, tra le altre, Mare fuori e Doc-nelle tue mani – che torna a raccontare il male agito, subito e intrinseco negli esseri umani. 

Quel fiume si rivela una barriera delicata e fragile e il patto tra le due parti rischia continuamente di incrinarsi: è il ritrovamento sull’argine del fiume del cadavere di una ragazza a scatenare l’inizio della guerra tra i due paesi. 
In una rincorsa continua e irrazionale, alla sfrenata ricerca di un colpevole, la terra si macchia del sangue dei suoi abitati: la mancanza di lucidità sfocia in una ferocia insensata, che porta a versare sangue innocente nella voragine della vendetta

A questo episodio si aggiunge il ritorno di un altro personaggio, Ernesto Foglia, un vecchio amico di Barracuda. Il suo rientro dal Sud Africa è legato a una proposta da fare all’amico, che già in passato aveva tradito: investire su una nuova specie di api, delle vespe, che stanno per passare proprio a Ferrazzano. Nicola accetta perché vede un’occasione di rivalsa, accecato dalla possibilità fare fuori la parte nemica pianificando una vera e propria invasione. Così concentrato sui suoi intenti da accantonare l’idea di sua moglie Valentina di lasciare il paese per curare la loro bambina, Katia. Valentina spera in un un riscatto economico, senza sapere che i progetti del marito sono altri: far prevalere Ferrazzano.

Piccirillo

Il lettore spera sempre che Nicola possa redimersi, che possa riscattarsi e salvare così la sua famiglia, ma farlo implicherebbe un distacco netto e definitivo dalle proprie radici e dalla propria terra. E Nicola non ce la fa. Ed è proprio questo suo accanimento, attaccamento, questo suo senso di vendetta, a ritorcersi contro di lui. 

Nella storia raccontata da Piccirillo non c’è lo scontro tra il personaggio buono e quello cattivo, tra il bene e il male. C’è solo la presenza di una forte ferocia, di crudeltà, in un meccanismo senza uscita che non permette a nessuno di vincere, ma solo di perdere ciò che hanno di più caro.
Un forte senso di imbarbarimento caratterizza le pagine del romanzo, la violenza si espande come se fosse normalità.  Non c’è alcuna forma di giustizia, ma solo spietata vendetta. 

A rendere il senso di normalità di questa crudeltà è proprio la scrittura di Piccirillo. Semplice e lineare, l’autore racconta in modo realistico questa parte di mondo. Ci dà un’immagine schietta, senza ricerca del lieto fine, perché in fondo la brutalità genera brutalità e continue morti e non c’è bisogno di illudere il lettore di una possibile luce in fondo al tunnel. Senza giustizia, la sete di vendetta aumenta e ciò porta con sé un forte senso di disordine nelle vite degli abitanti di Ferrazzano e Sant’Elpidio e sembra veramente che un’altra vita sia impossibile. 

Con le sue semplici parole, Piccirillo fa percepire al lettore il calore e il cattivo odore di quei posti abbandonati, creando così una sensazione di soffocamento. Non si vede una via d’uscita.
A Nicola sarebbe bastato guardare un po’ di più quella bambina nella culla per non perdere l’unica cosa che avrebbe potuto salvarlo: l’amore.

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