Un saggio che si struttura come un’inchiesta e ci permette di rileggere i grandi classici della letteratura ottocentesca in un’ottica attualizzante. Edito per la prima volta nel 1974 e pubblicato su una rivista letteraria, Per la critica, diretta da Gianni Scalia, oggi si configura come una risposta alle serpeggianti inquietudini del nostro presente che vede il femminicidio – e il suo doppio, la violenza di genere – al centro delle cronache.
«Chi ha ucciso Anna Karenina?» Davanti a questa domanda posta nel titolo, viene da chiedersi: abbiamo mai riconosciuto il problema? O meglio, abbiamo mai avuto il coraggio di riconoscerlo nella sua realtà effettiva?
Le maggiori eroine letterarie – personagge che hanno coniato e delineato un vero e proprio ideale di donna – sono condannate a un tragico destino di morte.
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Cosa accomuna Anna Karenina di Tolstoj, Madame Bovary di Flaubert e Hedda Gabler di Ibsen? Sono tutte vittime; ciascuna di loro, senza distinzione, sceglie la via del suicidio come strumento di liberazione personale. La loro morte, tuttavia, non è casuale né tantomeno necessaria alla narrazione, anzi, si configura come la reazione a una cultura dominante che soffoca e imprigiona, di stampo patriarcale. Questa la tesi principale del saggio di Nadia Fusini Chi ha ucciso Anna Karenina? Inchiesta sugli omicidi bianchi nei romanzi dell’Ottocento (minimum fax, 2024) che getta una prospettiva nuova sulla storia letteraria. Le grandi eroine della letteratura sono infatti donne scritte e narrate da uomini; «Madame Bovary c’est moi», «Madame Bovary sono io», affermava Gustave Flaubert per assolversi da un processo per oltraggio alla moralità pubblica e al buoncostume. Per scrivere la sua opera “scandalosa” sottoposta a censura, che per la prima volta avrebbe posto la riflessione narratologica al centro di un processo giudiziario, Flaubert si ispirò a un reale fatto di cronaca avvenuto nella provincia di Ry, in Normandia: la morte di Delphine Delamare. La letteratura, dunque, si mescolava alla realtà umana facendosi portavoce di un’urgenza che scorreva silenziosa, ma ribollente, sottotraccia alla vita quotidiana. Con la morte di Delamare – e anche della Bovary letteraria di Flaubert – veniva messo in discussione l’assetto ideologico di una società in apparenza perfettamente equilibrata, ma in verità sempre più instabile.
La donna, nota Fusini – che nella sua analisi si concentra soprattutto sul capolavoro di Tolstoj, Anna Karenina – diventa il perno della rivolta, della contestazione a un ordine vigente che rivela le sue prime incrinature. Con l’acume da critica letteraria che la contraddistingue, l’autrice osserva che il compito della letteratura è «sconvolgere» e dunque «far risuonare ragioni che non hanno ancora trovato riconoscimento da parte dell’ordine costituito», motivo per cui l’eroe del romanzo sarà il deviante, ovvero il rappresentante di un’istanza sociale oppressa: nell’Ottocento – e forse ancora oggi – quel ruolo spettava alle donne, il cui sguardo permetteva di riscrivere la realtà gettando su di essa una nuova luce.
In tal modo l’indagine letteraria – che analizza i motivi per cui le donne diventano protagoniste della grande letteratura – si trasfigura presto in indagine politica e sociale: cosa viene messo in discussione in tutti questi romanzi? Innanzitutto la famiglia come nucleo fondante della società, in quanto il matrimonio viene svincolato per la prima volta dalla sua funzione classica di lieto fine e mostrato come una prigione o, se non altro, come una condizione di infelicità che soffoca la libertà della donna. Anna Karenina, Emma Bovary, Hedda Gabler e Nora di Ibsen sono tutte eroine protofemministe, poiché hanno il coraggio di anteporre la propria felicità all’ordine sociale costituito.
La loro morte, osserva Nadia Fusini compiendo una sorta di moderna analisi true crime in chiave femminista, è una conseguenza diretta della loro ribellione, motivo per cui non possiamo archiviare i loro decessi come semplici suicidi; sono in realtà omicidi bianchi (non percepiti come tali perché è assente un responsabile diretto), dunque un prodotto sociale prima ancora che letterario.
I veri aguzzini di queste donne sono i loro padri, amanti, mariti, coloro che hanno limitato la loro libertà nella bolla ristretta e asfissiante stabilita dalla legge patriarcale. È questa limitazione – in parte inconsapevole, perché retaggio di un sistema culturale – il vero assassinio. La morte di queste personagge – badate bene, tutte donne narrate dal punto di vista di un uomo – è il prezzo da pagare per la loro libertà; un altro finale, all’epoca, non era previsto né prevedibile. Seguendo il filo di questa riflessione, secondo Nadia Fusini, il suicidio di Anna Karenina apre la strada al femminismo moderno: Anna muore perché non ha scelta, perché improvvisamente si rende conto che matrimonio e adulterio sono due facce della stessa medaglia, entrambi presuppongono un ruolo di dipendenza e ingabbiano la sua identità. La morte di Anna, nella visione di Tolstoj, doveva presupporre anche una sorta di legge morale: l’uomo adultero si salva, rimane impunito; la donna no.
Ecco dunque che tutti questi testi, divenuti non a caso dei classici della letteratura, pongono un problema pulsante che oggi si delinea di stretta attualità: la libertà della donna. Mentre assistiamo al drammatico aumento dei casi di femminicidio, ormai all’ordine del giorno, veniamo chiamati a confrontarci con uno schema cause-conseguenze a tratti sconcertante: queste donne vengono uccise perché libere, o in procinto di liberarsi, e il loro assassino il più delle volte è il loro compagno, marito, o comunque colui che dice di amarle.
In quest’ottica la domanda che titola il saggio di Fusini non è affatto retorica: «Chi ha ucciso Anna Karenina?» si presta a una lettura attualizzante, poiché tutti noi lettori, in cuor nostro, sappiamo che Anna non è stata vittima di sé stessa. L’autrice giunge a definire quello di Anna Karenina un «suicidio etico», poiché la donna, togliendosi la vita, si sottrae alla rappresentazione che la società pretende da lei. E Anna, proprio come Madame Bovary e Hedda Gabler, si configura come uno dei primi personaggi femminili dotati di moral agency, facendosi soggetto del racconto attraverso l’azione. Non sono eroine passive, non soggiacciono né si adattano alla volontà maschile. Attraverso queste personagge – oggi divenute delle eroine letterarie – si anticipava quindi un cambiamento sociale irreversibile che ora ha infine raggiunto i caratteri di un’evidenza.
Forse, leggendo più a fondo, potremmo trovare le prime rappresentanti di questa ribellione femminile nelle donne della tragedia greca: Medea, le Baccanti di Euripide e, soprattutto, l’Antigone di Sofocle che con la sua morte rivendica la propria libertà di coscienza sfidando la legge del tiranno Creonte «Non per odiare sono nata, ma per amare». Il conflitto tra Antigone e lo zio regnante tornò in voga, non a caso, nell’Ottocento con la Fenomenologia dello spirito (1807) di Hegel: il filosofo tedesco individuava nei personaggi due possibilità etiche inconciliabili in cui la donna rappresenta l’espressione dell’oikos (la casa, intesa in senso privato come famiglia), mentre l’uomo è portavoce della legge della polìs (lo spazio esterno, pubblico). Nella visione di Hegel l’elemento femminile si erge a difesa dell’individuo (inteso nel suo senso esclusivo, particolare: il fratello), opponendosi alla comunità. Come avrebbe scritto in seguito Marguerite Yourcenar in Fuochi (1984), facendo dell’eroina di Sofocle il simbolo dello splendore della disobbedienza: «Il pendolo del mondo è il cuore di Antigone». Il suicidio di Anna Karenina è erede della scelta di Antigone e delle eroine tragiche: donne non sottomesse, non domate, in grado di opporsi sia alla volontà umana che a quella divina rivendicando un’individualità potente e, a tratti, persino feroce. Un atto di disobbedienza, il più delle volte, solitario.
Nel finale della sua lucida analisi Nadia Fusini osserva che queste donne vittime sono, in realtà, delle assassine poiché dandosi la morte uccidono «un modello femminile di ordine e senso». Era il principio di una rivoluzione letteraria che non si è ancora conclusa, poiché rifletteva una più concreta metamorfosi sociale. Fusini, studiosa di lunga data di Woolf e magnifica traduttrice delle sue opere, ravvisa l’apice di questo cambiamento in Orlando (1928), romanzo che mette in discussione le distinzioni basate sul genere mostrandoci il viaggio di un eroe che diventa eroina e sperimenta, tramite la metamorfosi, entrambe le identità – maschile e femminile – consolidandole in un unico sé androgino.
La metamorfosi di Orlando – narrata da una scrittrice donna – rappresenta il superamento del suicidio di Anna Karenina; ma, in realtà, a una lettura più attenta la vittimizzazione del femminile scorre sottotraccia anche alle narrazioni contemporanee. Il lavoro non è ancora concluso. In una pagina memorabile di Una stanza tutta per sé (1929), Virginia Woolf osservava che «tutti i libri, quasi senza eccezioni, presentano la donna dal punto di vista del suo rapporto con gli uomini» e il risultato, secondo Woolf, era un appiattimento brutale dei personaggi femminili che venivano narrati secondo una visione spietatamente duplice – o angeli del focolare o depravate femme fatale – comunque artefatta dallo sguardo maschile. La vera sfida, sosteneva Virginia Woolf, era raccontare «le relazioni tra donne», poiché «è troppo ciò che si lascia fuori, ciò che non si dice» e quel ribaltamento dello sguardo, quella narrazione a due voci, forse permetterebbe di svelare (e di dire) più di quanto sia stato finora raccontato, svincolandolo da mancanze e ottusi pregiudizi. Woolf, oltre un secolo fa, notava una lacuna letteraria e la metteva in luce e noi che ora leggiamo ci rendiamo conto, con una certezza quasi colpevole, di non essere ancora riusciti a colmarla: la «mancanza» c’è, non siamo riusciti a svincolare del tutto il femminile dallo sguardo maschile e nella contemporaneità questa visione si è tramutata in emergenza sociale.
Le donne oggi sono al centro delle cronache – il più delle volte nel ruolo di vittime silenziose o inascoltate; ma siamo sicuri che siano anche al centro della letteratura?
In copertina: Anna Karenina film di Joe Wright 2012