C’era una volta un ragazzino di quattordici anni, sporco e analfabeta, di nome Jiddu Krishnamurti. Il ragazzino viveva in India all’inizio del Novecento e un giorno venne notato da un teosofo inglese. Il teosofo pensò che in Jiddu ci fosse una virtù magica, qualcosa di speciale, e così il ragazzino venne separato dai genitori e mandato a studiare in Inghilterra, a Oxford, affinché diventasse il nuovo profeta mondiale della teosofia. Più tardi, negli anni Venti, Krishnamurti si sposterà in California e la sua predicazione troverà una grande accoglienza, anche grazie all’ascendente che la sua parola e il suo volto fascinoso e aristocratico sapranno esercitare su molte star di Hollywood. Quella del giovane Krishnamurti, scomparso nel 1986, è una delle decine e decine di storie raccontate in Satana a Hollywood, volume dello scrittore e critico cinematografico spagnolo Jesùs Joaquìn Palacios Trigo, autore a partire dagli anni Novanta di libri come Goremanìa, Planeta Zombie, Nosotros los vampiros e Hollywood malditos, nonchè collaboratore di riviste come Fotogramas, Nosferatu e Cinema 2000.
Satana a Hollywood, uscito in Spagna nel lontano 1997 e ora tradotto in Italia da NPE nella collana dei saggi, nacque nel contesto di un risveglio di attenzione verso il cinema di genere e di serie B, che ebbe come conseguenza una riscoperta cinefila, a volte morbosa e a volte divertita, delle vicende più bizzarre, minori e dimenticate del cinema di Hollywood (e non solo). In particolare, il libro torna sulle tracce del rapporto fittissimo tra Hollywood e la California con il satanismo, l’occultismo, l’esoterismo, la magia, le nuove religioni, la new age e l’ufologia. Non si tratta di un saggio, ma di un testo che offre un’esperienza più distensiva e ricreativa rispetto alla lettura di un volume strettamente critico e analitico. Che cos’è Satana a Hollywood lo dice con franchezza nell’introduzione lo stesso Jesùs Palacios: «Questo è un libro di pettegolezzi». Non è certo il primo testo sull’argomento affrontato con questo taglio. Il modello è senz’altro quello offerto dal capostipite del genere, ovvero i due volumi di Hollywood Babilonia (il primo dei due è appena stato ristampato nella Biblioteca Adelphi) del regista Kenneth Anger. Lo stesso Anger non poteva che essere citato in lungo e in largo da Jesùs Palacios. Del resto Anger, oggi ultranovantenne, ha incarnato nella sua stessa vita e nella sua opera quel commercio segreto tra Hollywood e il mondo dell’occulto del quale vengono offerte decine di esempi nelle 250 pagine del libro. Attraverso la sua figura è possibile scendere e salire lungo tronco e rami di un intero albero genealogico.
Nato in California nel 1927, Anger fu prima un bambino prodigio (ebbe un piccolo ruolo, quello di un principino, nel film del 1935 Sogno di una notte di mezza estate e fu pure compagno di Shirley Temple in una scuola di danza) e poi autore di film sui generis, come Inauguration of the pleasure dome (1954) e Scorpio rising (1963), che guardavano a un possibile utilizzo rituale e iniziatico dell’immagine in movimento, mescolando in una sintassi avant-garde riferimenti all’occulto e al satanismo, omoerotismo, omaggi alle icone di Hollywood e suggestioni underground. Eppure la cantante e attrice Marianne Faithfull, che lavorò in un film di Kenneth Anger, non ebbe timore di dichiarare che quella messa in scena dal mitologico Anger non era che una forma kitsch e scandalistica di satanismo, non così distante da quel gotico e variopinto sottobosco cinematografico che in un passato ancora più lontano era stato incarnato da figure come l’attore Bela Lugosi, Morticia della Famiglia Addams e Maila Nurmi, presentatrice fra il 1954 e 1955 di The Vampira Show su una TV di Los Angeles.
Il film a cui aveva preso parte Faithfull era Lucifer Rising – progetto iniziato nel 1966 e arrivato sullo schermo solo nel 1980 dopo numerose traversie – nel cui cast figurava anche Bobby Beausoleil, ex amante di Anger e membro della famigerata Manson Family. Seguendo lo stesso percorso tracciato nel libro, da Bobby Beausoleil si arriva a Charles Manson e da Charles Manson alla strage di Bel Air dell’8 e 9 agosto 1969, dove tra gli altri perse la vita Sharon Tate, bella e giovane moglie del regista Roman Polanski. Giusto un anno prima era uscito nei cinema di tutto il mondo il film di Polanski Rosemary’s Baby, horror drammatico a sfondo satanico, vera e propria opera d’arte, con Mia Farrow e John Cassavetes, per la cui realizzazione Polanski aveva chiesto e ottenuto la consulenza del chiacchieratissimo Anton LaVey, fondatore della Church of Satan, ex domatore di leoni, calvo con pizzetto, sguardo sulfureo, vanitoso, sempre circondato da go-go girls, forse la figura più emblematica di quel satanismo kitsch e scandalistico denunciato da Marianne Faithfull. Rosemarys’ Baby, raccontando il tradimento di una donna tenerissima e ingenua a opera del marito, un giovane attore che vende al diavolo il proprio primogenito in cambio del successo, può essere letto come una disamina del rapporto tra il cinema e il male, il successo e il peccato, l’innocenza e la corruzione. Nello stesso anno dell’uscita di Rosemary’s Baby, i Beatles avevano pubblicato il doppio 33 giri The White Album, dove figuravano, tra le altre, due canzoni: Dear Prudence, scritta durante un ritiro mistico presso l’ashram indiano di Maharishi Maesh Yogi e dedicata a Prudence Farrow, sorella di Mia, ed Helter Skelter, alla quale la Manson Family offrirà omaggio vergando col sangue un grande «Healter Skelter» (sic) sull’anta di un frigorifero nella casa di un’altra coppia di assassinati.
Questo particolare ordito, questo singolo gioco di corrispondenze, è uno dei tanti che possono essere apprezzati leggendo i capitoli di Satana a Hollywood, grazie a una scrittura volutamente scevra da ambizione e profondità, ma giustamente lieve, ironica, coerentemente con quella dichiarazione espressa nell’introduzione: «Questo è un libro di pettegolezzi». Se da una parte l’autore vuole mettere le carte in tavola, dall’altra sembra credere nella forza positiva del pettegolezzo, nella sua capacità creatrice e mitopoietica. Secondo Palacios, anche la storia di Andy Warhol e della Factory può essere letta come una vicenda magica, laddove Warhol traffica con le forze occulte e uccide l’arte in cambio del proprio successo. Gli stessi Rolling Stones, avendo frequentato e collaborato con Kenneth Anger, non sarebbero estranei a un’influenza diabolica.
Satana a Hollywood, che in questa edizione comprende un capitolo sulla Hollywood del Me Too, è un testo che si legge di gusto, specie se si ha l’intelligenza e la generosità necessarie a sospendere l’incredulità. Occorre affidarsi a notizie spesso non verificate, dicerie e racconti gonfiati, grossolani, la cui prima origine è da rintracciare nelle riviste scandalistiche degli anni Cinquanta e Sessanta, come Confidential e National Enquirer. E quindi: viva la stampa scandalistica, viva Hollywood e viva Satana. Del resto, lo dimostra anche un pazzesco capolavoro come Mulholland Drive, appena tornato al cinema dopo il restauro in 4K: per qualche ragione, l’esistenza di un lato oscuro di Hollywood continua a persuaderci e a emozionarci.