Al Bar della Gioventù – tipico bar dello sport di un paesino fittizio della provincia siciliana, Castelverde del Golgota – il piccolo Tonino per la prima volta mette da parte l’amata Gazzetta dello Sport e prende tra le mani il Giornale della Sicilia: il problema è che le uniche notizie che si leggono riguardano quel benedetto attentato che il 13 maggio del 1981 colpì Papa Wojtyla. Eppure, Tonino spera di leggerci altro.
«Io quella mattina volevo il Giornale di Sicilia, perché sapevo che lo stampavano a Palermo e che ogni giorno c’erano scritte tutte le cose che succedevano a Palermo. E mia madre era morta a Palermo».
Non può un evento così terribile, così definitivo essere neppure menzionato; finanche il funerale di sua madre, che si è svolto solo il giorno prima, si è dovuto piegare alla generale indifferenza altrui. All’età di soli sette anni, Tonino fa la prima grande scoperta della sua vita: che il dolore personale, per quanto insormontabile sembri, è appunto personale. Già nessuno si interessa più a quella morte.
Inizia così L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi, il convincente esordio dello scrittore Giovanni di Marco per Baldini+Castoldi. La fine del primo grande ideale infantile – una famiglia che più o meno amorevolmente vive sotto lo stesso tetto – deve già prestare il fianco a un altro cambiamento, il trasferimento dalla casa propria, luogo di affetti e protezione, a quella della zia Nunzia. Il padre di Tonino ha ben più importanti incombenze, occuparsi degli altri due figli, più bisognosi di attenzioni e cura. Sta iniziando per Tonino una nuova (e mai desiderata) era. Alla claustrofobica vita di provincia subentra l’ancor più asfissiante vita del quartiere San Francesco («una strada lunga lunga e ripida»), stretto persino nella stessa conformazione geografica. L’unico spiraglio è una vicina di casa, bella, giovane, spensierata e, soprattutto, materna. E così, tra la scuola, la chiesa, le partite di pallone e il tifo per la Juventus, senza tralasciare le capatine al Bar della Gioventù, il grosso fantasma della morte non scompare ma si piega alla forza delle abitudini: sono i primi anni Ottanta, la malattia del calcio imperversa (come dimenticare la vittoria dei mondiali dell’82?), anche del Papa diminuiscono gli spazi sui giornali.
Eppure la vita è capace di riservare qualcosa di peggiore. Come possa riprendersi veramente un bambino dalla perdita di un genitore è forse un quesito cui neppure l’essere umano più presuntuoso preferirebbe rispondere. Ma come si possa sopravvivere a un prolungato abuso sessuale da parte di una delle figure che più si ritenevano care e intoccabili è ancor più inimmaginabile. Non è, quella di Di Marco, un’ostinata ricerca della sofferenza, né una particolare predilezione per l’ormai abusata pornografia del dolore: è, purtroppo, la cronaca di una sudicia medaglia al petto del Paese, una macchia che per decenni ha afflitto e affligge la storia della Chiesa, compromettendola per sempre. Quanto capiterà a Tonino tra queste pagine, per quanto tremendo, sarà sempre filtrato da uno sguardo amorevole, da una delicatezza che non vuole sostare nei dettagli ma che guarda piuttosto alle implicazioni: cosa voglia dire attraversare un trauma e in qualche modo uscirne, sbilenchi, orfani di una parte irrecuperabile di sé stessi.
Se l’unica forma di vita possibile, dopo un accadimento del genere, è la sopravvivenza, gli unici strumenti di cui Tonino dispone sono la rabbia e una profonda avversione per il prossimo, che si riversa su cose e persone indistintamente: è una continua lotta, un tentativo di riappropriazione di senso, una forma di riscrittura della propria persona. Prima un bambino orfano, poi un bambino abusato: cos’altro ancora deve marchiarlo? E allora è preferibile diventare gli autori del proprio destino, inimicarsi tutti prima di essere vittima per l’ennesima volta. Il senso di colpa si mischia al desiderio di riscatto: è un sapore dolceamaro, quello di Tonino. Dovrà fare i conti con una nuova forma di sopravvivenza, pecora in mezzo ai leoni o finalmente predatore. Ma è pur sempre un’inconsapevole presa di coscienza, la sua, e in quanto tale è costellata di errori, strafalcioni, scelte da cui non è possibile tornare indietro; in questa mancata consapevolezza, figlia della giovanissima età ma anche di una ostinazione al male e al dolore, risiede il cuore del protagonista e dell’intero libro.
In copertina, vittoria dell’Italia ai Mondiali 1982 (credits Ansa)