«e non è come in un porno,
porco mondo, è molto meglio»Giubottino, Margherita Vicario
Mi faccio domande sul sesso e sugli amplessi da molto tempo, da quando ho coscienza del mio corpo come spazio erotico. Ho iniziato presto con il chiedermi di cosa parliamo quando parliamo di “sesso”, di “rapporto sessuale”. Quando inizia? Dove va a finire? Cosa sta nel mezzo? Quante e quali sono le traiettorie possibili? A queste domande ho provato a rispondere da solo. La risposta è scritta nel corpo – «ognuno ha il suo corpo a cui sa cosa chiedere» cantava Nannini, no? – ma a volte il corpo non basta. La mancanza di riscontro effettivo alimenta la convinzione di essere inadatti, fuori luogo, abietti.
Poi tutto è cambiato.
All’inizio dello scorso anno, la casa editrice Fandango ha pubblicato il Manifesto Controsessuale di Paul B. Preciado (traduzione di Liana Borghi). Un saggio filosofico complessissimo, affastellato di citazioni spesso indecifrabili e arricchito di un preziosismo linguistico psichedelico. Un testo potente, illuminato, luminoso e dissidente. Nell’architettura della nostra sessualità – stereotipata, binaria e parziale – la voce di Preciado è una bomba a orologeria. Manda all’aria ogni equilibrio, scardina certezze, scoperchia tabù, cattive convinzioni e stigmi. Rade al suolo e ricostruisce. La stessa potenza corrosiva la troviamo anche in Club Godo. Una cartografia del piacere, un albo illustrato pubblicato per la casa editrice L’ippocampo a firma di Jüne Plã (traduzione a cura di Maura Parolini e Matteo Cartoni). Il piglio sedizioso è lo stesso, ma il testo di Plã ha il valore aggiunto dell’immediatezza. Club Godo è estremamente pop e riesce a comunicare a tutti, è trasparente, pragmatico. La sua autrice al citazionismo colto preferisce la subitaneità del disegno, l’impudicizia di illustrazioni che costituiscono una vera e propria guida al piacere sessuale che prescinde dalla penetrazione.
Andiamo per gradi. Il presupposto di partenza di Preciado e Plã è lo stesso: i nostri rapporti sessuali sono sempre uguali, meccanici, binari e profondamente eteronormativi. Gli amplessi, proprio come i generi sessuali, sono una costruzione sociale. Come le lingue, sono sistemi codificati. Per raggiungere gli orgasmi ci siamo abituati al monolinguismo sessuale. Parliamo tutti lo stesso idioma: una lingua che è figlia del meccanicismo eteropatriarcale capitalista. A partire dalle logiche economico-politiche o, in altri casi, religiose che abbiamo introiettato, i nostri corpi e i nostri genitali sono diventati ingranaggi di una catena di montaggio fordista. Il sesso deve simulare la procreazione o non è sesso. Non importa se l’atto riproduttivo è indesiderato, impossibile o impossibilitato, l’unico sesso che sembriamo conoscere è quello penetrativo, dicotomico. In quest’ottica, il sesso orale, la masturbazione, il petting e qualsiasi altra pratica non penetrativa divengono fasi preparatorie. Una prefazione al sesso, ma non l’atto stesso. Secondo la stessa logica, poi, lo spazio del piacere è limitato ai soli genitali. Tutto ruota intorno a un pene eretto e alla sua facoltà di inserirsi in una vagina o in un ano. Questa convinzione oltre a essere eteronormativa, è anche preoccupantemente abilista. La penetrazione prevede che almeno una delle due (o più) parti in causa sia dotata di genitali maschili e che questi siano perfettamente erettili. Questa concezione della sessualità esclude di fatto i corpi lesbici, i corpi con disabilità o patologie – vedi la dispaneuria – i corpi intersessuali, alcuni corpi queer.
Questo fallocentrismo limitante e discriminatorio è esacerbato e legittimato da una narrazione pornografica tossica. Nel porno mainstream siamo soliti vedere amplessi eterosessuali o eteronormativi – penetrante da un lato e penetrato/a dall’altro – con corpi irrealistici e straordinari. Il sesso è sempre indolore, inodore, asettico, comincia con il petting e termina con un’eiaculazione evidente e abbondante. I corpi sono cisgender, abili, quasi esclusivamente bianchi – i corpi neri, quando ci sono, sono un feticcio nato dal razzismo e dal colonialismo – magri (ma mai troppo) e perfettamente in forma. I genitali sono glabri, mai patologici e sempre eccezionalmente performanti. La pornografia e la sessualità sono spesso offensive e parziali. Come Plã e Preciado mi rifiuto di pensare che un cunnilingus rappresenti soltanto una parentesi introduttiva all’amplesso, un cunnilingus non deve per forza precedere qualcosa. La sessualità è plurale, è complessa, ha potenzialità infinite disseminate sull’intera superficie del nostro corpo. Il piacere, infatti, non risiede soltanto nei genitali, che andrebbero anzi desessualizzati per favorire l’erotizzazione di ogni altro membro corporeo. Per farlo dovremmo, però, conoscere nel profondo i nostri corpi e quelli altrui, dovremmo averne rispetto incondizionato, ma, al contrario di quello che pensiamo, noi dei corpi non sappiamo niente. Del sesso non sappiamo niente. In questo senso, il manifesto di Preciado e la cartografia di Plã assumono un ruolo ancora più decisivo, perché illustrano una sessualità inesplorata, mostrano pratiche alternative, spingono a ripensarsi. Il testo dell’illustratrice francese è un vero e proprio almanacco grafico e narra con ironia e autoironia un nuovo erotismo, che esula dalla penetrazione, dal desiderio incallito di raggiungere l’orgasmo. Plã disegna vulve, testicoli e dicklit, racconta di period sex, di malattie sessualmente trasmissibili e contraccezione, illustra la moltitudine delle anatomie e le infinite possibilità del piacere. June Plã non dimentica nessuno; il suo linguaggio è femminista, intersezionale, inclusivo di ogni orientamento e identità. Club Godo riesce a sfatare qualsiasi tabù, decostruendo le dinamiche tradizionali dei rapporti sessuali, elargisce consigli su come masturbarsi e masturbare, leccare, muovere, muoversi e lubrificare. Se le pratiche illustrate in questo testo sono nuove, ma comunque riconoscibili, quelle offerte da Preciado vanno intese in senso provocatorio, dissacrante e iperbolico (ma forse non troppo). La sua società controsessuale rifiuta le meccaniche erotiche più classiche prediligendo quelle indicibili del BDSM – il fist fucking per esempio – e, come Plã, l’autore spodesta peni e vagine del loro ruolo centrale. Le chiama “pratiche di inversione controsessuale” e tra queste ce ne sono alcune che prevedono la masturbazione del braccio e la trasformazione di un capo rasato in un simil-glande capace di condurre a un godimento inesauribile. Le pratiche ‘invertite’ e ‘sodomite’ del filosofo francese sono pseudo-performance di body art – si veda l’Ano Solare di Ron Athey – che servono a provocare, a spostare lo sguardo, a scollarsi da convinzioni e retaggi invalidanti.
Ripensare la sessualità significa ripensare necessariamente anche i genitali, che godono, come si è già detto, di un trattamento privilegiato rispetto ad altre zone dei nostri corpi. Nel Club Godo e nella società controsessuale tutto si fa genitale. Ogni luogo del corpo è un possibile orifizio, una soglia ingressiva, un principio di concavità. Di rimando, qualsiasi superficie anatomica può essere trasmutata in organo penetrante. Tutto si fa potenzialmente dildo. La nostra concezione genitale, inoltre, è ancora figlia di logiche binarie, ma i corpi della nostra contemporaneità sfuggono sovente dal binarismo, scivolano dalle maglie del genere. Come le nostre identità, anche i nostri sessi sono fluidi. Le operazioni chirurgiche di riassegnazione di genere, per esempio, giovano proprio di questa fluidità intrinseca: i peni vengono svuotati e rivoltati per ricostruire una vagina, mentre il genitale maschile si ottiene proprio a partire dalla clitoride. Considerando questa riscoperta fluidità e che, in potentia, niente è genitale e tutto è genitale, è arrivato il momento di rivedere i nostri corpi, di dar loro una forma nuova, finalmente lontana dai dettami di un eteropatriarcato capitalista e alienante. Se la nostra sessualità è un sistema linguistico, noi possiamo riscriverne l’alfabeto, disciplinare grammatiche, morfologie e semantiche nuove. Possiamo scoprire e mettere in atto un erotismo inclusivo, gioioso e sperimentale, che prescinde dall’atto penetrativo e dal falso mito del coito. Il sesso, prima ancora di essere orgasmo e tentata riproduzione, è sperimentazione affettiva, fisica, è un esercizio di libertà. Con questo non intendo dire che l’atto penetrativo sia da rigettare e che l’orgasmo sia indesiderabile. Queste esperienze – lo sappiamo – possono anzi essere liberatorie, appaganti e inesauribilmente piacevoli, ma dovremmo allontanarci dall’idea che esse rappresentino il fine unico, le sole modalità del piacere. Come in un’utopistica società controsessuale, dovremmo decostruire la logica che tende a naturalizzare alcuni amplessi a scapito di altri, che sono invece marginalizzati. Dovremmo cominciare a intendere il sesso come pluralità, come coesistenza di esperienze differenti, soggettive, personali e, per questo, ingiudicabili. Il sesso può essere una scelta politica, ha a che fare con la libertà e noi dovremmo sfruttarne il potenziale anarchico per fare dei nostri amplessi pratiche femministe, oneste e rispettose.
Photo Credits
Copertina a cura di Dolce Porno
Ritratto di Jüne Plã: Felix Ledru