Search
Close this search box.

Dalla parte di Chiara, una, nessuna e centomila

Il volume di Paolo Landi e Marco Montanaro in difesa di Nostra Signora di Instagram, sospesa tra odio e amore incondizionato

Dalla parte di Chiara (Krill Books) è un saggio a difesa della nostra influencer nazionale a firma di Paolo Landi – sociologo della comunicazione – e Marco Montanaro – scrittore e consulente di comunicazione -, un libro multi-genere (saggio, romanzo distopico, racconto, almanacco) che, nello schierarsi dalla parte di Chiara contro il moralismo italiano secondo cui «chi ha successo, deve essere punito», permette a noi umani di scoprire molte cose. Prima di tutto che la Ferragni ha superato, con il suo modello di business, l’alienazione del capitalismo marxiano, avendo dissolto nella convergenza di vita reale in virtuale, lo iato tra vita lavorativa e vita vissuta, divenuti la stessa cosa (mi viene il sospetto che pure i calciatori avessero risolto da tempo questo iato, vivendo giocando, anche se no, a loro, prima o poi, tocca correre). Che dei pandori con gli occhioni cigliati – quelli del Balocco gate – sono stati mandati al macero 144.000 mila euro di giacenze. Che, da noi, la giustizia (quella morale) funziona benissimo e si compie attraverso una specie di inquisizione dei consumi che protegge gli acquirenti dalle seduzioni del male. Che nel 1987, anno di nascita di Nostra Signora di Instagram, è nato pure Djokovic che però sembra suo nonno, perché da tanto, troppo, tempo fatica per essere il numero uno sul campo, mentre questo non accade per Chiara, che è la numero uno in un iperuranio privo di gravità e della pesantezza che la gravità impone. Che, se vai in Puglia, è meglio commentare qualsiasi cosa con il rafforzativo “super” col risultato di non dire niente, cosa coerente con la tesi difensiva per cui (vedi capitolo Essere Chiara) a lei non si chiede di significare qualcosa, solo di essere se stessa e di mostrarlo. La si ama perché è. Punto.

Chiara e il Capitalismo

Come accennato, Chiara ha superato – con la sua economia iper-liberista che prevede che sia lei stessa imprenditrice e “operaia” – l’alienazione prodotta dal lavoro (e dal suo sfruttamento da parte di terzi) sulla vita. E, nel farlo, ha eliminato il trattino dal dilemma del work-life balance che vessa i più, vivendo una totalizzante worklife, una vita che, opportunamente rappresentata, offre a pubblico (e investitori) intrattenimento, ispirazione, aspirazione, vetrina, product placement, nella più trasparente autenticità priva di trucco-parrucco, palestra, piagnistei e malinconie.
Uno dei capitoli più interessanti e ricchi di spunti del libro riguarda proprio la polverizzazione di concetti economici tradizionali a opera di Ferragni: fine del lavoro tradizionalmente inteso, fine del concetto di plusvalore, fine del rapporto di proprietà, estinzione del materialismo a favore di un concetto di ricchezza inedito, che non risiede nelle cose possedute, ma nell’ottenere la migliore delle vite possibili, fine del lavoro come sacrificio e avvento del lavoro come divertimento (esemplificato in quel #Ilovemyjob che personalmente ho sempre detestato) in una pace social (cito dal libro, esempio di tante belle trovate linguistiche interpretative) dove tutti sono felicissimi del proprio mestiere. La catena di implicazioni legate ai singoli concetti è aperta e offre molti take aways, come si dice nella manualistica di apprendimento: idee da portare con sé, per rileggere la realtà o anche solo per dire la propria in una conversazione su Ferragni, essendo più consapevoli che sì, le si chiede solo di essere, ma “essendo” Ferragni ha anche preso a spallate il sistema capitalistico.

chiara ferragni

Si può dare di più

E poi c’è il Pandoro dalle ciglia lunghe. La beneficienza, la pubblicità ingannevole e tutto il polverone sollevato dal caso su cui potrete finalmente intervenire con una tesi circostanziata. Altro motivo valido per cui dovreste leggere questo libro: finalmente, al capitolo cinque, troverete una spiegazione dettagliata del meccanismo con cui funzionano le operazioni di beneficienza, sul modello del quale è stata fatta anche quella del Balocco-gate. In sostanza l’accordo commerciale prevede il versamento preventivo di una somma all’ente beneficiario, in modo da assicurare allo stesso un’entrata sicura nella malaugurata ipotesi che di quel prodotto non se ne venda neanche uno. In sostanza la beneficienza è già fatta ed è vero che se compri quel prodotto contribuisci alla causa perché senza quel prodotto non sarebbe esistita la preventiva donazione, ma è anche vero che non è parte della tua spesa a confluire direttamente nelle casse di chi riceve.
Ora, spero di non essere tacciata di oscurantismo (nel senso di essere contro-chiara) se mi permetto di dire che dover inferire l’avvenuta donazione dalla formulazione della pubblicità non mi pare proprio automatico. E che poi il “grosso” delle donazioni si potesse “ritenere” da liquidare post vendita (o acquisto) da parte dei consumatori mi pare in egual modo naturale: la ragione dell’ingaggio di una persona tanto popolare è far vendere di più e, questo – così avrei capito anche io, vedendo gli occhioni-logo – per far incassare di più i brand coinvolti e permettere, come conseguenza, di “dare di più”. Invece no. Invece il 20% dei pandori sono rimasti invenduti e 144.000 euro di giacenze incenerite, quasi tre volte il valore della donazione fatta. L’esito fallimentare dell’operazione mi pare la vera notizia, passata sottotraccia, e forse il vero motivo per cui altri brand hanno deciso di terminare le loro collaborazioni. Non tanto il moralismo, lo scandalo, ma la poca conversione in soldoni.

chiara ferragni

Quale realtà?

Dalla parte di Chiara offre cambi di registro che colgono impreparato il lettore, come quello del capitolo dieci (Chiara si accorse di precipitare una mattina): di punto in bianco affondi in un gorgo di esodo di followers che neanche i video con il gatto Nuvola riescono a contenere e avverti l’adrenalina del “tutto è perduto”, ma mentre gli IT manager cercano di tamponare – non riuscendo a capirci niente – tu invece inizi a capire che non si tratta di quella Chiara, ma di un personaggio di fantasia che assiste alla contrazione del suo universo, per averlo privato – nell’estensione progressiva dei contenuti postati – del colpo di scena che serve a provocare l’emozione che nutre il suo pubblico (vi avevo detto che quella digitale è anche definita “economia emotiva”? Sempre al capitolo quattro). Cosa fare? Non resta che la migrazione inter-mediale, spostarsi su un nuovo pianeta di cui però non si conoscono le leggi, popolati da inquietanti figure che emettono messaggi incomprensibili.

Il libro offre scenari apocalittici e scenari familiari, come quello del capitolo undici (Mia madre sorride) in cui il narratore dialoga con la madre e le chiede perché non le piaccia Chiara Ferragni, e la signora non sa esattamente motivare il perché (in effetti neanche chi la ama e chi la odia sa perché, sa solo che la ama o la detesta, le posizioni – pur agli antipodi – sono equivalenti e facilmente interscambiabili) ma nella sua indifferenza prevale un certo occhio affezionato al vecchio mondo, dove sui social interessa vedere le vite degli altri, ma solo se hanno un legame affettivo con la propria, perché si possa mantenere un contatto virtuoso e virtuale, una volta che il destino ci abbia allontanato da persone care.
E poi c’è la realtà catodica, quella dell’intervista di Fazio post affaire Balocco e a separazione da Fedez avvenuta, che un po’ mischia entrambe le realtà di cui sopra: è familiare ma straniante, è nazional-popolare ma snob (il riferimento continuo a Oppenheimer fatto da Fazio che cerca di far notare, ripetendolo, quanto è calzante e moderno il paragone è la misura della sua simpatia). Il mezzo è il messaggio e in quel mezzo il messaggio-Chiara non è convincente, le si addice più la bidimensionalità delle immagini fisse, un po’ come un personaggio delle Anime o come i Peanuts che quando vedi Snoopy a 3D ti fa un po’ impressione, perde forza e forse anche ironia.
Chiara perde quell’Aura che invece le permette di illuminare quel che la circonda e portarlo in primo piano, lei è come Re Mida, ma invece di trasformare in oro ciò che tocca, dà visibilità e luce a ciò che inquadra nelle sue foto: e che si tratti di un affresco o di una borsa non c’è differenza, per entrambi non è richiesta conoscenza, solo presenza.
Ma costruire quel tipo di “presenza” vivendo tutti i giorni la propria impresa ego-centrica e milionaria, è opera riuscita solo a lei. Sospendendo l’emotività di cui Chiara Ferragni è circonfusa, da questo saggio-libro-specchio del nostro mondo porterete con voi questa non ovvia conclusione.

categorie
menu