Si legge la parola mostro e si pensa a quello di un film horror, o peggio, a quello di un film d’animazione. Un mostro pensato in questa maniera non ci può fare davvero paura: è finzione, non è reale, non ha niente a che fare con noi. A conferma, si prenda la definizione fornita da Treccani: «Figura mitologica che si presenta con caratteristiche estranee al consueto ordine naturale, in quanto per lo più formata di membra e di parti eterogenee, appartenenti a generi e specie differenti, con aspetto deforme e dimensioni anormali sì da indurre stupore e paura». Niente a che vedere con un essere umano, appunto.
Ma prima di trattare con sufficienza sdegnosa l’argomento, forse, vale la pena fare delle considerazioni. Perché sì, l’interesse per i mostri è molto più serio di quanto non si pensi in prima battuta. In Monstrumana. L’umanità del mostruoso, la mostruosità dell’umano, di Francesca Giro e Gaetano Pagano (effequ, 2022), si legge nell’introduzione:
«domandarsi cos’è un mostro ha a che fare col guardare prima di tutto dentro di sé, che se ne abbia o meno consapevolezza. Perché il mostro ha a che fare con la paura. E noi abbiamo sempre paura. Che sia un gatto abnorme o che sia Giacomo, il mostro è qualcosa che ha a che fare, per opposizione e minaccia, con la nostra storia e con la nostra situazione: la nostra identità».
Dunque, prima motivazione per interessarsene: i mostri hanno a che fare con le nostre paure, dunque hanno a che fare con noi, perché tutti abbiamo paura. Semplice, ma efficace.
Seconda motivazione, a essa connessa: al di là del mero studio dei mostri (la teratologia), esiste una branca, a cui il testo nominato appartiene, che ha il nome di Monster Studies, cioè un’indagine dei mostri «trattandoli come rivelatori di meccanismi culturali, di processi di costruzione dell’identità individuale e collettiva». L’indagine di Francesca Giro e Gaetano Pagano, in particolare, prende alcuni esempi dalla letteratura, prevalentemente anglofona, tanto classica (come Shakespeare, Tolkien, Shelley, Stevenson, Hugo, Poe, Walpole) quanto più recente (tra cui Carter, Desjardins, Pugno), e ne trae degli spunti per dire qualcosa sul genere umano.
C’è d’altronde un motivo se il sottotitolo e l’epigrafe del libro – dalla seconda stagione di American Horror Story, Asylum – richiamano la natura umana del mostruoso: i mostri hanno a che fare con gli esseri umani, nelle maniere più disparate, e sono in grado di dire molto al riguardo. Si pensi, a titolo di esempio, al primo case study trattato nel testo: nel più famoso romanzo di Mary Shelley, al lettore il vero mostro sembra a tratti essere il dottor Frankenstein, non di certo la Creatura senza nome da lui generata, laddove quest’ultima ha certamente compiuto delle azioni nefande, ma solo perché essa stessa altro non è che il frutto dell’abbandono. Dunque c’è da chiedersi di chi sia la colpa se chi viene trattato come un rifiuto si ribella e reagisce e se non sia la totale mancanza di empatia essa stessa una mostruosità.
E non ci si ferma neanche qui: il capitolo dà conto di come Frankenstein offra una chiave di lettura per comprendere alcuni aspetti della personalità della stessa autrice, oltre che uno spunto di riflessione politico dove si può tirare in ballo l’Anatomy Act – la possibilità che avevano medici e scienziati di disporre dei cadaveri delle persone povere per scopi scientifici, per sperimentare medicine che avrebbero comprato le persone ricche.
Gli esempi possono continuare: si prenda il caso del Quasimodo di Hugo, il gobbo del suo Notre-Dame de Paris. Le sue deformità fisiche lo rendono certamente un emarginato – questo è uno di quegli elementi che non sono stati modificati nemmeno nella trasposizione Disney – ma anche e soprattutto perché si collocano in un determinato clima, quello del contesto ottocentesco dove erano nate pratiche come la craniometria. E per quanto sia difficile immaginare anche oggi un Quasimodo che viva tranquillamente la sua vita – considerando che verosimilmente riceverebbe body shaming – lo spunto di riflessione di Giro e Pagano merita di essere riportato:
«tutto inizia dalla bruttezza che le altre persone vedono in lui. Delle sue mancanze morali vengono riconosciute possibili cause – o quantomeno concause – ambientali e circostanziali, ed è quindi lecito immaginare un ipotetico Quasimodo non necessariamente costretto all’isolamento o al processo di “mostrificazione” qualora parte di un contesto sociale che ne accettasse la diversità fisica come un semplice fatto della natura.»
Non tutti i mostri sono uguali tra di loro: in Notre-Dame vi è separazione tra il mostro morale (Frollo) e il mostro fisico (appunto, Quasimodo), mentre, ad esempio, così non è per il Gollum di Tolkien, né tantomeno nell’emblematico Strano caso di Stevenson, dove Hyde è mostruoso esteticamente ed eticamente. Nell’ultimo romanzo citato, d’altronde, il mostro nasce proprio come una separazione netta della parte negativa che è in ognuno di noi, quindi la sua deformità ha una semantica ben precisa.
E ancora, sui mostri molto altro si può dire: si pensi a Calibano della Tempesta, che invece vive bene e tranquillamente finché qualcuno non entra nel suo mondo e non inizia a trattarlo da mostro; e poi ancora Dracula, Carmilla, Medusa, i vari fantasmi della letteratura, le sirene dell’indimenticabile romanzo di Laura Pugno.
Gli spunti che coesistono sono molteplici: certo, essi rimangono spunti – va considerato che il testo è di 270 pagine circa e i capitoli sono undici – ma l’approfondimento non eccessivo permette di rendere la lettura godibile per chiunque, anche per chi non sente l’esigenza di troppa specificità, e soprattutto di instillare la sete di conoscenza in chi legge e spingere ad andare ulteriormente a fondo.
L’argomento letterario non è trattato con ostentata oscurità, approccio a dir la verità troppo tristemente diffuso nella maggior parte delle metascritture, e in questo sicuramente aver compiuto il primo approccio alle storie di Monstrumana attraverso un altro mezzo comunicativo – quello del podcast – è stato utile. Ed è così bello quando si riesce a parlare di narrativa, anche classica, in maniera comprensibile a tutti, al di là di ogni possibile snobismo, e quando si è in grado di offrire una lettura non banalizzante. D’altronde, Francesca Giro e Gaetano Pagano raccontano delle storie, ed è questo ciò che davvero fa la differenza: i due autori provano un visibile piacere non solo nel decodificare i testi letterari e i loro molteplici segnali ma anche nel narrare le vicende dei bellissimi libri che hanno selezionato.
Monstrumana è tutto questo, e va aggiunto dunque che è anche e soprattutto leggerezza: è la leggerezza tale per cui è possibile che l’attacco dell’introduzione riporti una scena scolastica e la risposta di alcuni bambini di terza elementare alla domanda cos’è un mostro. La leggerezza con cui l’epigrafe riporta una frase che, ai tempi di uscita di Asylum, era diventata un fenomeno pop al punto da essere riportato sulle magliette dei teenager. La leggerezza di chi racconta senza mettersi in cattedra, e racconta delle cose serie, perché si sollevano alcune tra le tematiche più importanti dei nostri tempi: ci sono le questioni di genere, c’è l’emarginazione del diverso, c’è l’antispecismo. E anzi, con leggerezza i due autori dimostrano come i mostri siano una cosa seria, e come leggere e parlare di mostri significhi affrontare le conseguenze del riconoscersi nell’abbruttimento.
In copertina, illustrazione di Simone Ferrini da Monstrumana