Scrittore, regista, drammaturgo, pittore. Clive Barker è un artista completo, dalla creatività inesauribile. La sua carriera conta quasi quarant’anni di attività, un percorso artistico iniziato con le drammaturgie teatrali e poi proseguito innumerevoli romanzi e racconti. Sono state proprio le storie brevi, raccolte successivamente nei famigerati Libri di sangue a metà degli anni Ottanta, a far esplodere la popolarità dell’autore britannico, racconti che hanno mostrato al mondo un talento letterario sopraffino e una nuova voce in grado di rivoluzionare e riscrivere il genere horror, proprio come fece Stephen King e, molti anni prima, Howard Philip Lovecraft.
L’estetica che lo scrittore è riuscito a creare nelle sue pagine, mondi che successivamente ha adattato magistralmente nei film da lui diretti, ha lasciato un segno indelebile nell’immaginario dei lettori e degli spettatori. Oggi finalmente, dopo aver ristampato l’intera collezione de I libri di sangue, Fanucci, casa editrice importante e con un occhio di riguardo nei confronti del genere, ripropone un’altra saga barkeriana, forse meno conosciuta rispetto a racconti come Macelleria mobile di mezzanotte o Hellraiser, ma non per questo meno importante all’interno della bibliografia del maestro di Liverpool.
Abarat è un’opera che eleva ulteriormente non soltanto il talento immaginifico di questo autore – già ampiamente dimostrato nei romanzi, nei quadri e nei film – ma soprattutto, mette a fuoco la sua capacità di parlare a un pubblico di diversa tipologia. Questa saga, infatti, si allontana da alcuni tratti poetici che hanno sempre caratterizzato l’opera di Barker. Elementi cardine che hanno plasmato i romanzi precedenti come la ricerca del dolore per raggiungere il piacere, la cattiveria che alberga in ognuno di noi e che può esplodere da un momento all’altro, e non ultimo, il fascino per i mostri che spesso si dimostrano migliori degli umani (concetto sviscerato ampiamente in Cabal, libro e film) qui assumono una valenza minore.
In Abarat i confini non sono sfumati ma estremamente precisi: il fulcro dei tre libri è infatti la lotta tra il bene e il male, un concetto archetipico, certo, che però non smetterà mai di sedurre ed emozionare tutti noi.
Il fantastico e il fantasy, generi che spesso vengono associati ma che contengono al loro interno nette distinzioni, erano già stati esplorati da Barker in un’opera sontuosa come Imajica, capolavoro di metà anni Novanta e purtroppo oggi fuori catalogo, ma la voglia dell’autore di rielaborare il fantastico, contaminarlo con il gotico e con gli immancabili risvolti filosofici – concetti chiave in ogni sua storia – in Abarat emerge prepotentemente.
La protagonista di questa storia è Candy Quackenbush, una ragazza americana che abita a Chickentown, una cittadina nell’entroterra statunitense dove accade poco e nulla. Candy sa che c’è qualcosa oltre quella contea, ma non sa come raggiungerlo. Sarà il fantastico a squarciare la sua quotidianità catapultandola in un altro universo: Abarat per l’appunto, un fantastico arcipelago composto da venticinque isole popolate da esseri straordinari, dove il tempo scorre in maniera diversa, poiché ogni isola è legata a un’ora differente del giorno per come lo conosciamo noi.
In un susseguirsi di dimensioni, di incontri con creature demoniache e angeliche, e meravigliosi luoghi capaci di stravolgere ogni ambizione architettonica umana, Candy intraprenderà un viaggio che la porterà a combattere l’oscurità e a ribaltare il suo destino.
I tre capitoli di Abarat – Il primo libro delle ore, Giorni di magia notti di guerra e Assoluta mezzanotte – conquisteranno i giovani che ancora non conoscono il genio di Clive Barker. Potrebbe essere un’ottima lettura da proporre a una classe di adolescenti desiderosi di imbarcarsi in una magica impresa, lontana dal grigiore e dalla monotonia delle aule di scuola.
In un mondo sempre più sconvolto dalle guerre e dai giochi di potere tra governanti, il fantastico non rappresenta solo un mezzo di pura evasione dalle bruttezze del mondo, ma uno strumento attraverso cui andare lontano e guardare la nostra contemporaneità per poterla analizzare e forse, riuscire a capirla un po’ di più.
In copertina: Clive Barker, Abarat, 2002