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Ezio Sinigaglia, il disordine come metodo

Ricerca stilistica e musicale in «Grave disordine con delitto e fuga»

In un articolo apparso qualche tempo fa, lo scrittore Giorgio Fontana rilevava il generale appiattimento della lingua italiana, osservando come dagli anni Ottanta in poi romanzi e saggi siano scritti in una lingua sempre più sciatta, per nulla letteraria: come se, per una serie di cause che Fontana analizza con una certa lucidità, la lingua italiana avesse perso progressivamente di vitalità. Non sembra poi così lontano da questa analisi Walter Siti, che in una recente intervista dal titolo paradigmatico I romanzi sono finiti afferma che oggi il contenuto tiranneggia sulla forma: si scrivono romanzi senza stile, in cui conta solo il “messaggio”, preferibilmente edificante. 

Non so quanto queste analisi riescano a descrivere lo stato dell’arte letteraria, ma di certo in questo deserto annunciato non mancano delle oasi di felicità; tra queste, non può non essere citato Ezio Sinigaglia, autore sulla cui tarda riscoperta ormai tanto si è scritto e che rappresenta una delle possibilità di godimento letterario oggi a noi concesse.

Grave disordine con delitto e fuga è la più recente pubblicazione tra le opere che erano rimaste ancora inedite dello scrittore milanese. Romanzo breve scritto nel 1994 ed edito da TerraRossa Edizioni quest’anno, ci conduce al centro del disordine più grave di tutti: quello di chi si illude che la propria vita sia ordinata e razionale. Il protagonista della vicenda è l’ingegner De Rossi, giovane rampollo di una ricca famiglia milanese a capo di ben quattordici aziende, il quale si innamora perdutamente di Michelangelo, detto Jimmy, fattorino diciassettenne della Termolux, una delle aziende di De Rossi che delle quattordici non è né la più grande né tantomeno la più redditizia.

Jimmy è dotato di una bellezza assoluta: «una di quelle bellezze che non dipendono da nessuna senza condizione», al punto da guadagnarsi nel corso della narrazione l’epiteto di «magnifico». Questo amore per Jimmy produrrà un disordine nella vita di De Rossi che ha quasi l’aria di un’epifania à la Joyce, di un evento che svela la vera natura di una misera esistenza. Come accadeva per i bersaglieri alla scoperta dei piaceri del sesso nella raccolta di racconti L’amore al fiume dello stesso Sinigaglia – pubblicata un anno fa da Wojtek Edizioniil desiderio erotico dell’ingegnere è dotato di una spinta rivoluzionaria, rappresenta una forza opaca alla quale non si può resistere, in quanto forza animale prima ancora che umana. Come ne L’amore al fiume, lo spazio più proprio di questa potenza non può che essere il bosco, spazio originario e inquietante al tempo stesso, luogo la cui legge non è l’ordine razionale, ma un caotico istinto.

Il corteggiamento ha perciò a che fare con la caccia, che De Rossi sublima in botta e risposta con Jimmy, duelli d’intelligenza che sono anche duetti: l’amore «fisiologico e irresistibile» della prima parte del romanzo ha infatti un sapore operistico, che ricorda Le nozze di Figaro, Il Barbiere di Siviglia o Traviata. L’immediatezza della pulsione erotica possiede qualcosa di intrinsecamente musicale: Jimmy crea infatti intorno a sé «un’impressione di disordine per così dire musicale». La musicalità è rintracciabile nella struttura stessa del romanzo che, come il titolo, è tripartito con sezioni di grandezza progressivamente decrescente, ma con una tensione ritmica che si intensifica: a un’esposizione del disordine con piglio da commedia segue uno sviluppo che accelera nel thriller, per chiudersi in una brusca coda finale quasi puntiforme, la fuga. 

Attraversando questi tre pannelli l’ossessione-tema musicale Jimmy, tarlo nella mente di De Rossi, alligna e si sviluppa: il giovane è infatti «disordine vivente», effettivo movimento che smuove la paralisi ordinata e mortifera della perfetta vita dell’ingegnere. Non a caso del giovane ci viene detto solo il nome – anzi il soprannome – mentre del secondo conosciamo solamente titolo e cognome, peraltro molto comune: se il primo è designato in maniera inequivocabile da un nome che gli dà assoluta concretezza, il secondo risulta essere un individuo stereotipato e anonimo, al netto del cospicuo reddito. Il binomio Jimmy-De Rossi si configura così come una versione degli opposti pieno-vuoto, movimento-quiete, vero-falso. Quello di De Rossi è un mondo senza qualità: egli riduce tutto a grandezze facilmente misurabili e controllabili, esattamente come il suo addetto alla valutazione del personale – il ragionier Beltrami – che utilizza nelle sue schede valutative un linguaggio per abbreviazioni e segni aritmetici: formule pseudo-matematiche in cui tutta l’esistenza di un impiegato è ricondotta alle più semplici operazioni di addizione e sottrazione. Jimmy rappresenta invece l’irrompere della qualità, dei dettagli e delle nuances; lo stesso Beltrami sarà obbligato a scrivere la sua scheda valutativa in una prosa dettagliata: il carisma del magnifico “sfonda” così le griglie aziendali, invitando alla letteratura anche il più grigio degli impiegati. Il giovane sconvolge persino la percezione del tempo: da mera misura del vorticoso movimento verso il profitto, esso acquisisce gravità e diventa per l’ingegner De Rossi il tempo pesante del desiderio e dell’attesa, teso verso qualcosa di cui si ignora l’esito

La bellezza di Jimmy non scuote semplicemente l’ordine aziendale, ma anche quello più generale della società precostituita in ruoli. Essa genera un assurdo cortocircuito: un ricco industriale messo nella condizione di bisogno nei confronti dell’ultimo ingranaggio dell’ultima ruota del grande carro dell’impresa. La critica ai ruoli è ricorrente nell’opera di Sinigaglia, che qui definisce ironicamente la posizione sociale una «rarissima patologia ereditaria», così come nell’autobiografico Sillabario all’incontrario vedeva nei ruoli una insopportabile «finzione teatrale» che sclerotizza il movimento della vita. 

Se i ruoli esistono per fare ordine, Sinigaglia crea sistematicamente disordine e asimmetrie, veri motori dei suoi dialoghi: come a dire che in assenza di uno scarto linguistico o di consapevolezza tra i personaggi il dialogo è impossibile. Se nell’Amore al fiume l’asimmetria era linguistico-geografica, con personaggi che parlavano lingue diverse (l’italiano e altri dialetti), in Grave disordine essa sembra essere invece specificatamente sociale, con una dialettica servo-padrone che dona alla vicenda un risvolto politico tanto potente quanto inaspettato per un autore in apparenza molto distaccato. È dunque il disordine il metodo di lavoro di Sinigaglia (se di metodo si può parlare); e qui torniamo forse al punto da cui siamo partiti, poiché è proprio questo disordine a vivificare la sua lingua e a renderla letteraria. Essa è come la bellezza di Jimmy: elegante ma mai astratta, concreta ma mai volgare. Ciò è dovuto al fatto che questo autore possiede la rara dote dello stile – la cui mancanza Siti e Fontana lamentano – ovvero di quel punto di incontro tra una voce e la materia che si è scelto di raccontare. Attraverso un “orecchio assoluto” per la lingua, Sinigaglia riesce a ricreare la sinuosità e l’erotismo “fonico” dell’oralità (le sue pagine andrebbero lette ad alta voce), dando l’impressione che le parole si creino davanti ai nostri occhi, o meglio, alle nostre orecchie. Grazie al loro stile (anzi, ai loro stili) i libri di Sinigaglia – inattuali, fuori da ogni appartenenza o circuito letterario – divengono modi di muovere la realtà per osservarne le geometrie inedite e per accompagnare chi legge sul limitare di un luogo disordinato e fertilissimo: la letteratura.

Immagine di copertina di urbanfile
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