Dal 1995 al 2017, in America ha avuto luogo una vera e propria epidemia da oppioidi che ha causato la morte di circa quattrocentomila persone. La causa è l’OxyContin, un farmaco contenente ossicodone promosso a livello di marketing in maniera aggressiva come l’unico rimedio per alleviare se non cancellare del tutto il dolore ma al prezzo di effetti collaterali devastanti. Responsabili di questa tragedia sono stati la Purdue Pharma, guidata da Richard Sackler, e i tanti medici che – in buona fede o meno – hanno prescritto questo farmaco.
Il fenomeno non solo è stato raccontato da diverse serie tv come Dopesick o Painkiller, ma anche la letteratura statunitense sta a poco a poco cominciando a parlarne, concentrando l’ambientazione soprattutto sui monti Appalachi e nella cosiddetta Rust Belt, l’area degli Stati Uniti che ha subito un tragico impoverimento in seguito allo smantellamento delle principali fabbriche siderurgiche americane come la General Motors. Due esempi recenti: La gabbia dei conigli di Tess Gunty, vincitrice del National Book Award nel 2022 che accenna all’intreccio fra l’ossicodone, l’abusivismo edilizio e il degrado industriale dell’immaginaria Vacca Vale, in Indiana, e che traspone i racconti di mistiche come Ildegarda di Bingen nella figura di Blandine Watkins; la serie Netflix di Mike Flanagan La caduta della casa degli Usher, che reinterpreta i racconti di Edgar Allan Poe: Roderick e Madeline Usher sono attualizzati come proprietari di un impero del farmaco ormai sull’orlo della bancarotta chiamato Fortunato Pharmaceuticals, corrispettivo di Purdue Pharma, e produttore del Ligodon, che rimanda all’OxyContin.
In questo filone di recupero dei classici per raccontare la contemporaneità si inserisce anche Demon Copperhead, ultima fatica di Barbara Kingsolver e vincitrice del Premio Pulitzer 2023 (ex aequo con Trust di Hernan Dìaz) che riscrive il David Copperfield di Charles Dickens. Il romanzo di Kingsolver, pubblicato in Italia da Neri Pozza, racconta la storia di Damon Fields. Originario di Lee County, in Virginia, Damon – conosciuto ai più come Demon Copperhead – rimane orfano di entrambi i genitori: il padre, suo omonimo, soprannominato Copperhead non solo per i capelli color del rame – “copper” in inglese vuol dire “rame” – ma anche per un serpente tatuato sul braccio nel punto in cui è stato morso da un serpente testa di rame, è morto annegato; la madre, invece, da cui il protagonista prende il cognome, muore all’inizio del romanzo per via di un’overdose da farmaci, in particolare per l’ossicodone. Da qui parte, dunque, l’odissea del protagonista negli Appalachi fra hillbillies, rednecks, famiglie affidatarie e famiglie originarie con cui ristabilire un legame. In tutto questo deve fare i conti con l’ossicodone, nel romanzo chiamato semplicemente oxy, una sostanza che promette sollievo e felicità, ma che a poco a poco gli porta via gli affetti.
Per ciò che concerne la riscrittura del capolavoro dickensiano, Kingsolver mostra nei ringraziamenti in appendice profonda gratitudine verso Charles Dickens:
«Sono grata a Charles Dickens per avere scritto David Copperfield, l’appassionata critica allo Stato che non è in grado di provvedere ai suoi cittadini più fragili e ai dannosi effetti prodotti sull’infanzia da tale situazione. Quei problemi persistono ancora. Nell’adattare il suo romanzo al mio luogo e al mio tempo, lavorando per anni in compagnia della sua indignazione, inventiva ed empatia, sono arrivata a considerarlo il mio amico geniale.»
Sono tanti i parallelismi che si possono fare fra David Copperfield e Demon Copperhead, soprattutto a livello di personaggi. Se, per esempio, Demon è il corrispettivo di David Copperfield – orfano di entrambi i genitori, mandato a lavorare da giovane e verso la fine cronista di quello che ha vissuto per dei giornali locali, anche se Demon diventerà fumettista –, in Nance Peggot, la vicina di casa di Demon, si può riconoscere Clara Peggotty. In Murrell Stone, patrigno di Demon, si riconosce facilmente Edward Murdstone, mentre nell’infermiera June Peggot, in prima linea impegnata contro la dipendenza da ossicodone, Daniel Peggotty, e infine in Angus Winfield e in Dori si possono riconoscere rispettivamente Agnes Wickfield e Dora Spenlow. Questi e altri parallelismi dimostrano come il modello dickensiano sia ancora attuale soprattutto nel raccontare il degrado sociale degli Appalachi e la tragedia dell’ossicodone. Rivolgersi al modello dickensiano significa per Kingsolver ribadire l’importanza politica della letteratura da un lato e dimostrare come certe dinamiche sociali siano rimaste pressoché immutate dall’altro.
Non a caso Kingsolver sceglie come esergo la seguente citazione di David Copperfield: «È inutile ricordare il passato, a meno che non possa influire in qualche modo sul presente». Il progresso industriale e i suoi problemi sociali dell’Inghilterra vittoriana di Dickens riecheggia nel capitalismo e neoliberismo americano, basato sulla prestazione e successo a ogni costo, in cui il dolore va soppresso perché non sono tollerate debolezze e sofferenze. Questo discorso sulla società della prestazione, come direbbe Byung-chul Han si intreccia benissimo con il capitalismo e con l’epidemia di OxyContin:
«Cos’è l’oxy, avevo chiesto. Quel novembre era ancora una cosa nuova di zecca, l’OxyContin, o ossicodone. Un dono di Dio per il disgraziato licenziato depresso con la cervicale e la schiena a pezzi come un sacco di ghiaia. Per la disgraziata ingobbita che fa il doppio turno al Dollar General con le ginocchia scoppiate e i nipoti con Adhd da crescere senza aiuto. Per il giocatore di football che si è rotto tutto quello che si poteva rompere mentre tutti strepitano per rivederlo in campo. Ed ecco la nostra salvezza. Scrollammo l’albero e sí, mangiammo il frutto proibito.»
Non solo, dunque, la questione del neoliberismo, ma anche l’estrema povertà del sud degli Stati Uniti è strettamente intrecciata con l’epidemia di ossicodone. Come nell’esempio già citato della Gabbia dei conigli di Gunty, anche qui Kingsolver ritrae una parte di America povera, fatta di sussidi statali, abbandoni scolastici, famiglie affidatarie, ma anche di lavoro e industrie – Kingsolver fa particolare riferimento alle miniere – che vengono delocalizzate per il semplice fatto, come dice Mr Amstrong, che gli abitanti di quelle zone sono «montanari, incapaci, degenerati, teste deformi» fatte passare per bestie a cui portar via senza problemi «tutto quello che avevamo e lasciarci nella merda». In un posto, dunque, dove «meno della metà delle persone ha un lavoro» è facile promettere la felicità sotto forma di farmaci che creano dipendenza fino a portare alla morte di migliaia di innocenti che spesso lasciano i propri figli orfani.
Dalla stampa e dai media, Lee County non soltanto è considerata «piaga nazionale», «il cane d’America», ma anche «il buco del culo dell’universo delle battute», stereotipi questi che privano i suoi abitanti di una propria voce. Così come David Copperfield è diventato scrittore, Demon diventerà fumettista per capire da dove è partito il tutto, per comprendere come si è visto morire i suoi affetti a poco a poco e a cosa è dovuto il disagio sociale che attanaglia la Lee County. Il protagonista cerca di raccogliere le sue idee, di mettervi ordine raccontando anche le storie degli altri, e arriva alla conclusione che quanto ha vissuto è accaduto perché lo Stato non è stato capace di provvedere agli ultimi, che sono stati privati di qualsiasi opportunità e che hanno trovato in un farmaco mortale l’illusione di un rifugio. Il protagonista trova nel fumetto il linguaggio attraverso cui raccontare tutto, così come Kingsolver trova in Charles Dickens il modo per raccontare gli Appalachi e rendergli giustizia.
Demon Copperhead è la riprova che la letteratura è sempre politica e sempre intrecciata con la nostra storia. La denuncia sociale della Londra vittoriana di Charles Dickens riecheggia nell’America neoliberista e capitalista di Barbara Kingsolver decimata non solo dal progresso industriale, ma anche dall’epidemia di ossicodone. Kingsolver riesce nell’intento di dare una voce ai suoi «cani d’America», a dar loro dignità mettendo in luce come non siano dei predestinati per scelta, ma per volontà di uno Stato e di aziende come la Purdue Pharma che li sfrutta per proprio tornaconto personale e per tenere saldo il proprio potere finanziario e politico. Come ogni eroe dickensiano che si rispetti, Demon Copperhead è colui che dimostra che anche nascendo in un contesto svantaggiato si può trovare una voce e che la scrittura è ancora uno degli strumenti più potenti che abbiamo per fare luce sulle ingiustizie.
Photo credits
Copertina – Great Smoky Mountains National Park. Foto di Wes Hicks su Unsplash