Il cinema è un credo, coi suoi luoghi di culto e l’orda di fedeli pronta a invaderli non appena il santo di turno torna sullo schermo o dietro la cinepresa. Quando Hollywood fondò questa nuova religione dal sapore gaimaniano, l’unica cosa che mancava rispetto ai culti antichi era il sangue: il sacrificio. Sacrificio che, nonostante tutto, sarebbe presto arrivato, come Kenneth Anger ci racconta abilmente nel suo Hollywood Babylon, imprescindibile libro cult per ogni cinefilo. Recentemente ristampato da Adelphi, Hollywood Babylon non è che il resoconto ironicamente spietato di tali sacrifici, brillantemente inaugurati dal suicidio della giovane Olive Thomas, che il 10 settembre del 1920 si tolse la vita nella sua stanza dell’Hotel Crillon di Parigi, scoperchiando il patinato e rassicurante mondo dell’industria hollywoodiana per mostrarne ipocrisia e lerciume.
Quasi ogni opera di Kenneth Anger mostra l’ambivalenza emotiva provata dal regista losangelino nei confronti di Hollywood, sistema amato proprio per il suo pantheon di divinità, ma allo stesso tempo disprezzato per la sua mancanza di coraggio. Un coraggio che in parte avrebbe ritrovato, seppur indirettamente, solo grazie ad Anger, che tramite le sue pellicole innescò la scintilla di quello che sul finire degli anni Sessanta sarebbe diventato il Nuovo Cinema Americano. Proprio Martin Scorsese, tra i maggiori rappresentanti della Nuova Hollywood, si dichiarerà debitore di Anger, notandone talento e idiosincrasie durante una proiezione privata di uno dei capolavori del regista:
«Ricordo bene la prima volta che vidi un film di Kenneth Anger. Era il 1964, al loft di Vernon Simmerman a Downtown. Jonas Mekas ci mostrò Scorpio Rising, dopo che questo fu bandito. Tra tutti i suoi film è quello che mi piace di più. Fui impressionato dall’uso ironico che faceva della musica pop e dal suo senso del ritmo. Ero anche affascinato dalla sua ambigua relazione con Hollywood, il suo odio/amore continuamente espresso attraverso l’immaginario hollywoodiano, in un’atmosfera romantica e decadente. C’è una religiosità pagana nei suoi film. I suoi continui riferimenti al mito e al rituale sono ipnotici, un’atmosfera onirica che sembra porre lo spettatore in uno stato di trance.»
Niente di troppo diverso accade in Hollywood Babylon, libro sacro di questo culto chiamato cinema che non trovò, nelle sue numerose stesure, meno difficoltà di qualsiasi altra opera registica di Anger. Una genesi che ha origine nella primissima infanzia, quando invece di essere nutrita dalle fiabe come quella di ogni altro bambino, la fantasia di Anger veniva stimolata dai racconti scabrosi di nonna Bertha o, secondo Bill Landis, biografo non autorizzato del regista, dall’amica di nonna, una comparsa e guardarobiera dei set hollywoodiani di nome Diggy. Bertha e Diggy saranno le prime importantissime figure femminili che influenzeranno la vita di Anger, trasformandolo in un collezionista di cimeli hollywoodiani e di storie più o meno scabrose sulle divinità del cinema.
I segreti di Rodolfo Valentino e di Charlie Chaplin, così come di qualsiasi altra star narrata in Hollywood Babylon, resteranno però semplici racconti con cui divertire gli amici almeno fino alla fine degli anni ’50, quando Anger tornerà nell’amata Parigi alla ricerca di finanziatori per un nuovo progetto: un lungometraggio ispirato a I canti di Maldoror che, come ogni altro suo lungometraggio, non vedrà mai la luce. Anger, a Parigi, c’era però già stato. Ad invitarlo ci aveva pensato Jean Cocteau, che innamorato di Fireworks (1947), opera prima di Anger, lo aveva spinto a raggiungerlo. È in qualche modo grazie a questo primo incontro con Cocteau che Kenneth Anger ha la possibilità di lavorare come archivista alla Cinémathèque française, dove oltre a riscoprire e rimontare tesori quali il Que viva Mexico! di Sergej Eisenstein, stringe un forte legame di amicizia con Henri Langlois, fondatore della Cinémathèque, e Mary Merson, allora co-direttrice. Saranno proprio questi due a spingere Anger a far tesoro del proprio bagaglio culturale, prima suggerendogli di vendere le sue storie nere ai Cahiers du Cinéma, successivamente di raccoglierle in un’antologia.
Influenzato dallo stile narrativo di Aleister Crowley, sua impareggiabile guida spirituale, nonché dall’approccio scandalistico della rivista Confidential di Bob Harrison, Kenneth inizia così a comporre il florilegio di scandali e suicidi che prenderà il nome di Hollywood Babylon e che l’editore Jean Jacques Pauvert manderà alle stampe nel 1959. Non estraneo agli scandali, Pauvert pare la persona perfetta perché, oltre alle opere del Marchese De Sade, ha da pochi anni pubblicato Histoire d’O, di cui Anger tenterà una primissima versione cinematografica destinata a fallire dopo soli 20 minuti di girato. Malgrado le ottime premesse, i guadagni di questa prima versione del libro non sono però sufficienti al sostentamento e Kenneth, sostenuto dall’amico Stan Brakhage, si decide a tornare in patria.
Servirà aspettare sei anni prima che Hollywood Babylon torni nelle librerie, ma ancora una volta, le cose non andranno affatto come sperato. Anger consegna il testo nelle mani dell’astuto quanto lungimirante Marvin Miller, che estromettendo il regista da ogni diritto sulle vendite ne pubblica un’edizione pirata nel 1965, ottenendo un successo straordinario. Al danno si aggiunge la beffa quando lo stesso editore produce un film tratto dall’opera, anche questa volta senza l’autorizzazione del suo autore. Kenneth Anger non solo non vedrà un singolo dollaro, ma dovrà aspettare il 1975 prima che Hollywood Babylon esca nella sua versione ufficiale, con la prorompente Jayne Mansfield che tutt’oggi campeggia in copertina.
Le storie narrate in Hollywood Babylon, che dal muto ci guidano fino agli anni Sessanta, seguono tragedie e vizi di ogni sorta, dall’amore per le “ninfe” quasi bambine di Charlie Chaplin allo sfortunato suicidio di Lupe Velez, dal massacro di Cielo Drive, in cui perse la vita Sharon Tate, allo stupro/omicidio di Virginia Rappe, a causa del quale Roscoe “Fatty” Arbuckle, tra i comici più pagati del tempo, fu sottoposto da alcune major a una vera e propria damnatio memoriae. Da qui la lista si fa lunga, e tra vite infelici e strazianti epiloghi trovano spazio, tra le tante, le sconcertanti vicende legate a Thelma Todd, Judy Garland, Marilyn Monroe e Lana Turner. Da non sottovalutare, vista la natura registica dell’autore, è la componente visiva, poiché il racconto, arricchito da fotografie spesso macabre provenienti dalla personale collezione di Anger, non tradisce il perverso gioco col lettore, abbondantemente foraggiato di immagini shockanti.
È il ritratto di una Los Angeles che da città dei sogni possibili si tramuta nell’inferno dei sogni infranti. Una decadente dedica d’amore a un’età dell’oro ormai finita di cui non resta che la putrescente carcassa. Che la grande Hollywood sia già morta o solo morente, a dire il vero, poco importa, perché quel che il libro ha dimostrato e tuttora dimostra è che attorno a questa carcassa restano vive le iene, e tutti quegli animali saprofagi ben lieti di partecipare al banchetto. Tornando allora alla metafora da cui si è iniziato, Hollywood Babylon restituisce l’altra faccia di Hollywood dandola in pasto ai fedeli seguaci delle star, in un gesto nel quale, a ben guardare, si scorge un che di eucaristico. Una collezione di scandali capace di dimostrare come il cinema si nutra di se stesso e come i fedeli, per sentirsi parte di questo grande culto, debbano in qualche modo cannibalizzarne gli idoli. È ironico pensare che l’opera più famosa di un regista sia in realtà un testo scritto, ma è allo stesso tempo doveroso ammettere che in Hollywood Babylon sono racchiuse tutte le tematiche trattate nei suoi film, dall’ossessione per la morte al morboso amore per l’età d’oro di un cinema ormai in declino, la violenza, il rituale, il sesso. Quel che sembra mancare, in una poetica che vede il cinema come atto magico, è la componente esoterica, che Anger risolve con una citazione di apertura firmata Aleister Crowley: «Every man and every woman is a star».
Doveroso, per concludere, ammettere che, come l’amato Crowley, lo stesso Anger non ha mai disdegnato l’iperbole, e condendo la propria vita di fatti e incontri non sempre verificabili ha allo stesso tempo infarcito le storie dei propri miti con licenze talora discutibili, sfiorando talvolta la diffamazione, talvolta la leggenda metropolitana. Vien da sé che, proprio perché parte della personale mitologia dell’autore, non sempre le storie raccontate in Hollywood Babylon rispecchiano la realtà dei fatti, ma poco importa, poiché come ci insegna Borges, nei libri no va cercata la verità, ma la meraviglia.
In copertina: Kenneth Anger by Floria Sigismondi, Gucci, 2009